Vita Chiesa

Assemblea Cei, Sinodo: card. Grech, “per la prima volta non solo tutti i vescovi, ma tutto il Popolo di Dio è coinvolto”

Così il card. Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, ha aperto il suo intervento all’Assemblea generale della Cei, che vede riuniti a Roma fino al 25 novembre oltre 210 vescovi.

“La Conferenza Episcopale Italiana ha avviato un Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, previsto per un arco di tempo più lungo di quello assegnato alla XVI Assemblea del Sinodo”, ha fatto notare il cardinale: “Non dev’essere stato facile per voi preparare questo cammino, in gestazione – per quanto ne so – dal Convegno della Chiesa Italiana del 2015 a Firenze, e trovarvi, alla vigilia della vostra 74a Assemblea Generale, a dovervi misurare con la prima tappa del processo sinodale della Chiesa universale, che impegnava tutta la Chiesa e tutte le Chiese”.

“Qualcuno ha accusato la Segreteria Generale del Sinodo di voler strafare”, ha detto Grech: “In realtà, non abbiamo fatto altro che tradurre in un processo articolato e conseguente quanto è stato stabilito da Episcopalis communio, quando ha trasformato il Sinodo da evento a processo”. “Non è facile rendersi conto del cambio di prospettiva che questa scelta comporta”, ha osservato il cardinale: “dalla sua istituzione, il Sinodo dei Vescovi è stato celebrato come un evento che riguardava la Chiesa universale, senza che le Chiese fossero coinvolte immediatamente. Gli esiti del Sinodo toccavano il corpo ecclesiale unicamente quando i pontefici promulgavano le esortazioni apostoliche post-sinodali. Ora, come dice il Documento preparatorio, è tutta la Chiesa ad essere convocata in Sinodo. Per la prima volta non solo tutti i vescovi, ma tutto il Popolo di Dio è coinvolto nel processo sinodale; non solo tutti i battezzati, uomini e donne, individualmente intesi, ma tutte le Chiese sparse per il mondo: si tratta di una decisione di portata enorme, di cui non siamo ancora in grado di misurare gli esiti e le conseguenze”. “Una cosa però è certa: alla base di tale trasformazione del Sinodo da evento a processo sta il principio che l’una e unica Chiesa Cattolica esiste nelle e a partire dalle Chiese particolari”, ha affermato Grech: “In ragione di questa reciprocità e mutua interiorità è stata pensata la doppia apertura del Sinodo, in San Pietro il 10 ottobre e in ogni Chiesa particolare, per mostrare che la Chiesa ‘accade’ nelle Chiese. Chi ha parlato di inutile doppione, non ha compreso quanto già diceva Paolo VI in Evangelii Nuntiandi”.

Di seguito il testo integrale pronunciato dal card. Grech

Carissimi fratelli nell’episcopato, pace! 

Vengo come fratello, senza nessuna pretesa di imporre punti di vista che deriverebbero da  una funzione o da un livello di vita superiori: il mio desiderio è di cercare insieme soluzioni condivise,  che aiutino nella piena realizzazione di quanto il Signore ci chiede e lo Spirito va suscitando con  questo Sinodo «per una Chiesa sinodale». 

Vi ringrazio dell’invito e della possibilità di confrontarmi con voi sul Sinodo appena avviato,  soprattutto in considerazione del fatto che la Conferenza Episcopale Italiana ha avviato un  Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, previsto per un arco di tempo più lungo di quello  assegnato alla XVI Assemblea del Sinodo. Non dev’essere stato facile per voi preparare questo  cammino, in gestazione – per quanto ne so – dal Convegno della Chiesa Italiana del 2015 a Firenze,  e trovarvi, alla vigilia della vostra 74a Assemblea Generale, a dovervi misurare con la prima tappa  del processo sinodale della Chiesa universale, che impegnava tutta la Chiesa e tutte le Chiese.  

