Dossier

Sri Lanka, il dramma negli occhi dei bambini

di Francesco PalettiYataha Kumar, 40 anni, quattro foto e una camicia. Un’anima in pena che vaga fra la battigia, l’oceano verde smeraldo e le briciole di una città sgretolatasi sotto un’onda alta venticinque metri. Un mostro d’acqua che viaggiava a ottocento chilometri orari. Yataha viveva a Mullaitivu: 25mila abitanti, un mercato ittico abbastanza fiorente e un centro strategico della marina militare dell’Ltte, le Tigri Tamil, in guerra con il governo di Colombo da almeno una ventina d’anni. Tutto questo fino al 26 dicembre. Perché Mullaitivu è stata quasi totalmente cancellata dall’onda assassina. Qualche scheletro di casa qua e là, un altare ad indicare il posto dove si trovava una chiesa, le orme delle fondamenta che lasciano intuire dove finiva la casa e iniziava la strada. Un cane randagio che dorme all’ombra di una palma, un pescatore che prova a far fruttare l’unica rete che gli è rimasta. E Yataha appunto. Che all’improvviso estrae dal taschino quattro foto, quattro cadaveri: «Mia sorella, mia moglie, mio figlio e mio padre. È tutto ciò che mi rimane di loro». Mitota, una comunità sotto le palmeA Mitota, a due chilometri da Mullaitivu, sotto un palmeto, ci sono otto tende bianche della cooperazione francese, quattro suore e una trentina di bambini, orfani a causa del maremoto. Sono le sorelle della Sacra Famiglia, tutte srilankesi (precisamente tamil) anche se la congregazione è originaria di Bordeaux. Il loro convento era a Mullaitivu ed è stato anch’esso cancellato, insieme alla comunità per minori in cui ospitavano, prima dello Tsunami, i bambini vittime del conflitto che ha insanguinato il nord dello Sri Lanka fino al «cessate il fuoco» del 2001.

Perché Mullaitivu è nella cosiddetta «uncleared zone», una porzione dello Sri Lanka completamente in mano alle Tigri. In pratica quasi uno Stato a parte. Per arrivarci devi prima chiedere un permesso all’ufficio politico dell’Ltte a Jaffna, il capoluogo della provincia settentrionale. Quindi percorrere una strada che, da un certo punto in poi, è circondata da campi minati. E superare due frontiere, con relativi scrupolosi controlli: quella governativa in uscita e quella delle Tigri in entrata.

Suor Stella Sundaranaya è la madre superiore del convento trasferitosi sotto il palmeto. Servirebbero tante cose a Mitota. Intanto una sistemazione più stabile di una tendopoli prima dell’arrivo del monsone, atteso per l’inizio di maggio. Poi percorsi educativi per i bambini e accompagnamento socio-economico per i loro parenti – «almeno per quelli che ancora ne hanno qualcuno» – in modo da permettergli di prendersi di nuovo cura dei bambini. Suor Stella elenca i bisogni e quello che si potrebbe fare, fra un tramezzino e una tazza di tea da servire durante l’ora della merenda. Ma non chiede niente, se non «come again», tornate ancora.

Un approccio globaleIl maremoto certo, ma anche la guerra civile. Chiede un approccio globale padre Jeykumar, direttore di Hudec, la Caritas diocesana di Jaffna che si estende su tutto il territorio della provincia settentrionale, incluse le zone in mano ai ribelli: «Se non si amplia la prospettiva, tenendo conto della storia recente di questa terra, le organizzazioni internazionali faticheranno non poco a intervenire qua. Tsunami non ha colpito la Svizzera o il Lussemburgo, qua c’erano problemi anche prima». Hudec è una delle poche organizzazioni locali a lavorare indifferentemente nella zona governativa e in quella controllata dall’Ltte: «Non è semplice, ma si può fare, se si riesce a tenere separata l’agenda politica da quella umanitaria», spiega il direttore che, dal 26 dicembre, percorre in lungo e in largo il territorio della sua diocesi in sella ad un motociclo che è una via di mezzo fra una moto e una lambretta. Tilkraj salvato dai «fratelli»Alla periferia di Jaffna c’è la parrocchia di Nostra Signora dei Rifugiati. Un parallelepipedo di cemento, dietro la chiesa, riadattato nel modo più dignitoso possibile che ospita ventidue bambini figli delle famiglie vittime di Tsunami. Sono tutti di Thalaiady, uno dei tanti villaggi della zona di Point Pedro cancellati dal maremoto. Tilkraj, sette anni, occhi nero pece e un’«avventura» da raccontare a tutti, è uno di loro. Quando l’onda è arrivata, stava andando a messa. «L’acqua mi ha portato via e poi mi sono ritrovato in cima ad una palma e sono rimasto lassù per qualche ora finchè due fratelli non sono venuti a tirarmi giù».

