Lettere in redazione

Per Battisti ci si indigna per gli SS tedeschi no

Quanto clamore per Battisti. I media sono stati assaliti da continue informazioni del pluriomicidia, ci hanno raccontato di tutto.M a da parte di lui nessuna informazione, tutto tace. Ma un trafilettino mi ha fatto sobbalzare e fatto capire che tutto è politica e non vera giustizia. I nazisti condannati all’ergastolo in via definitiva vivono tranquillamente in Germania e nessuno si sogna di farli estradare in Italia per scontare la pena. Nessuno si sogna di richiedere l’estradizione alla Corte Suprema, tutto tace.Vera ipocrisia. No giustizia, ma politica. Noi cristiani siamo il sale della terra?

Roberto Lombardoindirizzo email

L’accostamento tra la negata estradizione da parte del Brasile all’ex-terrorista Cesare Battisti e il rifiuto della Germania di consegnarci i criminali di guerra nazisti, condannati all’ergastolo in Italia, è suggestivo. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati Ernst Pistor, di 91 anni; l’ex maresciallo Fritz Jauss, di 94, e l’ex sergente Johan Robert Riss, di 88, all’epoca appartenenti a diversi reparti della 26ª divisione corazzata dell’esercito tedesco, riconosciuti responsabili dell’eccidio del Padule di Fucecchio, dove nell’agosto ’44 vennero trucidati 184 civili, in gran parte anziani, donne e bambini. Le sentenze dovranno essere confermate in Cassazione, ma in ogni caso i tre ex-nazisti non verranno consegnati all’Italia. E molto facilmente non sconteranno la pena neanche nel loro Paese. Verrebbe da chiedersi, fra il serio e il faceto, perché il ministro Calderoli non chieda il boicottaggio dei wurstel tedeschi, accanto a quello dei campionati del mondo di calcio in Brasile. Tra l’altro, se la richiesta al Brasile si appoggia a un Trattato di estradizione, firmato tra i due stati, quella verso i responsabili delle stragi naziste avviene all’interno della stessa Unione, nella quale vige ormai da tempo il «mandato di cattura europeo» (decisione quadro 2002/584/GAI) che prevede espressamente che si dia esecuzione alla richiesta di arresto di persone condannate in via definitiva o imputate per una serie di reati.

Perché la Germania finora non lo ha fatto, rigettando ogni nostra richiesta? Lo ha spiegato in un’intervista al «Secolo XIX», del 30 maggio scorso, il procuratore militare di Roma Marco De Paolis, lo stesso che ha sostenuto l’accusa nel processo per la strage del Padule di Fucecchio: «Le procure tedesche si richiamano alla Costituzione della Germania, che non prevede l’istituto della contumacia e rifiutano l’estradizione dei loro cittadini». In effetti l’art. 16, comma 2, della Costituzione tedesca vieta l’estradizione di un cittadino tedesco. Ed è a quell’articolo che si è richiamata la Corte costituzionale per mettere paletti molto rigidi all’applicazione del mandato di cattura europeo. Da qui nascono i rifiuti tedeschi alle estradizioni di condannati o anche di semplici imputati. L’unica possibilità sarebbe quella di far ripetere i processi direttamente in Germania, come avvenuto nel caso di Siegfried Engel, condannato in Italia per la strage della Benidicta (sull’Appennino ligure) e successivamente anche in Germania (condannato a sette anni in primo grado, poi il reato è stato prescritto).

Al di là dei cavilli giuridici che vengono avanzati, non mi sembra ci sia comunque molto interesse, né a Berlino, né a Roma, di vedere dietro le sbarre questi 17 novantenni (tanti sono i condannati all’ergastolo, con sentenza definitiva che vivono in Germania), che oltre 65 anni fa si macchiarono di crimini di guerra sul nostro Paese. Tra l’altro per l’ordinamento italiano avrebbero ormai un’età non più compatibile con la detenzione in carcere.

Il vero «scandalo» è un altro. Perché sono passati così tanti anni prima che venissero celebrati i processi? La vicenda è complessa e ancora in parte da chiarire. All’inizio la Procura Generale Militare di Roma istruì un gran numero di procedimenti, basati su circa duemila duecento notizie di reato, ma di processi ne partirono pochi, anche per le resistenze degli inglesi. In tutto furono appena diciotto, se si calcolano anche quelli istruiti dai britannici, e limitati ai casi più clamorosi, come l’eccidio delle Ardeatine. Si pensi che in Francia nello stesso periodo furono centinaia, con circa 50 condanne a morte eseguite. E nella piccola Danimarca una settantina, con quattro condanne capitali. Già nel giugno del 1946 il Guardasigilli Palmiro Togliatti firmò un’amnistia che portò alla scarcerazione di 7mila dei 12 mila fascisti e «repubblichini» allora in carcere sotto condanna o in attesa di giudizio. Nel luglio del 1947 ne rimanevano dietro le sbarre appena duemila. Nel 1952 erano solo 266. Va sottolineato anche che la nascita del primo governo Adenauer in Germania, nel 1949, favorì un clima di riconciliazione, per il quale si adoperarono anche esponenti della Chiesa. Ne è riprova il decreto del presidente Luigi Enaudi che, in vista dell’Anno Santo del 1950, concesse ai criminali di guerra tedeschi un condono di tre anni, facendone così uscire diversi dal carcere.

Nel 1960 la procura generale militare decise di archiviare «provvisoriamente» centinaia di fascicoli di denunce e indagini giudiziarie su crimini di guerra compiuti dalle forze di occupazione tedesche in Italia e in parte anche da unità della Rsi in quello che poi sarebbe stato definito dai giornali come l’«Armadio della vergogna». Lo scoprì casualmente nel 1994 il procuratore militare Antonino Intelisano, che a quei tempi si stava occupando del processo contro Erich Priebke. L’armadio, con le porte rivolte verso il muro, era conservato in uno sgabuzzino della cancelleria della procura militare nel Palazzo Cesi-Gaddi, a Roma. È da quella scoperta che sono ripartiti i processi per stragi che in questi ultimi anni hanno portato a condanne definitive all’ergastolo per diversi criminali nazisti. C’è stata anche una «Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti», conclusasi nei primi mesi del 2006 senza una relazione condivisa.

Claudio Turrini