Vita Chiesa

Papa Francesco, udienza: «Siamo tutti peccatori. La Chiesa non è una comunità di perfetti»

«Tutti siamo peccatori, tutti abbiamo peccato», ha commentato a braccio. «Matteo era un ‘pubblicano’, cioè un esattore delle imposte per conto dell’impero romano, e per questo considerato pubblico peccatore», ha esordito: «Ma Gesù lo chiama a seguirlo e a diventare suo discepolo. Matteo accetta, e lo invita a cena a casa sua insieme con i discepoli. Allora sorge una discussione tra i farisei e i discepoli di Gesù per il fatto che questi condividono la mensa con i pubblicani e i peccatori». «Ma tu non puoi andare a casa da questa gente», dicono a Gesù. «Chiamando Matteo – ha spiegato il Papa –  Gesù mostra ai peccatori che non guarda al loro passato, alla condizione sociale, alle convenzioni esteriori, ma piuttosto apre loro un futuro nuovo».

«Una volta ho sentito un detto bello: non c’è santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro», ha proseguito a braccio. «È bello questo, questo è quello che fa Gesù». «Non c’è sento senza passato né peccatore senza futuro», ha ripetuto Francesco: «Basta rispondere all’invito con cuore umile e sincero». «La Chiesa non è una comunità di perfetti – ha ribadito il Papa – ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore perché si riconoscono peccatori e bisognosi del suo perdono». La vita cristiana, quindi, «è scuola di umiltà che ci apre alla grazia».

«Superbia e orgoglio non permettono di riconoscersi bisognosi di salvezza, anzi, impediscono di vedere il volto misericordioso di Dio e di agire con misericordia». È l’ammonimento del Papa che ha messo in guardia dalla «presunzione di credersi giusto e migliore degli altri». «Sono un muro», ha commentato a braccio: «La superbia, l’orgoglio, sono un muro che impediscono il rapporto con Dio». Eppure, «la missione di Gesù è proprio questa: venire in cerca di ciascuno di noi, per sanare le nostre ferite e chiamarci a seguirlo con amore». Lo dice «chiaramente», Gesù: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati».

«Gesù si presenta come un buon medico», che «risana dalle malattie, libera dalla paura, dalla morte e dal demonio». È l’identikit del Figlio di Dio tracciato dal Papa. «Innanzi a Gesù nessun peccatore va escluso», ha ammonito Francesco: «Nessun peccatore va escluso, perché il potere risanante di Dio non conosce infermità che non possano essere curate». «E questo ci deve dare fiducia e aprire il nostro cuore al Signore perché venga e ci risani», ha aggiunto a braccio. «Chiamando i peccatori alla sua mensa», ha proseguito, Gesù «li risana ristabilendoli in quella vocazione che essi credevano perduta e che i farisei hanno dimenticato: quella di invitati al banchetto di Dio». Dice Isaia, infatti, nella sua profezia: Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. E si dirà in quel giorno: Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza».

«Gesù non aveva paura di dialogare con in peccatori, i pubblicani, le prostitute. Non aveva paura, amava tutti!», ha poi esclamato, a braccio, il Papa, che commentando il brano evangelico della chiamata di Matteo ha ricordato che «se i farisei vedono negli invitati solo dei peccatori e rifiutano di sedersi con loro, Gesù al contrario ricorda loro che anch’essi sono commensali di Dio». In questo modo, «sedere a tavola con Gesù significa essere da lui trasformati e salvati». «Nella comunità cristiana la mensa di Gesù è duplice», ha detto Francesco: «C’è la mensa della Parola e la mensa dell’Eucaristia». «Sono questi i farmaci con cui il medico divino ci risana e ci nutre», ha commentato: «Con il primo – la Parola – si rivela e ci invita a un dialogo fra amici. La sua Parola penetra in noi e, come un bisturi, opera in profondità per liberarci dal male che si annida nella nostra vita». «A volte questa Parola è dolorosa perché incide sulle ipocrisie, smaschera le false scusanti, mette a nudo le verità nascoste», ha ammesso il Papa: «Ma nello stesso tempo illumina e purifica, dà forza e speranza, è un ricostituente prezioso nel nostro cammino di fede». L’Eucaristia, da parte sua, «ci nutre della vita stessa di Gesù e, come un potentissimo rimedio, in modo misterioso rinnova continuamente la grazia del nostro battesimo».

«Misericordia io voglio e non sacrificio». Il Papa ha concluso la catechesi dell’udienza generale di oggi commentando questa frase del profeta Osea, che «rivolgendosi al popolo di Israele lo rimproverava perché le preghiere che innalzava erano parole vuote e incoerenti». «Nonostante l’alleanza di Dio e la misericordia, il popolo viveva spesso con una religiosità di facciata, senza vivere in profondità il comando del Signore», ha ricordato Francesco: «Ecco perché il profeta insiste: ‘Misericordia io voglio’, cioè la lealtà di un cuore che riconosce i propri peccati, che si ravvede e torna ad essere fedele all’alleanza con Dio. ‘E non sacrificio’: senza un cuore pentito ogni azione religiosa è inefficace!». «Gesù applica questa frase profetica anche alle relazioni umane», ha proseguito il Papa: «Quei farisei erano molto religiosi nella forma, ma non erano disposti a condividere la tavola con i pubblicani e i peccatori, non riconoscevano la possibilità di un ravvedimento e perciò di una guarigione. non mettevano al primo posto la misericordia: pur essendo fedeli custodi della egge, dimostravano di non conoscere il cuore di Dio!». «È come se ti regalassero un pacchetto dentro il quale c’è il dono – ha spiegato Francesco a braccio – e tu, invece di andare a cercare il dono, guardi soltanto la carta nel quale è incartata: soltanto le apparenze, le forme, e non il nocciolo della grazia, del dono che viene dato».

A Lesbo per esprimere vicinanza ai profughi. «Sabato prossimo mi recherò nell’isola di Lesbo, dove nei mesi scorsi sono transitati moltissimi profughi», ha detto il Papa al termine dell’udienza generale di oggi, subito prima di salutare i fedeli di lingua italiana, ultimo «atto» dell’appuntamento del mercoledì in piazza San Pietro. «Andrò, insieme con i miei fratelli il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronymus – ha proseguito Francesco – per esprimere vicinanza e solidarietà sia ai profughi sia ai cittadini di Lesbo e a tutto il popolo greco». «Chiedo per favore di accompagnami con la preghiera, invocando la luce e la forza dello Spirito Santo e la materna intercessione della Vergine Maria», la richiesta ai 22 mila fedeli presenti.

I 1.050 anni del battesimo della Polonia. Salutando oggi i pellegrini polacchi, il Papa ha ricordato i 1.050 anni del «battesimo» della Polonia: «Insieme ai pastori e ai fedeli – le sue parole – ringrazio Dio per questo storico evento, che lungo i secoli ha formato la fede, la spiritualità e la cultura della vostra patria, nella comunità dei popoli che Cristo ha invitato a partecipare nel mistero della sua morte e risurrezione». «Rendete grazie al Signore – secondo le parole di San Giovanni Paolo II – ‘per il dono di essere stati – più di mille anni orsono – battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, di essere stati immersi nell’acqua che, per la grazia, perfeziona in noi l’immagine del Dio vivente, nell’acqua che è un’onda di eternità’». «Chiedo a Dio – la preghiera del Papa – che la generazione presente e le future generazioni dei polacchi rimangano fedeli alla grazia del battesimo, dando testimonianza dell’amore di Cristo e della Chiesa».