Cultura & Società

Le città fondate dagli dei

di Carlo Lapucci

La città, che per noi è fatta soltanto di esseri viventi, per gli antichi si animava di altre impalpabili presenze che sarebbe lungo anche solo enumerare: divinità minori, geni, ninfe, folletti, streghe, erano ritenuti esseri capaci di entrare quotidianamente nella vita degli uomini abitando le stesse strade, piazze, case, fonti, giardini e case. Soprattutto le case erano animate di presenze invisibili. Sotto il focolare stavano i lari: divinità domestiche, geni d’ogni tipo, custodi d’ogni famiglia che si veneravano con Vesta e i Penati. Apuleio dice che i lari erano le anime di coloro che avevano menato una vita buona nella casa. Secondo Servio il culto dei lari discese dall’uso di seppellire i morti nelle case, nella convinzione di farvi soggiornare le loro anime, per cui divennero geni benevoli e propizi e come tali furono onorati. Questa concezione magico religiosa dura nei secoli e arriva fino a noi per mille credenze e superstizioni, come quella secondo la quale in una casa ci si sente.

Allo stesso modo la città, oltre le varie divinità maggiori e minori, portava misteriosamente nel suo seno le anime dei grandi trapassati, dei quali la terra ospitava gli spiriti. Questi non erano solo gli uomini nati o vissuti dentro quelle mura, ma anche le grandi anime antiche fondatrici di quel popolo. Era uso, per chi andava a fondare una nuova città come una colonia, prelevare dal luogo d’origine qualche manciata di terra e conservarla gelosamente nella convinzione che questa contenesse le anime dei trapassati. Giunti nel luogo destinato dove doveva sorgere la nuova città, tracciato il perimetro, si scavava al centro un pozzo, che i latini chiamavano mundus, vi si gettava quella terra e si richiudeva con una pietra. A Roma due notti l’anno veniva aperto il mundus: erano le notti dei morti, nelle quali i trapassati tornavano a visitare i loro discendenti.

L’altro elemento della fondazione consisteva nel tracciare il perimetro delle mura. Così avviene per la fondazione di Roma, nella quale Romolo segna con l’aratro il solco entro il quale doveva sorgere la città. In realtà egli non pratica un semplice segno di confine, ma fa un’operazione magica: delimita un cerchio entro il quale non possono e non devono penetrare forze estranee e ostili, secondo un rito che Varrone chiama etrusco. Se così non fosse stato, saltare con irrisione il solco da parte di Remo non sarebbe stato un sacrilegio da far pagare con la morte, come fece il fratello Romolo.

Il terzo elemento rituale era il fondatore, che non poteva essere una persona qualunque, ma un sovrano, un eroe, meglio ancora una divinità. Più grande era la sua forza, più durevole, potente, grande sarebbe stata la città. L’Italia, e la Toscana in particolare, sono ricche di questi straordinari fondatori, che trovano la documentazione delle loro gesta soprattutto nei poemi antichi e mitologici. La cosa poteva essere marginale, autorizzare un po’ d’orgoglio, un bel motivo sul blasone, ma il tempo l’ha fatta diventare un elemento non secondario nella storia di molte città.

Ultimo elemento era la consapevolezza, o la volontà, d’infondere nel luogo uno spirito potente e di fondare per i millenni o per l’eternità. Altri riti prevedevano addirittura la sepoltura nelle fondamenta di eroi o uomini valorosi, se non sacrifici umani.