I fratelli, nel mondo di Tilkraj, sono i soldati dell’Ltte. Che, dal 26 dicembre, hanno già «rapito» una quarantina di bambini di famiglie colpite dal maremoto, almeno secondo le circostanziate denunce di Unicef e Human Right Watch. Il segretario generale dell’Onu Kofi Annan, ha chiesto immediate sanzioni contro le Tigri denunciando il reclutamento di circa 4.700 bambini soldato dal 2001 ad oggi, nonostante il «cessate il fuoco» che ha posto, provvisoriamente, fine alle ostilità. Il vescovo di Jaffna, monsignor Thomas Savundaranayagam, conferma, ma tratteggia un quadro più complesso della situazione: «In realtà, nella maggior parte dei casi, non si tratta di rapimenti. Il fatto è che, soprattutto nella uncleared area entrare a far parte delle Tigri rappresenta, spesso, una delle poche possibilità di relativo benessere offerte alle comunità locali. Almeno uno stipendio è assicurato».

Intanto su una panca dell’improvvisata struttura d’accoglienza della Chiesa di Nostra Signora dei Rifugiati, Selika, una bambina di sette anni, piange. I suoi genitori non si fanno vedere da qualche giorno «e lei – spiega il parroco padre Paim – ha paura di essere stata abbandonata».

La schedaI progetti della CaritasPrima di tutto l’emergenza, con i rifugi temporanei per le famiglie sfollate e la ricostruzione. Dedicando un’attenzione privilegiata alle vittime del maremoto che si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità, come ad esempio i bambini. Poi il sostegno alla ripresa economica, accompagnando i nuclei familiari colpiti verso la normalità anche dal punto di vista materiale. Quindi l’attenzione a non fare opera di supplenza nei confronti del governo srilankese, monitorando attentamente l’utilizzo degli aiuti da parte delle autorità di Colombo perché «una cosa assolutamente da evitare è che sia dato per carità ciò che è dovuto per giustizia». Infine un approccio allo Sri Lanka che tenga conto dei problemi complessivi del Paese e della sua storia recente: da qui il lavoro accanto a Caritas Sri Lanka sui programmi nazionali d’animazione e di pace e riconciliazione e l’accompagnamento alla diocesi di Chilaw.

È un approccio multidimensionale allo Sri Lanka quello scelto da Caritas Italiana. Che, certo, parte dalla crisi e dal maremoto, ma prova anche a guardare oltre. Fondamentale, in ciascuna linea di programma, il cammino di condivisione con la comunità cattolica dello Sri Lanka: ogni intervento, infatti, sarà sviluppato attraverso la Caritas nazionale e le Caritas diocesane coinvolte.

La ricostruzione. Circa 25mila case, parzialmente o completamente distrutte, saranno ricostruite grazie all’impegno congiunto di tutte le Caritas nazionali che hanno aderito al programma d’interventi di Caritas Internationalis.

Attività generatrici di reddito. Barche, motori fuori bordo e reti per i pescatori. Ma anche piccoli chioschi per i venditori di souvenir e oggettistica per turisti e, in generale, per le piccole attività produttive della fascia costiera. I beneficiari individuati dalle Caritas del network internazionale sono circa 30mila.

I bambini. Caritas Italiana accompagnerà la Caritas diocesana di Jaffna in un programma d’interventi a tutela dei bambini vittime del maremoto o della guerra civile.Tutela dei diritti. Nell’ambito della collaborazione a livello nazionale con Caritas Sri Lanka, una particolare attenzione è dedicata alla tutela dei diritti delle famiglie con l’apertura di centri specifici in ciascuna delle diocesi colpite.

Chilaw. In risposta alla richiesta della Conferenza episcopale dello Sri Lanka di avere un approccio al Paese che tenga conto dei suoi problemi complessivi, Caritas Italiana ha scelto di avviare un percorso d’accompagnamento diretto alla diocesi di Chilaw che si estende su un territorio colpito anche dal maremoto ma soprattutto divenuto negli anni terra di rifugio per molti sfollati dal conflitto che ha insanguinato le regioni settentrionali.

Un fondo regionaleper raccoglierei finanziamentiA favore delle popolazioni del Sud-est asiatico colpite dal maremoto del 26 dicembre scorso, la Regione Toscana ha deciso di costituire un fondo regionale che, raccogliendo tutti i contributi delle amministrazioni, della società civile, dei singoli cittadini, consenta di finanziare i progetti presentati dagli enti locali e dalle organizzazioni non governative.

«La solidarietà della Toscana – spiega il presidente della Regione, Claudio Martini – si è manifestata già all’indomani della catastrofe, con una serie di interventi di primissima emergenza. Ma ora è necessario proseguire nei nostri sforzi. Ed è per questo che vogliamo coinvolgere l’intera società toscana in un grande progetto di solidarietà e cooperazione, con un solo grande obiettivo: essere presenti nei paesi del Sud-est asiatico colpiti da quella terribile tragedia, ben oltre la fase dell’emergenza e dell’emozione, per tutta la fase della ricostruzione».

