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Caterina, la lezione di una madre coraggiosa che insegna a vivere e a morire da cristiani

«Non possiamo stasera, ascoltare e raccogliere qualche pensiero dalla liturgia della Chiesa senza avere negli occhi e nel cuore gli eventi recenti legati alla nostra cara amica Caterina, che ci ha lasciati proprio una settimana fa». Così la sera di venerdì 15 febbraio, nella basilica della Santissima Annunziata, il cardinale Giuseppe Betori ha iniziato la sua omelia nell’annuale Messa con la comunità fiorentina di Comunione e Liberazione in occasione degli anniversari della morte di don Giussani e del riconoscimento pontificio della Fraternità.

E gli eventi, in effetti, erano andati oltre ogni attesa. In quella settimana dal giorno della morte Caterina Morelli ha continuato a toccare il cuore delle persone, anche di tanti che non l’avevano conosciuta. Il pomeriggio di sabato 9 all’inizio del suo funerale si faceva fatica a entrare in quello stesso santuario da quanta gente c’era. Chi fosse Caterina, come avesse fatto a suscitare tutto questo, i suoi amici – non solo di Cl – lo sapevano bene ma lo stupore fra loro non è mancato ugualmente. E molti altri hanno avuto modo conoscere la sua storia, rimbalzata prima in rete poi sui quotidiani, pur con titoli non sempre appropriati. Era semplicemente una giovane donna di 37 anni, medico presso l’ospedale pediatrico Meyer che nel 2012, poco dopo il matrimonio con Jonata dal quale aveva già avuto una bimba, scopre di attendere un secondo bambino e subito dopo di essere colpita da un tumore molto aggressivo. Per portare avanti la gravidanza opta per una terapia compatibile per poi iniziarne una più intensiva dopo il parto.

Sembra riprendersi ma nel 2015 la malattia torna e la nuova battaglia si dimostra da subito molto difficile. Il suo cammino diventa ancor più, come affermato la scorsa estate nella testimonianza portata a una vacanza degli amici di Cl, «un continuo di offerta e di domanda», cure e preghiere da una parte e progressiva consapevolezza che comunque la pienezza e la felicità per sé e i suoi cari stava nella volontà di Dio che «rende tutto perfetto». In questo percorso incontra tanta gente che resta colpita da questa ragazza speciale, eppure così profondamente umana.

Nella stessa testimonianza dell’estate scorsa spiega: «Ecco che la santità per me è diventato un problema quotidiano, ma non per poter essere più pia e perfetta agli occhi del mondo (se qualcuno vuole fare a cambio con me con la mia condizione “privilegiata” di vita si faccia pure avanti che chiediamo al Signore un cambio!) ma per poter essere felice». Parla anche durante l’annuale pellegrinaggio della vigilia della Natività di Maria tra l’Impruneta e la Santissima Annunziata che la vede tra i promotori: ne disegna il nuovo logo e lo compie in carrozzina grazie agli amici. Con il suo sorriso e la sua semplicità Cate ha saputo suscitare un movimento oltre gli stessi confini del proprio, vivendo fino in fondo la vocazione alla santità non come un «santino» ma come una donna in carne e ossa, capace di testimoniare come in Cristo, grazie al cristianesimo si può stare dentro la realtà in ogni situazione.

La malattia, paradossalmente, lo ha reso ancor più evidente e capace di raggiungere e colpire chi l’ha incontrata e conosciuta. Per tutti, non è solo un volto sorridente da ricordare ma una vita da continuare. Con Cristo e nella Chiesa, infinitamente più certi, grazie a lei, che solo lì possiamo trovare, in ogni situazione, la felicità e la pienezza.