Opinioni & Commenti

Festa del 17 marzo, divisi sull’Unità d’Italia

di Giovanni Pallanti

Il 17 marzo prossimo si festeggeranno i 150 anni dell’Unità d’Italia. Molti sanno che tra i più strenui avversari del processo unitario ci furono molti cattolici e dal 20 settembre 1870, quando i bersaglieri entrarono, dalla breccia aperta dai cannoni piemontesi a Porta Pia, nella Città Santa, fino all’11 febbraio 1929, quando Pio XI ordinò la firma dei Patti Lateranensi tra il cardinale segretario di Stato Gasparri e Benito Mussolini, capo del governo italiano, essi furono tutt’altro che complici dell’avvenuta unità con Roma capitale. Ci furono però dei cattolici illuminati che votarono nel Parlamento italiano per il trasferimento della capitale da Firenze a Roma. Tra questi il conte Alessandro Manzoni e il deputato Giuseppe Verdi, uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi.

Anche Antonio Fogazzaro, che cedé il passo per il premio nobel per la letteratura a Grazia Deledda (una delle ragioni che paradossalmente impedirono l’assegnazione del nobel per la letteratura allo scrittore veneto fu il suo contrasto culturale e politico con il Vaticano, che aveva messo all’indice i suoi libri: anche i protestanti svedesi allora tenevano di conto non si sa se per dispetto o per ossequio, le opinioni dei sacri palazzi romani) fu un precursore dell’impegno politico dei cattolici italiani nel Parlamento dove siedevano i maggiori esponenti anticlericali del risorgimento italiano. Il romanzo del Fogazzaro «Daniele Cortis» ne è un fulgido esempio.

Poi ci fu la prima Guerra mondiale dove molti cattolici parteciparono alle battaglie dell’esercito italiano come volontari, con notevole coraggio, basti pensare ad alcuni di loro decorati al valor militare, come don Giovanni Minzoni, don Giulio Facibeni, Giosué Borsi, Igino Giordani, Giovanni Gronchi, Giuseppe Donati e tanti altri. Per rientrare a pieno titolo nella vita civile e politica della nazione essi fecero leva sulla partecipazione a questa cosiddetta quarta Guerra d’indipendenza nazionale. Nacque anche con questa radice il Partito popolare di don Luigi Sturzo. Con l’avvento della dittatura fascista, nell’ottobre del 1922, e soprattutto dopo le elezioni politiche del 1924, i cattolici del Ppi si schierarono con gli antifascisti. Dopo la seconda Guerra mondiale, voluta dall’alleanza tra Hitler e Mussolini, la Democrazia cristiana, guidata da molti esponenti del Ppi, tra cui Alcide De Gasperi – uno dei padri dell’Europa assieme ad altri due cattolici, Adenauer e Schuman – rappresentò un’alternativa democratica e popolare al fascismo e al comunismo. I cattolici con la Dc di De Gasperi, e poi con chi gli succedé alla guida dello scudo crociato e del governo nazionale, per quasi 50 anni hanno governato l’Italia, facendola diventare uno dei paesi più prosperi al mondo. Oggi siamo tra le prime sette potenze industriali del pianeta (ancora per quanto?) grazie ai governi guidati dai cattolici.

Una storia di un popolo è fatta di grandezze e di miserie. Anche quella degli italiani ha conosciuto questi passaggi. Questo non vuol dire che si possa sminuire il fatto che da 150 anni l’Italia è una nazione unita.

Il 20 settembre 1970 il Santo Padre Paolo VI fece un memorabile discorso per esaltare la perdita del potere temporale della Chiesa e quindi la fine dello Stato Pontificio preunitario come una grazia di Dio. Con i Patti Lateranensi del 1929 la S. Sede accettando un piccolissimo Stato territoriale, di cui il Papa era sovrano, si garantì l’indipendenza da ogni ingerenza politica, esaltando così la sua missione universale di annunciatrice del Vangelo di Cristo, scevra da ogni legame con i poteri terreni. Stesso discorso, nella sostanza, ha fatto il 20 settembre del 2010, proprio davanti a Porta Pia, il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone.

Orbene, la cosa più sorprendente di questi giorni è che sia la presidente degli industriali italiani, Emma Marcegaglia, a dire che questa data è bene non festeggiarla perché l’industria italiana non può perdere neanche un giorno di lavoro. Come se i 150 anni dell’unità nazionale si potessero festeggiare non una sola volta nella storia ma quando l’economia italiana ce lo può consentire. Ancora più grave che alcuni dubbi sul festeggiare o meno questa ricorrrenza li abbiano avuti due ministri del governo Berlusconi: Calderoli e Gelmini. In Inghilterra, in Francia o negli Stati Uniti un ministro che mettesse in discussione una festa nazionale di questa importanza sarebbe cacciato dal governo. Il fatto che queste dichiarazioni siano state rilasciate da personaggi di primo piano della vita economica e politica della Repubblica italiana, dimostra che siamo caduti in un baratro di ignoranza e in un collasso morale senza precedenti.

Nel 1961 il centenario dell’Unità fu festeggiato con molta passione civile e con la piena approvazione del governo presieduto da Amintore Fanfani. Altri tempi, altra cultura, altri uomini. Oggi siamo in mano a personaggi che parlano senza il minimo senso dello stato e della storia.