«Dalle parole ai fatti – aggiunge il presidente del Consiglio regionale, Riccardo Nencini –. Il segno più visibile e concreto del sostegno e della solidarietà sta nella nostra iniziativa e nel seguito dato alla proposta di legge della Regione sugli interventi per le vittime del maremoto. Alla nascita del fondo straordinario con i 350mila euro messi a disposizione dalla Giunta si è aggiunta una campagna di sensibilizzazione per far confluire e coordinare i contributi di altri soggetti pubblici e privati».

La raccoltaIl fondo di solidarietà la Regione Toscana lo ha istituito con la legge numero 13/2005, lo scorso 17 gennaio. Ne potranno essere beneficiari tutte le organizzazioni pubbliche o private senza scopo di lucro con sede in Toscana o nelle aree oggetto dell’intervento. La giunta vi ha subito contribuito con 350 mila euro mentre il presidente Martini ha inviato una lettera a tutti i sindaci e a tutti i presidenti delle province toscane per invitarli a far confluire gli sforzi di tutti sul fondo regionale. Le prioritàLa Giunta regionale ha provveduto a definire il programma per l’individuazione degli interventi. Con esso sono selezionate quattro aree geografiche verso cui le azioni di cooperazione saranno indirizzate in via prioritaria.

• L’India, e in particolare lo stato del Tamil Nadu, dove la Toscana aveva già attivato interventi di cooperazione decentrata. Questo tenendo anche conto che l’India non ha accettato aiuti da parte degli Stati, mentre è favorevole proprio alla cooperazione tra collettività locali.

• Lo Sri Lanka, paese di provenienza di molti immigrati che hanno scelto la Toscana come loro terra di adozione (considerando i minori si calcolano circa 3 mila gli srilanchesi con i permessi in regola) e uno dei principali paesi dell’iniziativa di cooperazione dell’Italia.

• L’Indonesia, e in particolare la regione di Banda Aceh, dove il consiglio regionale si è impegnato ad attivare 250 adozioni a distanza di bambini rimasti orfani in seguito al maremoto.

• La Somalia, su segnalazione del governo italiano.Quanto alle aree tematiche di intervento si prevedono azioni di soccorso (per esempio centri nutrizionali per la prima infanzia) e di tutela dei gruppi sociali più deboli (orfanottrofi, centri di ascolto, scuole, ecc,), interventi di ricostruzione di abitazioni e di strutture pubbliche, di ripristino ambientale (pulizia di fondali e spiagge, bonifica di pozzi e terreni), attività di prevenzione sanitaria, progetti di sostegno alla ripresa delle attività economiche locali.

Il programma è già iniziato il 26 gennaio (con la pubblicazione della legge) e terminerà il 31 dicembre 2006. Associazioni, organizzazioni non governative, enti locali avranno tempo fino al 10 marzo per presentare i progetti. Entro il 29 marzo sarà resa nota la graduatoria dei progetti approvati e finanziati. Il tavolo regionale per l’Asia coordinerà gli interventi ed entro 6 mesi darà conto delle azioni avviate.

Convenzioni tra Ong e Protezione civileSono state firmate martedì scorso le prime nove convenzioni tra il Dipartimento della Protezione civile e le Organizzazioni non governative (Ong) che saranno impegnate in Sri Lanka nella realizzazione dei progetti di ricostruzione del paese colpito dal maremoto del 26 dicembre scorso e nel quale si è concentrato l’intervento italiano. Le Ong beneficeranno di parte degli oltre 45 milioni di euro che gli italiani, tramite le sottoscrizioni, hanno donato alla popolazione del paese e che saranno gestiti dal Dipartimento. Le convenzioni stabiliscono le modalità di esecuzione dei diversi programmi che le Ong realizzeranno «sotto la piena ed esclusiva responsabilità del Dipartimento». In Sri Lanka sono già operativi, dai giorni successivi al maremoto, due ospedali da campo e diverse tendopoli per gli sfollati, allestiti dal personale della Protezione Civile. Il Pime per le isole Andamane e NicobareLe isole Andamane e Nicobare, in India, situate nell’Oceano Indiano, sono tra i campi di intervento della campagna di solidarietà per le vittime dello tsunami lanciata dal Pime (Pontificio istituto missioni estere) e diffusa da AsiaNews. Per venire incontro alle esigenze delle popolazioni delle isole Andamane e Nicobare il Pime ha donato 30 mila dollari ai missionari indiani di San Francesco Saverio (noti come padri del Pilar). Nelle isole sono presenti 14 sacerdoti del Pilar, tra i quali mons. Aleixo Das Neves Dias, vescovo di Port Blair, la diocesi delle Andamane. Altri fondi sono necessari per ricostruire orfanotrofi, scuole, case private, ambulatori, chiese e strutture pastorali. Altri 20 mila dollari sono stati inviati a padre Antony Thota, coordinatore del Pime per l’emergenza in India.

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