Fiorire di leggende nel periodo medievaleOltre alle tradizioni antiche ci si accorge con meraviglia che le storie riguardanti le mitiche fondazioni d’eroi affiorano spesso in un periodo che corrisponde a quello dei comuni: dal secolo XI al XIV si assiste a continue riscoperte di antiche figure che illustrarono paesi o città, ritrovamenti di tombe di antichi eroi, passioni di martiri locali, imprese di santi collegati a una terra o una città, fondazioni di chiese a questi dedicati, recupero di leggende pagane di fondatori, di sovrani, di passaggi di figure mitiche. È proprio nel periodo in cui il potere spirituale e quello temporale si sgretolano che una terra, una città, nel momento in cui assumono la loro individualità e devono misurarsi con vicini della stessa forza, hanno bisogno, d’una storia, d’un simbolo che cementino l’unione nuova, distinguano una comunità in virtù del suo pensiero, della sua politica, del suo modo di essere. Nella stessa epoca molte città cambiano il santo patrono, si costruiscono chiese a nuovi santi, si riedificano, come a Firenze, cattedrali che cancellano un’immagine superata (Santa Reparata) per onorarne una nuova e più grande (Santa Maria del Fiore). Questo consente in pratica a una comunità di proiettare in un simbolo la sua intima natura, il messaggio, l’idea di sé che ogni popolo vuole comunicare agli altri, soprattutto vicini: una leggenda diviene messaggio d’individualità, d’indipendenza e di libertà. Ripresa di motivi leggendariPer un motivo quasi opposto si ha una seconda messe di leggende nei secoli XVII e XVIII: la società italiana vive sotto signorie: in modi diversi la potenza spagnola estende la sua dominazione quasi dovunque. La cultura si chiude nelle corti, nei conventi, nelle università. Quasi ogni città, anche piccola, ha la propria accademia e il proprio teatro. La Spagna insegna la magnificenza, la pompa, la grandiosità, il blasone, l’araldica simbolica, il gusto per i titoli, per i casati illustri, la nobiltà delle origini. Gli uomini che non hanno antiche origini se le inventano e così fanno anche le città. Ci pensano i letterati, gli autori dei romanzi, dei poemi cavallereschi ed eroicomici, gli studiosi d’araldica e di simbologia a rintracciare i fili esili delle tradizioni e farne robusti canapi di stretto collegamento con le antichità lontane degli dei e degli eroi i quali, mentre passavano per l’Italia, fondavano città, davano nome ai popoli, mettevano al mondo qualche figliolo.

Ad una figura mitica se ne può unire anche una cristiana. Abbiamo così doppie fondazioni di città come Pisa che si dice abbia avuto origine da Pelope e da S. Pietro. Comunque la materia è ricchissima e le leggende, anche se non sono tutte risalenti a tempi eroici, sono ben studiate e congegnate. Qualche eroe più furbo è riuscito a infilarsi anche in alcuni blasoni dei nostri comuni, senza pagare il biglietto. E c’è ancora.

Le leggende che narrano la fondazione delle città antiche, come tante altre hanno poca veridicità storica: a volte solo un esile filo le ricollega a eventi reali, altre, nel caso di eventi mitici nulla è da ricercare come dato storico. Tuttavia dietro i nomi degli eroi, dei popoli, dietro i fatti narrati si nascondono delle verità. Non è per caso che molte città abbiano come fondatori eroi provenienti dalla Grecia o dall’Asia Minore, dall’Egitto. Queste storie raccontano di rapporti molto stretti tra le popolazioni civili di quelle terre e l’Italia, che avvenivano con colonizzazioni, invasioni, penetrazioni di popoli sconfitti e fuggiaschi alla ricerca di un altro destino.

La stessa cosa può dirsi dell’altra provenienza di migrazioni che derivano dalla fondazione di Roma e dai suoi dissidi interni che spingevano frange della popolazione ad andarsene via e fondare un’altra città. Non molte sono le fondazioni cristiane delle città, perché il cristianesimo arriva praticamente su una società già strutturata e quindi con città già esistenti dove presto si abbatterà la furia delle invasioni barbariche che le distruggeranno e alcune le faranno scomparire.

Allora il cristianesimo sarà la forza propulsiva per la sopravvivenza, ricostruzione, la ripresa della vita nelle sue varie forme. Il fenomeno dei borghi, che sorgeranno alla vigilia della ripresa economica dell’Occidente e nel periodo seguente, seguirà questa spinta cristiana. Le sedi dell’attività nuova di elaborazione, trasformazione che si strutturano spontaneamente ai crocevia di strade importanti, agli scali fluviali, nei centri di floride attività agricole, porteranno in genere i nomi dei Santi, senza la pretesa, per ovvi motivi, di farne dei fondatori: la leggenda può molto, ma non tutto.

Pure la tendenza a chiamare una città col nome di una persona persiste. Alessandria, fondata nel secolo XII dal Marchese di Monferrato Guglielmo il vecchio, fu chiamata Cesaria, ma le fu imposto il nome attuale in onore del papa Alessandro III, capo della Lega Lombarda contro l’Impero.

