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Spagna, vince Pedro Sánchez. Ma non basta

I socialisti di Pedro Sánchez vincono le elezioni e si situano come prima forza parlamentare con 123 seggi. Ma per formare il governo non basta. Si corre verso un nuovo periodo di incertezza politica, il tempo necessario per esplorare le diverse possibilità di alleanza. A Bruxelles hanno tirato un sospiro di sollievo. Vox è entrato in Parlamento ma molti temevano di più.

Pedro Sánchez ha vinto ed oggi può congratularsi con la manovra di aver anticipato le elezioni. Quanti gli avevano rimproverato di essere entrato al Palazzo della Moncloa, sede del governo, dalla porta di servizio con la mozione di sfiducia al primo ministro Mariano Rajoy dieci mesi fa, devono ricredersi. Sono oltre 7,4 milioni i votanti che hanno deciso la sua vittoria nella giornata elettorale di domenica.

I socialisti si situano come prima forza parlamentare con 123 seggi (38 in più di due anni fa), il che significa il 35,14 dei 350 deputati eletti. Dietro loro la destra del Pp, con 66 deputati (perde 71), i liberali di Ciudadanos con 57 (salgono 25), la sinistra di Podemos con 42 (perde 2) e la novità dell’estrema destra di Vox con 24 seggi, che per la prima volta entra a far parte del Congresso dei deputati. Sono questi i cinque partiti di ambito nazionale che configureranno il prossimo parlamento, oltre gli otto piccoli partiti di portata regionale che si distribuiscono i 30 seggi restanti.

Tra le sorprese, forse la più rilevante sia stata l’alta partecipazione del 79,78%, solo superata in tre occasioni, e sopra la media delle tredici volte che gli spagnoli sono stati convocati a elezioni generali dal 1979, che sta nel 73,79%. Solo questo dato ha suscitato tanti commenti e varie letture. Alcuni puntano sulla «politica territoriale» e il modo di affrontare la questione dell’indipendentismo catalano; altri sottolineano le misure sociali adottate nei dieci mesi di governo; altri ancora mettono l’accento sulla paura per l’estrema destra. Non è un caso se uno dei commenti più diffusi su Twitter sia stato quello del giornalista Jordi Evole: «La estrema destra ha mobilitato la sinistra».

La destra ha perso. Se per le forze della sinistra e andata bene, sia per il socialismo del Psoe che per la nuova sinistra di Podemos e pure per i partiti regionalisti catalani e baschi, invece la destra è proprio affondata, immersa in una crisi dalla quale ci vorrà tempo per uscire. Si è presenta questa volta divisa ed ha perso forza e sprecato voti nelle circoscrizioni piccole, dove pochi voti decidono un deputato. Così si spiega il forte calo del Pp e la timida entrata di Vox (si aspettavano di più). Se fossero andati insieme, avrebbero raggiunto più dei 90 seggi che sommano insieme. Invece Albert Rivera, candidato di Ciudadanos, si può dire contento con la crescita sperimentata. C’è pure chi ormai lo vede come futuro leader del centro-destra.

La Spagna corre verso un nuovo periodo di incertezza politica. Inizia ora il tempo di esplorare le diverse possibilità di alleanza per formare governo, necessarie per raggiungere la maggioranza assoluta di 176 deputati. Le possibilità non sono poi tante. O Sánchez tende verso la sinistra e negozia con Podemos e la tradizionale sinistra repubblicana della Catalogna (Erc), e con ciò raggiunge i 180 voti per essere investito presidente di nuovo. Oppure guarda a destra e in quel caso deve scendere a patti con Ciudadanos, arrivando anche qui ad una somma di 180 voti. Nel primo caso ci sarebbe l’obbiezione del movimento indipendentista catalano, al quale Erc ha contribuito in maniera palese. Ma a differenza dell’altra forza indipendentista, quella guidata dall’ex presidente catalano Puigdemont, Erc si è mostrato più coerente e dialogante con le regole democratiche. Basta pensare che, mentre Puigdemont uscì della Spagna dopo gli avvenimenti del 1 ottobre 2017, Oriol Junqueras, presidente di Erc, decise di restare e far fronte, insieme ad altri, alle proprie responsabilità penali. In fatti Junqueras è ora in prigione, in attesa della sentenza del processo in corso da febbraio.

L’altra possibilità, quella di allearsi con Ciudadanos, non sarebbe una novità. E poi il fatto che il candidato di Podemos, Pablo Iglesias, in più occasioni abbia chiesto a Sánchez di manifestarsi al riguardo senza ottener una risposta dice quanto sia possibile questa soluzione. Albert Rivera dovrà fare i suoi calcoli e mettere sulla bilancia la possibilità di guadagnare spazio nel centro-destra, oppure collaborare con Sánchez nel ridisegnare i rapporti tra i diversi territori che compongono la Spagna e cercare una soluzione al conflitto catalano. Rivera è catalano ed è da poco che ha fatto il salto alla politica nazionale.

Il voto visto con gli occhi dell’Ue. A Bruxelles certo hanno tirato il fiato. Un nuovo episodio di estrema destra vincente sarebbe stato un colpo duro. In Spagna però i motivi che han fatto entrare Vox nel parlamento sono diversi a quelli di altri Paesi. Qui ha pesato più la reazione contro il movimento indipendentista e forse la nostalgia che «con Franco vivevamo meglio». L’unità del Paese e la soppressione delle autonomie è uno dei punti programmatici di Vox. Quel che si prospetta ora lo conosceremo solo dopo le elezioni europee, regionali e comunali di fine maggio, quando di nuovo si riconfigurerà il peso di ogni forza politica nel Parlamento europeo, in quelli regionali e in ogni comune. Fino allora, tempo per negoziare.