Toscana

Quei francescani sono da Nobel

DI ANDREA FAGIOLIC’è chi sostiene che padre Ibrahim Faltas possa lanciare una nuova linea di occhiali con lentine ovali scure e stanghette dorate dritte che non curvano dietro l’orecchio. È una battuta, dei soliti toscanacci, possibile ora perché sul dramma della Basilica della Natività a Betlemme è calato finalmente il sipario. Si torna a sorridere e a farsi fotografare davanti a quella Porta dell’Umiltà che mai come nei giorni scorsi è stata inquadrata per ore e ore, giorno e notte, dalle telecamere di tutto il mondo. E lui, padre Ibrahim Faltas, per molti versi, è stato il personaggio più in vista dei 39 giorni d’assedio: da quel 2 aprile in cui i carri armati israeliani si sono appostati minacciosi sulla Piazza della Mangiatoia con oltre 200 palestinesi in ritirata all’interno della Basilica dopo una battaglia furiosa.

Per 39 giorni la speranza ha fatto a turno con la disperazione. Dal convento francescano e dalla Casa Nova attigua alla Basilica dapprima sono usciti alcuni giornalisti (anch’essi rimasti coinvolti nell’assedio), poi qualche frate anziano tra i 40 inizialmente presenti all’interno insieme alle quattro suore di Poggio a Caiano, infine anche alcuni palestinesi, mentre la maggioranza (123) è rimasta asserragliata fino al 10 maggio quando dopo lunghe ed estenuanti trattative si è giunti finalmente alla soluzione: 84 palestinesi liberi dopo l’identificazione, 26 mandati a Gaza e 13 (quelli accusati di terrorismo) spediti a Cipro in attesa di essere presi in consegna da alcuni Paesi europei.

A condurre le trattative dall’interno della Natività, ma anche a mantenere i contatti con l’esterno e con i media di tutto il mondo è stato sempre lui: padre Ibrahim, responsabile dello «statu quo» della Basilica e direttore della Terra Sancta school, che prima della guerra ospitava duemila ragazzi di Betlemme, cristiani e musulmani. L’immagine del francescano aveva già fatto il giro del mondo qualche mese fa attraverso la foto che lo ritraeva dietro alla sedia vuota di Arafat, che non aveva ottenuto il permesso dagli israeliani di partecipare alla Messa della notte di Natale. Ma questa volta, in foto o in video, tutti e in tutto il mondo lo hanno visto. E con lui hanno visto quello che, sia pure «dietro le quinte», hanno fatto gli altri frati e le suore: «Hanno scritto cioè una pagina importante della storia di questa terra – ha detto all’agenzia Sir il Custode di Terra Santa, padre Giovanni Battistelli –. Chi la giudicherà potrà capire l’importanza del loro operato e quello degli altri religiosi, in questa situazione. Sono riusciti, nonostante i morti, a salvare 140 persone. Non è poco avere evitato la tragedia. I frati hanno cercato di rendere calma la situazione senza creare ulteriori turbative, condividendo con i palestinesi quello che avevano da mangiare e da bere. Sono rimasti dentro perché non si aveva nulla da temere né da ebrei né dai palestinesi. Come Custode e frate – aggiunge Battistelli – sono orgoglioso di questi miei confratelli. Sia i militari israeliani che i palestinesi, al termine dell’assedio non hanno fatto altro che abbracciare i frati. Alcuni di loro hanno urlato il nome di padre Ibrahim».

Un «ricordo particolare» per i francescani, i greci e gli armeni ortodossi lo ha avuto anche il Papa domenica scorsa durante il Regina Caeli: Giovanni Paolo II ha riconosciuto ai religiosi di Betlemme i «sacrifici notevoli» con cui «sono rimasti custodi fedeli del santuario».E dalla Toscana, da sempre amica di padre Ibrahim e dei francescani di Terra Santa, non poteva non partire una grande proposta: il premio Nobel per la pace ai frati e alle suore di Betlemme. L’idea è nata da una dichiarazione alla stampa da parte di Rosy Bindi, che ha sottolineato la «determinazione con cui i francescani hanno condivisio le privazioni, i rischi e i pericoli di un lungo e drammatico assedio, impedendo una carneficina e dando una testimonianza di integrale adesione alle ragioni della pace e della dignità dell’uomo. Questa testimonianza – a giudizio della parlamentare di Sinalunga – deve trovare un riconoscimento della comunità internazionale». Da qui l’idea del Nobel subito raccolta dal vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, il francescano Rodolfo Cetoloni, che in una lettera invita gli altri vescovi toscani a farsi «promotori entusiasti della proposta» preparando una mozione da presentare alla prossima assemblea della Conferenza episcopale italiana.La proposta ha già raccolto l’adesione dei comuni toscani gemellati con Betlemme, di numerosi laici «impegnati» e del nostro settimanale, che dall’inizio dell’intifada, nel settembre 2000, ha sempre dedicato particolare attenzione alla Terra Santa potendo anche seguire la delegazione toscana che per ben due volte, a gennaio 2001 e a gennaio 2002, si è recata in Israele e Palestina incontrando gli stessi francescani, ma anche il Patriarca latino Michel Sabbah, il Nunzio apostolico Pietro Sambi, il presidente palestinese Yasser Arafat ed esponenti del governo israeliano.

«La Toscana – dice ora padre Ibrahim (che sabato, tra l’altro, si collegherà in diretta con San Giovanni Valdarno per la fiaccolata della pace organizzata dalla diocesi di Fiesole) – è sempre stata accanto a noi. Le vostre preghiere e le vostre telefonate ci hanno aiutato a resistere e a non perdere mai la speranza».

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