Ma già il Cristianesimo aveva cancellato quasi del tutto l’idea arcaica e magica di una città come organismo vivente, compatto, stretto intorno a un significato e a un destino, che veniva imposto nell’atto di fondazione. Lo spirito del fondatore, attraverso i gesti rituali, si trasmetteva nella realtà concreta, nella terra, nelle mura, negli edifici, facendo un tutto unico con gli abitanti, i quali non erano solo tali, ma figli di quella nuova realtà. La città però chiede tutto al suo «figlio» anche la vita: ognuno deve rendere conto a tutti dei suoi atti. Il mondo privato ha uno spazio esiguo, come del resto era anche nei nostri paesi fino a non molto tempo fa. Gli interessi dell’individuo coincidono in gran parte con quelli della città, che spesso era anche uno stato per il quale si viveva e si moriva. Proprio la morte cementa questo vincolo indistruttibile: la terra diventa la terra di padri, quella dove sono sepolti gli antenati e nella quale hanno sede le loro anime, che la proteggono visitando periodicamente le case dei vivi e ispirando le menti di coloro che operano e governano.

Si può capire quale sia la differenza tra lo spirito di una città fondata con questi principi e sopravvissuta ai secoli, e una realtà urbana moderna che si basa su un complesso di interessi, opportunità dove domina la parte individuale, dove si rende conto delle azioni solo alla legge (o alla stampa), dove pochissimi si conoscono tra loro e il muro che separa un appartamento da un altro allontana di chilometri la vita di chi le abita, tranne che per l’audio della televisione.

Le città sorte in tempi recenti in Toscana non videro né eroi fondatori, né atti di fondazione con sacrifici umani: Pienza, San Giovanni Valdarno, Firenzuola, Grosseto, Livorno sorsero spontaneamente per motivi economici o politici, anche militari. La storia ha visto città che vivono pochi anni, nate e distrutte per opportunità politiche come Castro, eretta dal papa Paolo III Farnese nel 1537 e fatta capitale d’un ducato. Mutata la politica la città, già divenuta fiorente e forte, fu lasciata in abbandono e dopo il 1589 cominciò a decadere e restò inespugnabile fortezza in mezzo alle Maremme, sempre pronta a sollevarsi. Innocenzo X arrivò mise fine alla sua esistenza e fu spiantata dalle fondamenta. L’opera fu portata a termine nel 1649.

Oggi non si costruisce più per l’eternità, né avrebbe senso dal momento che si vedono scomparire due città in cinque minuti sotto le armi nucleari, o altre essere distrutte integralmente sotto bombardamenti a tappeto. La vita contemporanea al tempo stesso distrugge lentamente anche quel poco del nucleo originario, di spirito singolare, che corrisponde a un modo di pensare, di vivere d’una comunità; distrugge purtroppo anche l’amore per la propria città, che pochi ormai sentono come propria. Dice Pascoli: La mia patria or è dove si vive. I cimiteri sono quasi day-hospital, dai quali si sloggia in pochi anni. Non di rado si assiste impassibili o indifferenti all’opera di chi, per meschini interessi o incoscienza, sfigura, stravolge, insudicia, pensando che sia cosa che non lo riguarda. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Non è il caso certo di tornare ai tempi di Enea, Telamone, Amulio, Romolo e Remo, ma una via di mezzo si potrebbe anche trovare.

Fondazioni divine in Toscana

Facciamo qui una breve rassegna delle più note leggende che riguardano la fondazione di città toscane tra le più antiche o le più grandi, mentre per l’ampiezza della materia, ci ripromettiamo di riprendere l’argomento in modo da fare un quadro, se non completo (dato l’argomento ormai dimenticato e sfuggente) in un successivo articolo su Toscanaoggi.

