Toscana

Attenti alla giustizia a dimensione mercantile

di Umberto SantarelliQuesta volta, all’inaugurazione dell’Anno giudiziario della Corte d’appello di Firenze, la relazione della Procura generale non si è contentata di fornire i dati statistici relativi all’amministrazione della giustizia civile e penale nel Distretto toscano o di prospettare diagnosi tecniche sui «mali della giustizia» in senso stretto (i «difetti della giurisprudenza», come li chiamava il Muratori); ma ha voluto dire alto e forte la sua a proposito dello stato nel quale versa attualmente la Magistratura in questa nostra Repubblica. Non è successo solamente a Firenze: quasi dappertutto i giudici – a parole; e più ancora a gesti, anche solenni – hanno fatto capire il loro stato d’animo, e la loro paura (non solamente per quanto li riguarda direttamente, ma per il rischio che ne deriva al corretto adempimento della loro funzione).

Son cose che non succedono tutti i giorni; e, quando capitano, è opportuno vederci chiaro, perché, se per caso le lamentele hanno un fondamento, bisogna metterci un rimedio, e alla svelta.

Ragionando dell’attuale progetto di riforma delle regole che governano la struttura e l’attività della Magistratura la Procura generale afferma senza mezzi termini che queste nuove regole, «anziché mirare seriamente alle garanzie sostanziali e alla efficienza del servizio giustizia», cercano piuttosto di «trasformare i magistrati in scolaretti».

La Procura parla chiaramente di «crisi nei rapporti con i veri poteri dello Stato, legislativo ed esecutivo», i quali dimostrano «mancanza di comprensione e di dialogo». Se qualche segnale arriva, – dice il dott. Ruello, che ha letto la relazione – «si tratta di insulti», che «sviliscono e feriscono la dignità dell’istituzione di cui facciamo parte». È un discorso molto serio, questo. Per due ragioni: la prima perché si afferma che i poteri «veri» del nostro Stato sono quello legislativo (il Parlamento) e quello esecutivo (il Governo): se questo fosse, sarebbe una tragedia, perché tutti e tre i poteri (anche la Magistratura) devono essere «veri»; e se per caso uno vero non fosse, si sarebbe a un passo dal precipizio. La seconda ragione per la quale queste affermazioni preoccupano è che sembra che si sia tornati all’Antico Regime, quando i giudici erano funzionari del Principe, che li stipendiava perché mettessero a pulito con motivazioni ragionevoli e in bella forma le istruzioni che venivano riservatamente dettate. E anche questo non sarebbe certamente bello. La Procura generale ci crede, tanto da affermare solennemente che oggi in Italia la produzione normativa in materia di giustizia, appare «dettata dalla cura di interessi assolutamente contingenti», e prescinde «spesso totalmente dalle indicazioni e dalle urgenze segnalate dai magistrati»: proprio come facevano i Principi tanti secoli fa.La diagnosi della Procura generale è chiarissima, quando, alludendo al proposito della maggioranza parlamentare di allargare le possibilità di patteggiamento nel processo penale, parla senza mezzi termini d’una «sempre più invasiva dimensione mercantile della giustizia: di modo che oggi sono gli sconti aziendali per tutte le stagioni ad aprire la serie delle agevolazioni e dei benefici, neppure escludendo coloro che anche per libera professione infrangono la legge penale».

Il proposito finale è formulato in modo lapidario: «la Magistratura non sarà mai un corpo di funzionari al servizio dei potenti di turno». Cioè resterà una magistratura moderna, fedele alla propria indipendenza e al principio costituzionale della divisione dei poteri. Costi quello che deve costare. L’Antico Regime non tornerà.

Allora, dirà qualcuno, si può star tranquilli. Nemmen per sogno: perché se la diagnosi fosse vera, se i fatti stessero come dice la Procura generale, ci sarebbe di che vegliare tutta la notte.

Bisognerà cercar di vederci chiaro: non per esser l’uccello del malaugurio, ma per farsi un’idea motivata di come stanno le cose in una materia che non è di certo secondaria.

I dati del 2003La Toscana è da considerare «immune, fino a questo momento, da radicati fenomeni di alta criminalità», ma crescono gli omicidi volontari (45) e i tentati omicidi (62) e, seppure in maniera lieve, aumentano i reati contro la pubblica amministrazione che, soprattutto a Livorno, hanno avuto una forte impennata con alcune inchieste che vedono indagati anche due prefetti. Questi alcuni dei dati sulla criminalità comune contenuti nella relazione con cui l’avvocato generale della repubblica, Gaetano Ruello, ha aperto sabato scorso l’anno giudiziario.

• CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. In Toscana, ha spiegato il magistrato, «non risultano vere e proprie organizzazioni di natura mafiosa». La regione sembra piuttosto «costituire un buon terreno di investimento per organizzazioni malavitose». Si tratta in molti casi di organizzazioni di matrice straniera, che hanno soppiantato le tradizionali reti italiane. In particolare albanesi e slavi hanno il controllo del racket della prostituzione, mentre i nord–africani dominano lo spaccio di droga. Si va rafforzando la mafia cinese, specie a Prato.

• TERRORISMO. La Toscana continua ad essere terreno fertile per il terrorismo interno. Ruello ha ricordato la presenza delle Brigate rosse, svelata in maniera drammatica dalla sparatoria del 2 marzo scorso sul treno Roma–Firenze, e l’attentato all’ovovia dell’Abetone del 21 gennaio 2003.

• PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. I casi sono «in lieve aumento». Ruello ha ricordato l’inchiesta fiorentina – poi passata a Genova per la presenza di un magistrato di Firenze fra gli indagati – su una serie di presunte irregolarità nelle procedure fallimentari e, soprattutto, le indagini livornesi – anch’esse poi finite a Genova per la presenza fra gli indagati dell’ex capo dell’ufficio Gip di Livorno, Lamberti – su un presunto «vero e proprio gruppo di potere» di cui, oltre a Lamberti avrebbero fatto parte anche il prefetto di Livorno, Gallitto, e quello di Isernia, Pesce.

• OMICIDI. Sono in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e particolare scalpore hanno destato quelli commessi a Prato contro due barboni trucidati a bastonate la notte del 20 settembre 2002, seguiti dal tentato omicidio di una donna senza tetto e di un marocchino abbandonato sui binari della ferrovia. Tutti casi ancora irrisolti.

• VIOLENZE SESSUALI. Risultano in lieve diminuzione ma continuano a destare preoccupazione perché molte avvengono in seno alle famiglie, soprattutto quelle di fatto. Sporadici risultano i casi di pedofilia nella regione. Per questo settore di reati a Pistoia il maggior numero di inchieste, con 54 casi registrati.

• OMICIDI SUL LAVORO E AMIANTO. Anch’essi in lieve diminuzione, 33 le persone uccise, contro le 36 del precedente anno giudiziario. In particolare la relazione ha lamentato che continuano le morti di operai della Breda esposti all’amianto, anche se si registra una diminuzione: cinque casi di morte contro i 20 dell’anno precedente.

• AMBIENTE. Preoccupanti per il pg Ruello il numero delle violazioni in materia di ambiente (573) e di tutela del territorio (2.795 le violazioni edilizie e urbanistica).

• FALLIMENTI. Resta alto l’allarme per la criminalità economica legata ai fallimenti. Numerosi i procedimenti per bancarotta fraudolenta. Nel territorio pratese la situazione più allarmante, visto che si passa da 93 a 115 procedimenti iscritti a ruolo.