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Libano: Operazione Colomba, «arresti e torture sui rifugiati siriani. Demolite 5.682 strutture semi-permanenti che ospitavano profughi»

Operazione Colomba, corpo Civile di Pace dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, lancia al Governo italiano, all'Ue e all'Onu, ha presentato oggi a Roma un dossier sulla situazione dei profughi siriani in Libano chiedendo a governo italiano Unione europea e Onu di intervenire per garantire il rispetto del non respingimento.

«Garantire che il governo libanese agisca in conformità del diritto internazionale e rispetti il principio di non-refoulement (non respingimento) sancito dall’Articolo 3 della Convenzione contro la tortura, di cui il Libano è firmatario; sostenere il governo libanese nel fornire aiuti umanitari, nonché assistenza legale e medica, ai profughi siriani in Libano; condannare la normalizzazione e la riabilitazione da parte dei Paesi Europei delle relazioni internazionali con il governo siriano, fino a quando non verrà raggiunta una soluzione politica». Sono le richieste che Operazione Colomba, corpo Civile di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, lancia al Governo italiano, all’Ue e all’Onu, alla luce della drammatica situazione del milione e mezzo di profughi siriani in Libano, riportata in un dossier presentato oggi a Roma, presso la Camera dei Deputati.

Il testo, che riporta testimonianze dirette dei rifugiati, intende porre «all’attenzione della comunità internazionale il preoccupante intensificarsi, da parte del governo libanese, di strategie di refoulement (respingimento) dirette e indirette, volte a far tornare i profughi siriani in Siria, sul presupposto non provato che la Siria sia ora un paese sicuro in cui tornare». Secondo Operazione Colomba, che vive dal 2014 al fianco delle famiglie siriane in un campo profughi nella regione dell’Akkar, sul confine con la Siria (nord Libano), «le azioni dell’Esercito libanese e delle Forze di Sicurezza Interna contro i siriani in Libano hanno incluso un aumento esponenziale delle deportazioni forzate, la distruzione di case e campi profughi informali siriani, sfratti di massa, l’inasprimento delle misure contro i lavoratori non autorizzati e le imprese di proprietà siriana, così come la limitazione della possibilità per i bambini siriani di ottenere un permesso di soggiorno legato alla residenza legale dei genitori tramite uno sponsor libanese». Tali azioni, denuncia il Dossier, «violano i diritti umani dei siriani in Libano; il principio di non-refoulement sancito dall’articolo 3 della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, di cui il Libano è firmatario». Durante la presentazione Operazione Colomba ha reiterato la proposta di pace nata da molti profughi siriani in Libano. Questa prevede innanzitutto «la creazione di zone umanitarie in Siria, ovvero di territori che scelgono la neutralità rispetto al conflitto, sottoposti a protezione internazionale, in cui non abbiano accesso attori armati, sul modello, ad esempio, della Comunità di Pace di San José di Apartadò in Colombia. Questa soluzione permetterebbe un rientro in sicurezza di molti profughi e consentirebbe il monitoraggio e il rispetto dei diritti umani».

«Il 76% delle famiglie siriane in Libano vive al di sotto della soglia di povertà, il 53% di esse vive in condizioni abitative al di sotto degli standard minimi previsti e il 74% dei profughi siriani di età pari o superiore a 15 anni non ha residenza legale». Sono alcuni dei dati, relativi al censimento del 2017 sulla valutazione della vulnerabilità dei rifugiati siriani in Libano (Vasyr), riportati dal Dossier di Operazione Colomba. Il Paese dei Cedri dopo aver adottato una politica di apertura delle frontiere tra il 2011 e il 2014, che ha permesso a più di 1,5 milioni di siriani di entrare nel Paese, dalla fine del 2014 ha cambiato atteggiamento nei confronti dei siriani. «Non essendo riconosciuti in quanto rifugiati, i loro diritti in Libano non sono tutelati dal diritto internazionale. Come tali, i siriani non hanno libertà di movimento, né diritto all’istruzione, all’occupazione e all’assistenza sanitaria. Nel maggio 2015 – denuncia Operazione Colomba – il governo ha chiesto ufficialmente che l’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) smettesse di registrare i siriani presenti nel Paese». Secondo un sondaggio effettuato nel 2019 dalla stessa agenzia Onu in Egitto, Iraq, Libano e Giordania, «solo il 5,9% dei profughi siriani intende tornare in Siria nel prossimo anno. La maggior parte dei profughi siriani non considera le aree controllate dal regime siriano come sicure per il ritorno, temendo la mancanza di servizi base, sostentamento e riparo, ma soprattutto il rischio onnipresente di violenze arbitrarie, arresti, torture e coscrizioni forzate».