FiesoleLe città d’origine etrusca possono vantare le ascendenze più illustri e Fiesole rivaleggia solo con Cortona per il primato leggendario. La leggenda è assai antica e la riferiscono Giovanni Villani, Fazio degli Uberti, Boccaccio e altri.Atlante, dopo essere stato in Africa, passò Gibilterra e per la Spagna e la Francia, giunse alle Alpi che in poco tempo attraversò, scendendo dal freddo delle nevi verso il Meridione. Chiese allora ad Apollo dove si trovasse il posto più bello per riposarsi e il dio gli disse di scendere lungo il mare fino a un gran fiume, risalirlo finché non fosse arrivato a un colle che non poteva non riconoscere, perché era il più bello che fosse al mondo. Atlante giunse fino alla foce dell’Arno che risalì fino a che non vide un colle pieno di rivi e di fonti, dove viveva un popolo pacifico e laborioso. Atlante allora spianò la cima del colle e dai fianchi della montagna scavò massi grandissimi con i quali fece le mura e i palazzi d’una bellissima città, che si fermò compiaciuto ad ammirare. Poi disse:– Tu fies sola: tu sarai sola! volendo intendere che la città era stata la prima città d’Italia e sarebbe rimasta nei secoli la più bella a dominare sola tutte le terre che le stanno intorno. CortonaCortona vanta la fondazione di Dardano, figlio di Giove (per un’altra tradizione figlio di Atlante) e di Elettra, che fu poi fondatore di Troia. Sarebbe nato a Cortona, secondo quello che scrive Virgilio (Eneide III, 167; VII, 209) e di là si sarebbe recato verso l’Asia. Dice un proverbio, se-guendo la leggenda: Cortona, mamma di Troia e nonna di Roma.Si dice che Dardano combatteva sopra un colle che sovrasta la Val di Chiana e fu colpito da una lancia che gli portò via l’elmo, che non fu possibile ritrovare. Interrogato un indovino, disse che la Madre Terra aveva chiuso l’elmo nel suo seno, poiché voleva che là dov’era stato perduto, sorgesse una città turrita, la quale sarebbe stata impenetrabile e forte come l’elmo di Dardano.Allora l’eroe costruì le mura della nuova città, che ebbe il suo centro proprio là dove aveva perduto l’elmo. La città ebbe nome Corito, elmo, da cui è venuto poi il nome di Cortona. SienaLa fondazione leggendaria di Siena è collegata con quella di Roma. Dopo che Romolo ebbe ucciso il fratello Remo, i figli di questo, Senio e Aschio, per sfuggire allo zio, fuggirono e giunsero in Etruria, fermandosi presso tre colli. Gli abitanti li accolsero e con loro fondarono sul colle più alto una rocca che fu detta Senia, la quale divenne presto ricca e forte.Romolo, venutolo a sapere, mandò loro contro Camelio e Montonio, i quali edificando due fortilizi: Camelio dove oggi si trova Porta Camollia e Montonio là dove è Val di Montone. Venuti a battaglia Camelio e Montonio furono battuti e accettarono di federarsi con Senia e gli abitanti delle tre fortezze formarono un solo popolo. Al sacrificio che sancì la fusione Aschio e Senio sacrificarono ad Apollo e i romani a Diana. Dall’ara d’Apollo si levò un fumo nero e da quella di Diana un fumo bianco, i quali, salendo nel cielo, andarono a confondersi. Questo fu il segno che gli dei gradivano l’unione e così Senia fu Siena ed ebbe per vessillo la balzana bianca e nera. Per simbolo la città ebbe la lupa, come Roma, dalla quale era nata. Lucolena (comune di Greve)Quando gli dei abitavano la terra, Giove amoreggiava con Semele alla quale dava continuamente la caccia Giunone. Giove si mise d’accordo con una certa Lena perché si prestasse a fingersi sposa d’un uomo che altri non era che Semele vestita con abiti maschili. Pose i due in una magnifica valle boscosa e ve li lasciò ad abitare come contadini. Giunone non si accorse di nulla. Qui fu concepito Bacco, il quale sopravvisse quando la madre rimase incenerita da Giove che essa volle vedere nella sua forma divina. Lena educò il bimbo divino e dedicò a lui e alla madre Semele un bosco sacro, che fu detto «bosco di Lena», in latino Lucus Lenae: Lucolena. Bacco insegnò ai