Lettere in redazione

Questo inverno rigido e i catastrofisti di Kyoto

Dopo tutto il gran parlare di riscaldamento del pianeta, proprio nel momento in cui la Conferenza di Copenaghen si risolveva in un fiasco colossale, è arrivato l’inverno più rigido da almeno 20 anni, con temperature medie di due gradi sotto la media stagionale. E improvvisamente sono sparite dai giornali le paginate sui ghiacciai che si sciolgono, sulla siccità incombente e sui mari che ci sommergeranno. Non è che i «catastrofisti di Kyoto» finora c’hanno raccontato solo balle?

A. G.Grosseto

Affermare che il «riscaldamento globale» non esiste perché quest’anno in Europa ha fatto più freddo che in passato è una sciocca banalità. Come lo erano – all’opposto – gli allarmi dei catastrofisti ad ogni periodo un po’ più caldo del normale.

Ma la sua domanda è più che legittima e da mesi risuona sia in ambienti scientifici che politici. Anche il parlamento britannico, ad esempio, ha aperto un’inchiesta ufficiale per capire se i climatologi hanno alterato i dati.

Quel che è certo è che il fronte di chi sosteneva con forza il riscaldamento globale come effetto delle attività umane e chiedeva misure draconiane per ridurre le emissioni di CO2, non è più così granitico. A minare le certezze è arrivato lo scandalo del «Climagate» che ha rivelato come alcuni dei responsabili dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) manipolassero i dati e mettessero a tacere con metodi ben poco scientifici tutte le voci contrarie. C’è poi la figuraccia rimediata sempre dall’Ipcc sullo scioglimento dei ghiacci dell’Himalaya, profetizzata nel Rapporto 2007 per il 2035 (per un errore tipografico, è stato detto) e sulla base ben poco «scientifica» della tesi di laurea di un ragazzo svizzero e di un articolo apparso su una rivista di alpinismo. E da più parti ci si interroga sul ruolo del presidente dell’Ipcc, Rajendra Pachauri, premio nobel per la pace nel 2007. Un magnate indiano con grossi interessi in banche e società di consulenza, che operano proprio in questo settore.

Ma il vero problema è un altro. Come abbiamo scritto più volte su questo settimanale (anche in tempi in cui sembrava così poco «politicamente corretto») siamo ancora ben lontani dal capire fino in fondo cosa determini il clima del nostro pianeta, causandone le fluttuazioni di cui c’è traccia abbondante nella storia del pianeta (basta pensare all’«Optimum Climatico Medioevale» tra il 750 e il 1200 d.C.). È vero che un certo trend all’aumento della temperatura media del pianeta sembra iniziato circa 150 anni fa, quando l’industrializzazione era ai suoi primordi ed era circoscritta solo ad alcune aree del pianeta. Tra il 1940 e il 1975, gli anni del boom industriale, questo trend si è fermato, tanto è vero che alcuni di quegli scienziati che oggi sostengono il riscaldamento globale teorizzavano allora l’arrivo di una nuova glaciazione. Dov’è allora l’evidenza che l’aumento di CO2 per mano dell’uomo sia la causa dell’aumento climatico? E che questo aumento  (grazie a modelli e a correzioni di dati ampiamente discutibili) porti nel giro di pochi anni a grandi catastrofi?

Nutrire questi dubbi «scientifici» non vuol dire non avere a cuore la salvaguardia del creato e il rispetto dell’ambiente. Anzi, siamo convinti che si fa ancora troppo poco per ridurre l’inquinamento. A seguito del Protocollo di Kyoto, l’Italia ha già sborsato 5.3 miliardi di euro tra il 2007 e il 2010; 15 miliardi sono previsti invece per il decennio 2010-2020 e 21.3 miliardi dal 2020 al 2025: un prezzo elevatissimo per ottenere risultati impercettibili e probabilmente inutili. Mentre mancano fondi e strategie non solo per alleviare il sud del mondo dai flagelli della fame e delle malattie, ma anche per ridurre le polveri sottili (quelle sì che fanno male alla nostra salute) o per fermare il dissesto idreogeologico dei nostri territori.

Claudio Turrini