Cresce la pressione del Governo libanese sui cittadini siriani rifugiati in Libano. Il 15 aprile 2019 il Consiglio Supremo di Difesa libanese ha autorizzato una serie di «decisioni inedite» che hanno portato a una crescente pressione sui profughi affinché tornino in Siria, peggiorando le condizioni di sicurezza e di protezione dei profughi siriani le cui vite sono a rischio se deportati in Siria, denuncia Operazione Colomba. «Il 13 maggio 2019 l’Ufficio di Sicurezza generale libanese ha emesso l’ordine di espellere e consegnare sommariamente alle autorità siriane tutti i profughi che avevano attraversato irregolarmente il confine dopo il 24 aprile 2019». Con questa decisione, si legge nel Dossier, «le deportazioni possono essere effettuate sulla base di un ordine verbale della procura, senza rinviare i cittadini siriani a processo, con conseguente espulsione immediata dopo l’arresto, senza alcuna indagine giudiziaria». Secondo l’Agenzia nazionale di stampa libanese, citata dal Dossier, solo nel mese di maggio, 301 cittadini siriani sono stati deportati in Siria senza ulteriori chiarimenti. Fonti che preferiscono rimanere anonime confermano anche che «circa 400 cittadini siriani sono stati espulsi dal Libano tra maggio e giugno 2019. Una volta deportati in Siria, la comunicazione si interrompe e poco si sa di ciò che accade loro».

L’Unhcr, Human Rights Watch e il Ministero degli Esteri tedesco «hanno dichiarato che coloro che tornano in Siria rischiano di essere arruolati forzatamente nell’esercito, arrestati, torturati o uccisi». Sotto la lente del Dossier anche i «Rimpatri volontari»: «Tra gennaio 2016 e gennaio 2019, 32.272 profughi siriani sono tornati dal Libano in Siria in modo autonomo. Tra dicembre 2018 e marzo 2019, le autorità libanesi hanno dichiarato che 172.046 profughi sono tornati in Siria tramite i rimpatri volontari organizzati». Questi rimpatri sono organizzati dalla Sicurezza generale libanese (Gso) in coordinamento con il governo siriano, il quale, spiega Operazione Colomba, «deve preventivamente approvare tutti i nomi dei profughi prima che il loro ritorno in Siria sia consentito». Tuttavia, la volontarietà di questi rimpatri «dovrebbe essere misurata in base al peggioramento delle condizioni di vita dei siriani in Libano. L’intimidazione costante, la difficoltà di trovare e mantenere il lavoro, la mobilità limitata dai posti di blocco» sono, si legge nel testo, «fattori che influenzano le decisioni di molti siriani e li spingono a tornare in patria non tanto perché la Siria sia considerato un Paese sicuro, ma perché la vita in Libano è insostenibile». Pertanto «parlare di ritorno volontario su larga scala è ancora prematuro».

Aumentano le incursioni dell’esercito libanese nei campi profughi in particolare nella valle della Beqaa. Durante le incursioni, molti fra gli uomini vengono interrogati e arrestati per mancanza di documenti in regola. «I profughi siriani – denuncia Operazione Colomba – hanno riferito un numero crescente di raid militari, che arrivano ad una frequenza di circa una volta a settimana nelle regioni con più campi profughi e nelle aree urbane. In molte occasioni, il luogo in cui vengono detenuti gli uomini, arrestati ai posti di blocco sull’autostrada o durante le incursioni nei campi, rimane sconosciuto per giorni. Segnalazioni su maltrattamenti e torture subite dai siriani all’interno delle prigioni libanesi sono state pubblicate da varie associazioni, testimoniando un preoccupante aumento di arresti arbitrari e un sovraffollamento delle carceri». Nel mese di giugno 2017, Human Rights Watch ha segnalato «la morte di 5 cittadini siriani detenuti dall’esercito libanese, pubblicando le foto dei cadaveri, i quali recavano segni visibili di tortura».

I rifugiati subiscono, inoltre, «minacce e intimidazioni sociali» tra queste l’accusa di «essere la causa dell’aumento del tasso di disoccupazione e di tutti i mali economici del Libano. Si è registrato anche una crescita netta degli atti di violenza e di abuso contro i siriani, compresi atti di punizione collettiva». Il Dossier evidenzia anche lo smantellamento di strutture in cemento nei campi profughi e l’aumento degli sfratti. Per decisione del Consiglio supremo per la difesa libanese «sono state demolite 5.682 strutture semi-permanenti che ospitavano profughi siriani, sulla base di un codice abitativo esistente da tempo ma in gran parte non applicato. Più della metà di queste strutture sono state smantellate dagli stessi profughi siriani. L’esercito libanese ha comunicato una data entro la quale i profughi avrebbero dovuto smantellare i loro stessi campi e sostituire le strutture in cemento con materiali meno durevoli come tela e legname, previa la minaccia che se si fossero rifiutati, le loro abitazioni sarebbero state demolite dall’esercito libanese».