Vita Chiesa

Il difficile «mestiere» del Nunzio Apostolico

di Ugolino VagnuzziFiglio della provincia dei Frati Minori della Toscana, monsignor Marco Brogi è Nunzio Apostolico in Egitto dal 2002, dopo essere stato per alcuni anni in Sudan. Di passaggio a Firenze, nei giorni scorsi, lo abbiamo incontrato presso il Centro Missionario Francescano di San Salvatore al Monte alle Croci.

Eccellenza, è di nazionalità italiana o egiziana?

«Io sono di nazionalità italiana; nato ad Alessandria d’Egitto il 12 marzo 1932 in una numerosa comunità italiana».Come ricorda gli anni della sua giovinezza?«Come posso dimenticarli? Ricordo ben volentieri gli anni prima dell’ultima guerra mondiale, ma non ho dimenticato quelli più tristi durante il conflitto bellico. Allora ero in Egitto. Gli anni del dopoguerra non furono davvero lieti: basta ricordare tutti i problemi e le infinite difficoltà che subì la comunità italiana».

Quando e come entrò a far parte dell’Ordine dei Frati Minori?

«Dopo la maturità scientifica conseguita presso i Salesiani d’Alessandria d’Egitto iniziai a lavorare come impiegato di banca e nello stesso tempo ero iscritto ed attivo in vari movimenti ecclesiali; questi mi dettero la spinta verso la vita religiosa francescana perché c’era in città la testimonianza dei Frati Minori di Terrasanta».

Lei si è laureato a Roma: in quale facoltà?

«Mi laureai in Diritto Canonico presso il Pontificio Istituto Orientale; quindi sono canonista e orientalista».

Per tanti anni lei ha servito la Chiesa presso la Congregazione per le Chiese Orientali fino a ricoprire l’incarico di Sottosegretario: è stato un lavoro facile o molto impegnativo?

«Facile perché collegato alla mia specializzazione, ma anche impegnativo: soprattutto, direi molto interessante per tutta la parte pastorale che mi metteva in contatto con le chiese orientali. Nei primi anni mi interessavo soltanto di quelle dell’Egitto; poi da Sottosegretario l’impegno mi si allargò a tutto il mondo orientale del Medio Oriente, fino a giungere in seguito anche al mondo orientale d’Europa».

Lei il 6 novembre 1998 fu consacrato vescovo dal Papa in San Pietro: quali furono le emozioni di quel momento?

«Momenti davvero indicibili per l’aumento della Grazia che dà il Signore per l’episcopato, nello stesso tempo per la gioia di essere consacrato dallo stesso Santo Padre e infine per quella solennità che non potrò mai dimenticare.

La sua prima esperienza fu nel Sudan: come si trovò nel mondo africano?

«Fu molto interessante, però preferirei parlare non soltanto del mondo africano, ma del mondo arabo-africano perché il Sudan è un Paese di incontro–scontro tra il mondo arabo e il mondo animista e cristiano».

Quali sono le confessioni religiose nel Sudan?

«Nel Sudan ci sono due gruppi etnici: quello musulmano, o meglio arabo, che è quasi al cento per cento islamico, e il mondo cristiano e animista. I cattolici e gli ortodossi sono pochissimi e gli animisti pure».

Come sono le condizioni economico–sociali di quel Paese?

«Esistono grandi differenze perché c’è un mondo arabo e un mondo africano. Quello arabo predomina in senso assoluto ed ha la propria civiltà. I cristiani e gli animisti sono pochi, ma hanno anche loro una discreta cultura e vivono quasi tutti nel Sud del Paese. Vi sono anche gruppi di profughi che si trovano in condizioni orrende. Nel Sud incontriamo ancora dei primitivi, che non hanno la minima cultura».

Lei ha trovato difficoltà ad aprire un dialogo con persone di confessioni diverse?

«Con i cristiani protestanti ho avuto pochi rapporti perché le occasioni che mi sono capitate sono state rare, mentre son riuscito ad aprire un bel dialogo con il mondo islamico ad alto livello, ma non con la popolazione».

Dal febbraio del 2002 lei è Nunzio Apostolico in Egitto. Come si trova nella nuova sede?