contadini del luogo a diboscare le selve e a coltivare la vite. Prima d’allontanarsi concesse a quella terra il privilegio di produrre il vino migliore che vi sia al mondo, cosa che fanno ancora gli agricoltori di Lucolena. AscianoPoiché Senio aveva dato nome a Siena (v. sopra) e ormai era il capo riconosciuto della città, Aschio non volle più restarvi e s’allontanò con alcuni amici nelle campagne per andare a fermarsi in una zona fertile dove tre corsi d’acqua divengono uno. Gli sembrò il luogo migliore per farvi una città e, per vedere se gli dei erano favorevoli, lanciò la sua ascia contro il tronco d’una grossa quercia. L’arma volò dritta verso la pianta conficcandosi con la lama nel tronco e il colpo, fece cadere dalle fronde uno scudo. Aschio interpretò il segno come favorevole e tracciò i confini della città. Le popolazioni intorno si unirono ad Aschio, il quale insegnò loro la coltivazione dei campi, l’alleva-mento del bestiame, la lavorazione del latte. La città fu chiamata Asciano e fu sempre amica di Siena. San GimignanoSul colle dove ora si trova San Gimignano giunsero sulla fine dell’evo antico due fratelli Silvio e Muzio, legionari di Catilina in fuga dopo la sua sconfitta. Arrivati in luogo sicuro dalle vendette dei Romani, i due fratelli si divisero e, raccogliendo intorno le popolazioni locali, fondarono uno un’acropoli che fu detta Silvia e l’altro il forte che fu detto Castel Muzio, che è ancor oggi un paese nella campagna senese. I fratelli e le due città prosperarono vivendo in amicizia. Da Silvia poi sorse San Gimignano. Monterchi e AnghiariVenendo dalla Spagna Ercole giunse in Italia, dove liberò il Monte Aventino dal ladrone Caco. Venuto in Toscana, con un fido amico di nome Angelo, trovò nella Valtiberina una grande palude. Con la sua straordinaria forza liberò la valle dalle acque, regolando i corsi dei fiumi Cerfone, Sovara, Padonchia e Libia che ebbe nome proprio da lui poiché in Libia aveva ricevuto onori divini vincendo il gigante Anteo. Compiuta l’opera, Ercole si dette a costruire una città alla quale dette il suo nome: Mons Herculis e fu Monterchi; mentre Angelo edificò l’altra città che da lui prese il nome Anghiari. PratoPrato si dice fondata da Nicantro e Melissa, la storia si trova anche nel Paradiso degli Alberti di Giovanni da Prato. La maga Circe ebbe da Ulisse una figlia di nome Melissa che, divenuta grande, disse che voleva andarlo a cercare per il mondo. Circe, irata, la tramutò in sparviero. La fanciulla volò verso l’Occidente e giunse nei boschi di Fiesole. Qui rimase presa nel vischio di quattro giovani cacciatori e, non appena fu sfiorata dalla mano d’uno di loro, Melissa riprese l’aspetto di una fanciulla bellissima. Ognuno la voleva sposare e, avvicinatisi alla città, cadde improvvisamente dal busto d’una statua di Mercurio, la testa di marmo. Decisero allora, che avrebbe sposato la fanciulla colui che fosse riuscito a lanciare più lontano la testa della divinità. Mercurio, dio del commercio, che voleva fondare la propria città, fece vincere il suo prediletto, Nicandro. Gli sposi lasciarono Fiesole andando ad abitare nella pianura, dov’era un grande prato e fondarono Prato. ChiusiChiusi, antica città etrusca, fu in un certo periodo la più potente delle città toscane. Si dice che sia stata fondata addirittura da Telemaco, figlio di Ulisse, il quale tracciò il perimetro delle mura aggiogando ben quattro tori. Ma Servio narra che fu Clusio il vero fondatore, figlio di Tirreno che, aveva ereditato il regno della Lidia dal padre Ati, insieme al fratello Lido. La sorte decise che Tirreno partisse e col suo popolo venne sulle coste del mare che da lui prese il nome, fondando una mitica città che fu detta Tirrenia. Clusio, mal sopportando la supremazia del padre si allontanò dalla sua famiglia dicendo che avrebbe fondato una città ben più grande e più forte. Infatti fondò Chiusi, che in breve divenne la città etrusca più potente. PisaSi dice che la città