Vita Chiesa
Il paradosso della missione: oggi più che partire vuol dire «stare accanto»
Ma l’amore, come nell’Incarnazione, ha spesso vie paradossali: «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,8-9). È così che oggi, in questo mondo così fortemente toccato dalla pandemia, anche la missione si trova a dover affrontare un apparente paradosso per incarnare, sempre di nuovo e sempre con maggior fedeltà, il perenne amore di Dio per tutte le sue creature. Quando parliamo di missione, siamo abituati a pensare subito al «partire». Non può esserci missione senza un partire. Ma oggi siamo chiamati a riflettere e a domandarci: in questo 2021 e in questo mondo denudato di tante false sicurezze come ci viene consegnato dal Covid 19, cosa vuol dire «missione»? Qui in diocesi di Floresta, già dopo l’ultima Pasqua abbiamo cominciato un processo di ascolto delle persone per poter elaborare il nostro prossimo piano pastorale triennale, e abbiamo cominciato a chiedere come si sentivano e di cosa provavano più bisogno, come pensavano che la Chiesa, la Comunità dei credenti, potesse aiutare e indicare cammini di rinascita. Le risposte sono state incredibilmente concordi: abbiamo bisogno di presenza, di presenza di pastori, di fratelli e sorelle, di comunità. La missione oggi, più che partire, vuol dire «stare accanto», farsi prossimo. Missione, oggi, è rompere l’isolamento in cui le persone si trovano, ristabilire, nelle forme che l’amore ci detterà, lacci di unità e di armonia, è riscoprire la fraternità che ci unisce e ci dà dignità e valore, è rompere l’indifferenza e l’egoismo che ci separano gli uni dagli altri, è fare del nostro tempo una ricchezza da condividere, perché solo riempiendolo di presenza amica potremo dargli valore autentico.
Ma la missione, normalmente è vista anche come «annunciare», come «parlare». E qui abbiamo la seconda sfida. Oggi la missione deve iniziare nel silenzio dell’ascolto. Troppo abbiamo detto senza ascoltare, troppo siamo stati persuasi di avere tutta la verità, troppo abbiamo fatto tacere le parole, i lamenti, le grida, di tanta parte dei nostri fratelli e sorelle. Risposte frettolose e facili consolazioni non fanno parte del vocabolario della missione, e oggi la vita minacciata, la vita sofferta di molti è terribilmente esigente: dobbiamo ascoltare, dobbiamo imparare a condividere le domande, a sentire quello che passa nel cuore delle persone, prima di dare risposte. Il silenzio umile di che è disposto a condividere la situazione dell’altro, di chi sa «rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e piangere con quelli che sono nel pianto» (Rm 12,15) deve essere la testimonianza forte che, così come il nostro Signore, siamo vicini per condividere, fatti servi per amore e per amare. Se non ci si fa ospiti e fratelli della sofferenza e della speranza delle persone, come poterle invitare ad essere ospiti e fratelli della nostra fede?