Toscana

Acqua pubblica, futuro incerto

di Simone Pitossi

Acqua azzurra acqua chiara, cantava Battisti negli anni Settanta. Oggi, dopo il 12-13 giungo, di chiaro c’è quello che i cittadini vogliono. Con il «sì» al referendum – se verrà rispettata l’opionione di chi si è espresso – la gestione dell’acqua resta pubblica, i privati non potranno averne il controllo, le tariffe non potranno aumentare per remunerare il capitale. Meno chiaro è ciò che succederà. Perché adesso, abolito il decreto Ronchi-Fitto, si riparte da zero. E perché i problemi del sistema idrico restano. Per risolverli occorreranno nei prossimi decenni grossi investimenti: chi li farà? I Comuni? Siamo proprio sicuri che le bollette non saliranno? Che fine faranno le aziende di gestione? Che fine faranno i dipendenti? Chi liquiderà i privati? Tante le domande. E, per il momento, non c’è una risposta chiara. Perché il fronte che ha sostenuto i «sì» al referendum è composito e variegato.

«Il difficile inizia ora, perché vanno trovate le modalità, senza penalizzare cittadini e investimenti, per ripubblicizzare il servizio idrico, e come tradurre il tutto in una prossima legge regionale». Parola del capogruppo Fds-Verdi in Consiglio regionale Monica Sgherri. Secondo Sgherri poi non c’è da perdere tempo: «Occorre trovare modalità concrete per far uscire subito il privato dalla gestione dell’acqua, senza aspettare la scadenza delle concessioni».

Gabriele Toccafondi, deputato toscano del Pdl, ha chiara la strada: «Ci aspettiamo presto lo scioglimento di Publiacqua», il gestore privato fiorentino. Meno «azzurro» è il quadro a tinte fosche che immagina. «I 700 dipendenti diretti della SpA – spiega – dovranno essere assunti da comune e provincia, le società compartecipate dovranno chiudere, gli investimenti realizzati dovranno essere pagati e visto che solo per l’ area fiorentina ammontano a 500 milioni di euro il comune di Firenze dovrà farsi carico di ingenti spese per investimenti che forse saranno irrealizzabili causa il mantenimento dei vincoli europei di bilancio».

Quindi immediatamente fuori i privati. Con tutte le incertezze del caso. Il capofila dei gestori privati toscani è Confservizi Cispel Toscana, l’associazione che li coordina. All’indomani del risultato referendario si è svolto un incontro al quale hanno partecipato i presidenti e gli amministratori delegati delle 7 aziende toscane dell’acqua, rappresentative della gran parte del territorio toscano: Acque Spa (Pisa), Acquedotto del Fiora Spa (Grosseto), Asa Spa (Livorno), Gaia Spa (Lucca), Geal Spa (Lucca), Nuove Acque (Arezzo), Publiacqua (Firenze). Preoccupazione è stata espressa da Alfredo De Girolamo, presidente dell’associazione: «L’opinione pubblica, le aziende di gestione, i lavoratori del settore e le tante imprese che lavorano nell’indotto vivono un momento di grave incertezza legata al possibile stop agli investimenti. Il servizio idrico integrato in senso stretto e tutte le opere ad esso connesso rappresentano una delle principali industrie della nostra regione e non possiamo permetterci che si blocchi per la mancanza di chiarezza su come devono essere sostenuti gli investimenti».

Già, gli investimenti. Secondo alcune stime la rete italiana necessita di oltre 60 miliardi di euro di investimenti in 30 anni, pari a 2 miliardi l’anno. Questi soldi, dal momento che i privati sono stati esclusi, chi li investirà? L’unica soluzione percorribile sembra quella del ricorso al debito. «C’è il rischio che gli investimenti sul fronte fognario e idrico gravino solo sulle spalle dei sindaci», lancia l’allarme il primo cittadino di Livorno e coordinatore dell’Anci regionali, Alessandro Cosimi, che pure si dice soddisfatto dell’esito della consultazione referendaria sull’acqua e passa a «interpretare» il dopo. Infatti, la fotografia attuale sulle ex municipalizzate dell’acqua, conclude il primo cittadino di Livorno, «mette in luce una fortissima discrasia fra le Spa quotate in Borsa e quelle invece che non lo sono, e direi che i referendum hanno in fin dei conti stoppato le prime». Quindi, per Cosimi, sarebbero solo quelle quotate in borsa ad essere nell’occhio del ciclone. Non gli altri, come i gestori toscani.

Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi non ha perso tempo: «Adesso l’obiettivo di tutti, votanti e astenuti, deve essere accettare il risultato del referendum e non cercare di fare come in passato i giochini per far finta di nulla». E così ha dato mandato ai suoi tecnici per cercare 130 milioni e comprarsi il 40% di azioni che Acea spa detiene in Publiacqua spa, attuale gestore idrico fiorentino. «Ma il referendum – si chiede Aduc, associazione per i diritti dei consumatorinon – non aveva abrogato la possibilità che la gestione del bene pubblico acqua fosse affidato a privati? E quindi Publiacqua spa dovrebbe sparire e diventare un ente pubblico, non certamente continuare ad essere una spa a maggioranza pubblica. Inoltre, che questo 40% sia del Comune di Firenze e non di Acea (controllata dal Comune di Roma), cosa cambia?». Altre domande.

Il «Comitato referendario per il Sì», per bocca del portavoce Luca Faenzi, non ha dubbi: la legge per sostituire il decreto c’è già: «Dal 2007 è depositata in parlamento una legge d’iniziativa popolare, promossa dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua con oltre 400.000 firme: dev’essere immediata portata alla discussione ampia e partecipativa delle istituzioni e della società».

Infine, il presidente della Regione Enrico Rossi lancia due proposte per il futuro prossimo: «L’azionariato popolare e quindi la gestione del servizio idrico attraverso una public company, oppure la strada dei fondi obbligazionari che potrebbero essere garantiti dagli enti locali o dalla Regione stessa».

Referendum: STRUMENTO DA CAMBIARE? VAI AL SONDAGGIO

Altra questione aperta: a gennaio 2012 l’abolizione degli AtoIl 31 dicembre 2010 gli Ambiti territoriali ottimali dovevano essere soppressi, dando di fatto tutta la responsabilità di individuare un ‘supplente’ alle Regioni. Prima che la proroga di un anno salvasse le regioni (tutte ferme), soltanto la Lombardia (la Puglia ha approvato un ddl che attende il varo del consiglio regionale) aveva redatto un provvedimento. Altro elemento di incertezza nel quadro servizi pubblici e in particolare per l’acqua. Il decreto Milleproroghe ha rimandato tutto al 31 dicembre prossimo. Ma il problema si ripresenterà nel 2012. Le regioni non erano infatti pronte a sostituirli. I servizi pubblici, in particolare acqua e rifiuti, avrebbero rischiato di trovarsi senza una regolazione, cadendo in un vuoto normativo. La proroga di un anno consente alle regioni di fare chiarezza e di pensare a come sostituirli. Gli Ato sono nati negli anni ’90 con l’intento di superare i confini politici e amministrativi e ridurre la frammentazione delle gestioni. La loro introduzione nel settore idrico risale al 1994 con la Legge Galli. Il processo per la definizione dei confini degli ambiti è stato lungo: queste aree finivano per coincidere non tanto con il profilo geomorfologico o idrogeologico ideale quanto con i confini amministrativi delle province.