Qualcuno ha accusato la Segreteria Generale del Sinodo di voler strafare. In realtà, non  abbiamo fatto altro che tradurre in un processo articolato e conseguente quanto è stato stabilito  da Episcopalis communio, quando ha trasformato il Sinodo da evento a processo. Non è facile  rendersi conto del cambio di prospettiva che questa scelta comporta: dalla sua istituzione, il Sinodo  dei Vescovi è stato celebrato come un evento che riguardava la Chiesa universale, senza che le  Chiese fossero coinvolte immediatamente. Gli esiti del Sinodo toccavano il corpo ecclesiale  unicamente quando i pontefici promulgavano le esortazioni apostoliche post-sinodali. 

Ora, come dice il Documento preparatorio (n. 1), è tutta la Chiesa ad essere «convocata in  Sinodo». Per la prima volta non solo tutti i Vescovi, ma tutto il Popolo di Dio è coinvolto nel processo  sinodale; non solo tutti i battezzati, uomini e donne, individualmente intesi, ma tutte le Chiese  sparse per il mondo: si tratta di una decisione di portata enorme, di cui non siamo ancora in grado  di misurare gli esiti e le conseguenze. Una cosa però è certa: alla base di tale trasformazione del  Sinodo da evento a processo sta il principio che l’una e unica Chiesa Cattolica esiste nelle e a partire  dalle Chiese particolari» (LG 23). In ragione di questa reciprocità e «mutua interiorità» è stata  pensata la doppia apertura del Sinodo, in San Pietro il 10 ottobre e in ogni Chiesa particolare, per  mostrare che la Chiesa “accade” nelle Chiese. Chi ha parlato di inutile doppione, non ha compreso  quanto già diceva Paolo VI in Evangelii Nuntiandi:  

Così il Signore ha voluto la sua Chiesa: universale, grande albero fra i cui rami si annidano gli uccelli del  cielo, rete che raccoglie ogni sorta di pesci o che Pietro trae a riva piena di centocinquantatré grossi pesci,  gregge portato al pascolo da un solo pastore. Chiesa universale senza confini né frontiere eccetto, purtroppo,  quelle del cuore e dello spirito del peccatore. 

Tuttavia questa Chiesa universale si incarna di fatto nelle Chiese particolari, costituite a loro volta dall’una o  dall’altra concreta porzione di umanità, che parlano una data lingua, che sono tributarie di un loro retaggio culturale, di un determinato sostrato umano… Secondo il pensiero del Signore, è la stessa Chiesa che, essendo  universale per vocazione e per missione, quando getta le sue radici nella varietà dei terreni culturali, sociali,  umani, assume in ogni parte del mondo fisionomie ed espressioni esteriori diverse. 

In tal modo ogni Chiesa particolare, che si separasse volontariamente dalla Chiesa universale, perderebbe il  suo riferimento al disegno di Dio, si impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale. D’altra parte, la Chiesa  «toto orbe diffusa» diventerebbe un’astrazione se non prendesse corpo e vita precisamente attraverso le  Chiese particolari. Solo una permanente attenzione ai due poli della Chiesa ci consentirà di percepire la  ricchezza di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari (EN 61-62). 

La reciprocità e “mutua interiorità” di Chiesa universale e Chiese particolari ha ispirato il  processo sinodale e le sue tappe. Anche in questo caso si tratta di una prima volta, con molte novità.  Episcopalis communio si limitava a dire che la fase “preparatoria” «coordinata dalla Segreteria  Generale del Sinodo, ha come scopo la consultazione del Popolo di Dio sul tema dell’Assemblea del  Sinodo» (art. 5, 2). Aggiungeva poi che «la consultazione del Popolo di Dio si svolge nelle Chiese  particolari» e precisava che «in ciascuna Chiesa particolare i Vescovi svolgono la consultazione del  Popolo di Dio avvalendosi degli Organismi di partecipazione previsti dal diritto, senza escludere ogni  altra modalità che essi giudichino opportuna (art. 6, 1). A partire dal dettato conciliare sulla Chiesa  come «corpo delle Chiese», «nelle quali e a partire dalle quali esiste la Chiesa», la Segreteria  Generale del Sinodo, come responsabile del processo sinodale, insiste su alcuni aspetti che vogliono  garantire al meglio il processo sinodale: 

