Dossier
Sri Lanka, il dramma negli occhi dei bambini
Perché Mullaitivu è nella cosiddetta «uncleared zone», una porzione dello Sri Lanka completamente in mano alle Tigri. In pratica quasi uno Stato a parte. Per arrivarci devi prima chiedere un permesso all’ufficio politico dell’Ltte a Jaffna, il capoluogo della provincia settentrionale. Quindi percorrere una strada che, da un certo punto in poi, è circondata da campi minati. E superare due frontiere, con relativi scrupolosi controlli: quella governativa in uscita e quella delle Tigri in entrata.
Suor Stella Sundaranaya è la madre superiore del convento trasferitosi sotto il palmeto. Servirebbero tante cose a Mitota. Intanto una sistemazione più stabile di una tendopoli prima dell’arrivo del monsone, atteso per l’inizio di maggio. Poi percorsi educativi per i bambini e accompagnamento socio-economico per i loro parenti «almeno per quelli che ancora ne hanno qualcuno» in modo da permettergli di prendersi di nuovo cura dei bambini. Suor Stella elenca i bisogni e quello che si potrebbe fare, fra un tramezzino e una tazza di tea da servire durante l’ora della merenda. Ma non chiede niente, se non «come again», tornate ancora.
I fratelli, nel mondo di Tilkraj, sono i soldati dell’Ltte. Che, dal 26 dicembre, hanno già «rapito» una quarantina di bambini di famiglie colpite dal maremoto, almeno secondo le circostanziate denunce di Unicef e Human Right Watch. Il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, ha chiesto immediate sanzioni contro le Tigri denunciando il reclutamento di circa 4.700 bambini soldato dal 2001 ad oggi, nonostante il «cessate il fuoco» che ha posto, provvisoriamente, fine alle ostilità. Il vescovo di Jaffna, monsignor Thomas Savundaranayagam, conferma, ma tratteggia un quadro più complesso della situazione: «In realtà, nella maggior parte dei casi, non si tratta di rapimenti. Il fatto è che, soprattutto nella uncleared area entrare a far parte delle Tigri rappresenta, spesso, una delle poche possibilità di relativo benessere offerte alle comunità locali. Almeno uno stipendio è assicurato».
Intanto su una panca dell’improvvisata struttura d’accoglienza della Chiesa di Nostra Signora dei Rifugiati, Selika, una bambina di sette anni, piange. I suoi genitori non si fanno vedere da qualche giorno «e lei spiega il parroco padre Paim ha paura di essere stata abbandonata».
È un approccio multidimensionale allo Sri Lanka quello scelto da Caritas Italiana. Che, certo, parte dalla crisi e dal maremoto, ma prova anche a guardare oltre. Fondamentale, in ciascuna linea di programma, il cammino di condivisione con la comunità cattolica dello Sri Lanka: ogni intervento, infatti, sarà sviluppato attraverso la Caritas nazionale e le Caritas diocesane coinvolte.
La ricostruzione. Circa 25mila case, parzialmente o completamente distrutte, saranno ricostruite grazie all’impegno congiunto di tutte le Caritas nazionali che hanno aderito al programma d’interventi di Caritas Internationalis.
Attività generatrici di reddito. Barche, motori fuori bordo e reti per i pescatori. Ma anche piccoli chioschi per i venditori di souvenir e oggettistica per turisti e, in generale, per le piccole attività produttive della fascia costiera. I beneficiari individuati dalle Caritas del network internazionale sono circa 30mila.
Chilaw. In risposta alla richiesta della Conferenza episcopale dello Sri Lanka di avere un approccio al Paese che tenga conto dei suoi problemi complessivi, Caritas Italiana ha scelto di avviare un percorso d’accompagnamento diretto alla diocesi di Chilaw che si estende su un territorio colpito anche dal maremoto ma soprattutto divenuto negli anni terra di rifugio per molti sfollati dal conflitto che ha insanguinato le regioni settentrionali.
«La solidarietà della Toscana spiega il presidente della Regione, Claudio Martini si è manifestata già all’indomani della catastrofe, con una serie di interventi di primissima emergenza. Ma ora è necessario proseguire nei nostri sforzi. Ed è per questo che vogliamo coinvolgere l’intera società toscana in un grande progetto di solidarietà e cooperazione, con un solo grande obiettivo: essere presenti nei paesi del Sud-est asiatico colpiti da quella terribile tragedia, ben oltre la fase dell’emergenza e dell’emozione, per tutta la fase della ricostruzione».
«Dalle parole ai fatti aggiunge il presidente del Consiglio regionale, Riccardo Nencini . Il segno più visibile e concreto del sostegno e della solidarietà sta nella nostra iniziativa e nel seguito dato alla proposta di legge della Regione sugli interventi per le vittime del maremoto. Alla nascita del fondo straordinario con i 350mila euro messi a disposizione dalla Giunta si è aggiunta una campagna di sensibilizzazione per far confluire e coordinare i contributi di altri soggetti pubblici e privati».
L’India, e in particolare lo stato del Tamil Nadu, dove la Toscana aveva già attivato interventi di cooperazione decentrata. Questo tenendo anche conto che l’India non ha accettato aiuti da parte degli Stati, mentre è favorevole proprio alla cooperazione tra collettività locali.
Lo Sri Lanka, paese di provenienza di molti immigrati che hanno scelto la Toscana come loro terra di adozione (considerando i minori si calcolano circa 3 mila gli srilanchesi con i permessi in regola) e uno dei principali paesi dell’iniziativa di cooperazione dell’Italia.
L’Indonesia, e in particolare la regione di Banda Aceh, dove il consiglio regionale si è impegnato ad attivare 250 adozioni a distanza di bambini rimasti orfani in seguito al maremoto.
Il programma è già iniziato il 26 gennaio (con la pubblicazione della legge) e terminerà il 31 dicembre 2006. Associazioni, organizzazioni non governative, enti locali avranno tempo fino al 10 marzo per presentare i progetti. Entro il 29 marzo sarà resa nota la graduatoria dei progetti approvati e finanziati. Il tavolo regionale per l’Asia coordinerà gli interventi ed entro 6 mesi darà conto delle azioni avviate.