«La mia esperienza è molto diversa da quella precedente. La popolazione egiziana è molto più numerosa. L’Egitto è un Paese che ha un’alta tradizione culturale. I Cristiani tutti insieme raggiungono circa dieci milioni. I Cattolici sono circa 250.000. Un fatto da tenere presente: negli anni quaranta–cinquanta in Egitto c’erano ben rappresentate tutte le Chiese ortodosse e cattoliche del Medio Oriente. Oggi queste comunità si sono rarefatte (ad eccezione dei Copti che sono autoctoni) ma hanno lasciato le proprie strutture: ecco perché il Cairo vanta la presenza di sette o otto vescovi, compresi gli ausiliari. Nel resto dell’Egitto abbiamo diversi arcivescovi copto–cattolici. Interessantissima in Egitto la presenza dei Frati Minori, quasi tutti arabi egiziani. Costituisce un forte ponte verso l’Islam. Questi miei confratelli hanno un bel convento al centro della capitale e svolgono un’attività religiosa e sociale ammirevole. E poi come si può dimenticare l’apostolato di tante suore nelle scuole materne e negli ambulatori? Concluderei dicendo che nella nuova Nunziatura affidatami mi trovo in un campo di lavoro dove spenderò ben volentieri tutte le mie energie».

Come vede il mondo cattolico in Egitto?

«I cattolici, come ho detto, sono una minoranza, però hanno una buona presenza. Le loro strutture risalgono a cinquant’anni fa: hanno numerosissime scuole, tanti istituti religiosi, sette maschili e una quarantina femminili, con migliaio di religiose. Al Cairo e ad Alessandria esistono grandi scuole molto apprezzate e frequente da Cristiani e da cattolici, ma i musulmani costituiscono sempre la maggioranza».

Eccellenza, come si comporta con i seguaci del Corano?

«Credo di avere una mentalità molto aperta, quindi seguo le direttive del Vaticano II dialogando, quando mi è possibile, con tutti, ma specialmente con le grandi Istituzioni e in modo particolare con l’Azhar, cioè l’Università islamica sunnita che prepara gli insegnanti e i missionari per tutta l’Africa. Veramente ottimi i miei rapporti con lo sheikh, che sarebbe il giudice supremo. È iniziato il dialogo tra la Santa Sede e l’Azhar ed io, come rappresentante del Vaticano, sono contento di curare questo dialogo islamico–cristiano».

Si dice spesso che l’Africa sarà il nuovo continente cristiano. Lei cosa ne pensa?

«Spero bene. Comunque nell’Africa nera c’è davvero una evoluzione verso il Cristianesimo».

I Cattolici hanno una buona struttura in Africa?

«La mia esperienza africana è limitata al Sudan, dove vi sono otto diocesi cattoliche che hanno una loro intensa attività che ho potuto ammirare. Purtroppo le due diocesi del Nord si trovano in brutte acque per una guerra che è iniziata cinquant’anni fa, e dopo un momento di rappacificazione è riscoppiata più violenta di prima…»

Lei, Nunzio Apostolico, si sente ancora frate minore?

«Non lo metto in dubbio. Credo di avere la mentalità e la spiritualità francescana anche se non vivo in comunità con i frati, infatti sono sempre felice di incontrarli. Spesso vado al Cairo dove vive una numerosa comunità di frati minori. Pur avendo un incarico che mi mette in contatto con la diplomazia internazionale rimango sempre frate minore. Voglio però ricordare che il Nunzio Apostolico all’estero è considerato un “ambasciatore” del Vaticano. In realtà è un delegato della Santa Sede presso le chiese locali e quindi deve avere contatti soprattutto con le autorità civili. Il carisma francescano rimane per sempre in un figlio di San Francesco, anche se ricopre le alte cariche della diplomazia servendo la chiesa: pertanto mi considero sempre un francescano».

Difficili i suoi rapporti con gli egiziani e popoli vicini?

«Difficili non direi. Per ora mi sono incontrato con le autorità civili e religiose e ho tentato di dialogare con loro nel modo migliore e mi è sembrato di parlare con persone molto gentili e rispettose. Capisco che ho un compito molto delicato, ma con l’aiuto di Dio spero di portarlo a termine».

La schedaDal latino nuntius, «colui che porta notizie»: il nunzio apostolico è l’inviato del Papa, cui questi affida la propria rappresentanza personale presso le Chiese, gli Stati e i governi civili nelle differenti nazioni del mondo. Al nunzio il Codice di Diritto Canonico affida il compito di «informare la sede apostolica sulle condizioni in cui versano le Chiese particolari e su tutto ciò che riguarda la vita della Chiesa e il bene delle anime», ma anche di «adoperarsi per promuovere tutto ciò che riguarda la pace, il progresso e la cooperazione tra i popoli» e di «promuovere e sostenere le relazioni tra la Sede Apostolica e le autorità dello Stato», trattando la stipulazione e l’attuazione dei concordati.

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