– Il primo è che la consultazione del Popolo di Dio, per quanto qualificata come  “preparatoria”, appartiene al processo sinodale. Negli incontri con il Consiglio di Segreteria,  si è subito evidenziata l’ambiguità dell’aggettivo “preparatoria”, che potrebbe far pensare  a una fase “previa” al processo sinodale. Per tutti era evidente che la consultazione del  Popolo di Dio è già parte del processo sinodale. Interpretare diversamente sarebbe andare  contro il concilio Vaticano II, che riprende dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione la chiara  affermazione che «la totalità dei fedeli che hanno ricevuto l’unzione del Santo (cfr 1Gv 2,  20 e 27) non può sbagliarsi nel credere e manifesta questa proprietà particolare mediante  il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli ultimi  fedeli laici” esprime il suo universale consenso in materia di fede e di morale» (LG 12). Il  Documento preparatorio in questo è chiarissimo, quando afferma la parte del sensus fidei  nel processo sinodale. 

– Il secondo aspetto è che la consultazione del Popolo di Dio si svolge nelle Chiese particolari.  È vero che Episcopalis communio indica anche le Unioni, le Federazioni e le Conferenze  maschili e femminili degli Istituti di Vita Consacrata e della Società di Vita Apostolica, come  pure le Associazioni di fedeli riconosciute dalla Santa Sede, e i Dicasteri della Curia Romana  quali soggetti che possono svolgere la consultazione. Tuttavia, la logica della «mutua  interiorità» tra Chiesa universale e Chiese particolari esige che la forma ordinaria della  consultazione sia quella del Popolo di Dio nelle Chiese particolari: lì «è presente e agisce la  Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica» (CD 11); lì tutti sono chiamati a dare il  loro contributo, secondo la propria vocazione, carisma, funzione, stato di vita. Soprattutto  se si tratta del tema della Chiesa sinodale! Che camminare insieme sarebbe, che ascolto di  tutti sarebbe, se poi alcuni si estraniano dal processo di ascolto della Chiesa in cui vivono  per dare un contributo distinto? Questo non è escluso, ma deve riguardare dinamiche  sinodali interne alle famiglie religiose. Ma ciò che riguarda la vita della Chiesa deve passare  per il canale delle Chiese particolari.

– Il terzo aspetto riguarda la modalità della consultazione: come avete potuto vedere dal  Documento preparatorio, abbiamo cancellato il termine “questionario”, per evitare ogni  equivoco circa la consultazione, che non può e non potrà mai essere un’indagine  demoscopica. Non solo: abbiamo anche scelto di non moltiplicare le domande, ma di  concentrare tutto in un solo interrogativo fondamentale, formulato all’inizio del  Documento (n. 2) e ripreso nel capitolo IV, dove sono proposte le piste per la consultazione  del Popolo di Dio. Al n. 26 si dice testualmente: «L’interrogativo fondamentale, che guida  questa consultazione del Popolo di Dio, come già ricordato in apertura, è il seguente: Una  Chiesa sinodale, annunciando il Vangelo, “cammina insieme”; come questo “camminare  insieme” si realizza nella vostra Chiesa particolare? Quali passi lo Spirito ci invita a compiere  per crescere nel nostro “camminare insieme”?». Il capitolo IV presenta anche dieci nuclei  tematici da approfondire: non si tratta di dieci domande – saremmo di nuovo al  questionario!!! – ma di aspetti dell’unico interrogativo fondamentale. Possono aiutare a  vedere le tante implicazioni della domanda iniziale, quasi fossero tante facce di un prisma;  ma se confondono o inducono nella tentazione del sondaggio, meglio lasciarli e fermarsi  unicamente sull’interrogativo fondamentale. L’importante è che il Popolo santo di Dio  faccia una vera esperienza di sinodalità, nell’ascolto reciproco.  

A questi tre punti ne associo un quarto, sul quale vorrei confrontarmi con voi: il rischio – forse  la tentazione – di voler sovraccaricare il processo sinodale di altri significati e obiettivi, di voler  aggiungere cose da fare per raggiungere ulteriori risultati, oltre l’esperienza condivisa di ascolto del  Popolo di Dio sulla sinodalità e la Chiesa sinodale. Tale rischio riguarda soprattutto chi ha pensato  un percorso sinodale prima della proposta formulata dalla Segreteria Generale del Sinodo. Questo  è il caso del vostro Cammino sinodale, tradotto nella Carta d’intenti presentata al Papa. In essa i  primi due anni sono riservati all’ascolto, il primo dal basso, il secondo dalle periferie. Si tratta di un  progetto armonico, di grande respiro, che potrebbe essere di esempio anche per altre Chiese. Ciò  che può aver infastidito qualcuno è la sovrapposizione dei tempi: la proposta della Segreteria  Generale del Sinodo può essere sembrata un fastidioso contrattempo. Vi ringrazio di aver parlato  da subito di «armonizzazione» dei due percorsi.  

Mi auguro che l’armonizzazione sia tale che vogliate dedicare il primo anno a realizzare la  richiesta di ascolto avanzata dal Sinodo della Chiesa universale. La mia sollecitazione nasce dalla  certezza che giova più un obiettivo realizzato a dovere che due sovrapposti, che ingenerano  confusione. A questo si aggiunga il posto che riveste la CEI per essere la Conferenza Episcopale a  cui formalmente appartiene il Vescovo della Chiesa di Roma. La realizzazione virtuosa del processo  sinodale da parte delle Chiese che sono in Italia sarà di esempio alle altre Chiese e agli altri  episcopati. D’altra parte, tutti sanno con quale insistenza il Santo Padre ha richiesto che si facesse  un Sinodo della Chiesa Italiana. Nella lettera alla Chiesa che è pellegrina in Germania ha ripetuto  come condizione irrinunciabile quanto detto ai Vescovi italiani, di realizzare un Sinodo a partire “dal  basso”, dall’ascolto del Popolo di Dio nelle Chiese particolari. La sottolineatura pone di fatto la  Chiesa Italiana – e perciò le decisioni della CEI – sul candelabro, e non sotto il moggio (cfr Mt 5, 15).  Per questo, un esempio di processo sinodale ben attuato aiuterà tutta la Chiesa nella crescita di  quella mentalità e di quello stile sinodale che tutti attendiamo dalla celebrazione di questo Sinodo.  

D’altra parte, la posta in gioco è alta: ottenere dei risultati senza maturare uno stile sinodale  consegnerebbe la Chiesa a una delusione che comprometterebbe il futuro della sinodalità e della stessa Chiesa. Torno a ripeterlo: meglio che il Popolo di Dio nelle nostre Chiese si confronti  sull’interrogativo fondamentale, piuttosto che parlare di qualsiasi cosa, senza costrutto e  soprattutto senza direzione. Ciò che conta è maturare una vera mentalità sinodale; comprendere  che davvero «la Chiesa è costitutivamente sinodale», cioè Popolo di Dio che cammina insieme, non  solo perché cammina, ma perché cammina sapendo dove va – verso il compimento del Regno – e  perciò si interroga sulla strada da percorrere, ascoltando ciò che lo Spirito dice alla Chiesa. Sono  convinto che il primo e più fondamentale frutto di questa prima tappa del processo sinodale sia la  convinzione, maturata nel reciproco ascolto, che la vita della Chiesa inizia dall’ascolto, come  conseguenza di quella riscoperta della dimensione pneumatologica della Chiesa che il concilio ci ha riconsegnato e che impegna soprattutto noi pastori nel compito irrinunciabile del discernimento.  

«Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che  sentire”», ci ha detto il Papa nel discorso del 50° del Sinodo dei Vescovi. «È un ascolto reciproco in  cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno  in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» (Gv 14,17), per  conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap 2,7)». La consultazione del Popolo di Dio è azione che  compete al Vescovo come principio e fondamento di unità nella sua Chiesa. In forza della sua  potestà propria, ordinaria e immediata sul gregge a lui affidato, è a lui che compete di aprire il  cammino sinodale nella sua Chiesa e di accompagnarlo, perché porti il frutto sperato. Ogni  contributo che giungerà dalle Chiese particolari sarà un dono che ogni Chiesa offrirà alle altre Chiese  e alla Chiesa tutta, nella logica della cattolicità disegnata da LG 13.  

Sempre nel discorso del 50° del Sinodo il Papa diceva che «il Sinodo dei Vescovi è il punto di  convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa». La  Segreteria Generale ha tradotto questo dinamismo in un processo articolato, sviluppando quella  che Episcopalis communio chiama «fase preparatoria» in un movimento continuo di ascolto discernimento, che valorizza tanto il Popolo di Dio quale soggetto del sensus fidei, quanto i suoi  Pastori – sia singolarmente nelle proprie Chiese che riuniti nelle Conferenze episcopali – quale  soggetto del discernimento nella Chiesa ai vari livelli delle istanze intermedie di collegialità. Così si  spiegano i due momenti di discernimento, nelle Conferenze episcopali nazionali e continentali, che  manifestano l’importanza della funzione gerarchica nel processo sinodale. In nessun modo la  sinodalità è un’apertura a concezioni di carattere sociologico, che enfatizzerebbero il protagonismo  dei laici a scapito del Magistero: sempre la prospettiva è quella della relazione, della «mutua  interiorità» tra il Popolo di Dio e i suoi Pastori, tra sensus fidei e Magistero; sempre il processo  sinodale si attua nella circolarità tra sinodalità, collegialità e primato. 

Mi fermo soltanto sui primi due aspetti. Tanto importante è la consultazione del Popolo di  Dio; altrettanto importante il discernimento delle Conferenze episcopali: dall’incrocio dei dati come  emergeranno dai contributi delle diocesi e dalle sintesi delle Conferenze episcopali nascerà  l’instrumentum laboris come frutto di un ascolto a tutto campo. Per la Segreteria si tratterà di un  lavoro immane: per questo sono state costituite quattro commissioni, che si occuperanno della  lettura del materiale, riducendo al massimo il rischio di interpretazioni discrezionali, come poteva  accadere affidando l’esame dei contributi a un solo esperto, come avveniva in precedenza. 

A questa Conferenza episcopale chiedo perciò anche un altro impegno: essere di esempio  nella fase del discernimento. Aiutate tutti a capire che non si tratta di un lavoro affidato a qualcuno, ma esaminate voi stessi il materiale. Trovate un modo veramente collegiale di “discernere” i  contributi delle diocesi. La sintesi che offrite alla Segreteria sia davvero frutto dell’ascolto delle  Chiese che sono in Italia. Questo atto di discernimento aiuterà a comprendere – ne sono convinto  – la natura collegiale delle Conferenze episcopali, nel quadro di una Chiesa costitutivamente  sinodale. È un tema, questo, che merita un approfondimento accurato, in modo che il processo  sinodale garantisca un vero esercizio della sinodalità, della collegialità, del primato. Mortificare uno  di questi aspetti è indebolire tutto il processo sinodale.  

L’atto di discernimento compiuto insieme aiuterà anche nell’impresa di delineare il profilo  del pastore sinodale. Nella sinodalità siamo tutti apprendisti; ma in una Chiesa sinodale, bisogna  che i primi ad essere sinodali, ad avere sensibilità, stile, mentalità sinodali, siano i vescovi. Come  potrà una portio Populi Dei maturare tale dimensione, se il suo principio di unità si muove in  tutt’altra direzione ed esprime altri principi e altri modelli di Chiesa? Non si tratta di ripetere frasi,  talvolta slogan. Io ripeto sempre a me stesso che per essere un pastore sinodale devo: 

– Ascoltare sinodalmente; 

– Parlare sinodalmente; 

– Agire sinodalmente. 

I tre verbi insieme tratteggiano il volto di un pastore sinodale; quando accadono insieme  dicono la coerenza di un pastore sinodale; quando ne mancasse anche uno solo, tutto il discorso  sulla sinodalità si svuoterebbe e diventerebbe contro-testimonianza. Per questo il Sinodo, oltre che  un momento decisivo per la vita della Chiesa, può diventare un’occasione propizia di conversione  anche per noi. 

Roma, 23 novembre 2021