toscana di Pisa sia stata fondata da coloni venuti dalla Pisa dell’Elide o da guerrieri di ritorno dall’assedio di Troia. Il fondatore sarebbe stato Pelope un eroe la cui storia s’incrocia con il mito del cinghiale bianco. Figlio di Tantalo, nipote di Giove, ancora bambino il padre l’offrì, cucinato, in pasto agli dei per provare la loro chiaroveggenza. Giove lo ricompose e lo resuscitò. Sposò Ippodamia e regnò sull’Elide, presso Olimpia, in Grecia. Un vaticinio disse che solo se avesse fatto un viaggio sarebbe stato felice. In una terra lontana, andando a caccia, doveva uccidere un cinghiale tutto bianco. Nel posto in cui la belva era morta, avrebbe dovuto fondare una città e chiamarla Pisa, nome della sua città. Partì con Ippodamia, e, giunti nel mar Tirreno, sbarcarono presso la foce dell’Arno. Là incontrarono un enorme cinghiale bianco, lo ferirono e Pelope, colpito da una zanna, fu salvato da Ippodamia, subito accorsa. Dove morì la belva vi è ora la porta al Parlascio della città che fondò Pelope. La fondazione cristiana di PisaSottomessa da Roma Pisa era andata in rovina e la gente viveva dispersa e sbandata. San Pietro, navigando verso la foce del Tevere, fu sbattuto da una tempesta fuori della rotta ed errando sul mare approdò alle coste pisane, entrando nella foce dell’Arno. Qui fu soccorso dagli abitanti del litorale ai quali predicò la fede di Cristo. In poco tempo nacque una comunità di cristiani e fu edificata una cappella con un altare dove Pietro celebrava la messa. Passando il tempo la gente riprese coraggio, riedificò la città dandole istituzioni cristiane e acclamò Pietro suo vescovo. Ma altra era la sua missione e doveva andare a Roma per essere la guida della cristianità. Partendo lasciò per pastore San Torpè. Ancora si mostra una colonna alla quale Pietro legò la sua navicella toccando la costa. ArezzoL’etrusca Arezzo vanta una rifondazione. Si racconta che dopo che Arezzo fu espugnata da Attila, il feroce guerriero, per punirla della resistenza ostinata, la distrusse pietra per pietra e ne fece arare completamente il suolo. Dal termine arato sarebbe venuto Arezzo. Fazio degli Uberti, nel Dittamondo (Libro III, cap. IX), parlando d’Arezzo, scrive: «Vero è che questa mutò nome e vezzo, / quando Attila la prese, che dappoi / arar la fece tutta a pezzo a pezzo». Si tratta di un’etimologia popolare. PoggibonsiPiccino e Pitecco, due cavalieri cacciati dalla loro patria giunsero là dove ora è Poggibonsi, trovandovi boschi e prati senza abitanti. Col loro seguito di fuggiaschi si nascosero in quel luogo in rozze capanne. Col tempo molta gente dei dintorni s’aggregarono a Piccino e Pitecco, che videro ingrossare il loro piccolo paese. Dopo la distruzione di Fiesole per opera dei barbari, giunsero i fuggiaschi presso la città di Piccino e Pitecco, che li aiutarono a stabilirsi sopra un’altura la quale, dal nome del loro capo, prese nome Camaldo. Venuto a contesa con il popolo di Camaldo un villaggio comandato da Asturpio si scontrarono le schiere e in un duello Asturpio uccise il figlio di Camaldo fuggendo con i suoi fedeli sopra un’altura vicina dove edificarono una fortezza. I tre borghi tuttavia convissero in pace, senza farsi mai guerra, tanto che, quando i fiorentini cominciarono a mettere in pericolo la loro libertà, decisero di unirsi e difendersi, e nacque così Poggibonsi. Secondo un’altra leggenda tale aggregazione di popoli sarebbe avvenuta con altre vicende. MontepulcianoTornato da Roma, che aveva cercato inutilmente di conquistare, il re di Chiusi Porsenna volle riposarsi e cercò un posto tranquillo non lontano dalla capitale del suo dominio. Scelse un rilievo alto sulle pianure, dove sorse quello che poi fu Montepulciano. Là si recò col suo seguito, facendovi costruire una sontuosa dimora per se e case per i cortigiani. La sua salute rifiorì, grazie anche ai vigneti che vi crebbero rigogliosi. La reggia fu il primo nucleo della città che divenne un centro popoloso. Corsignano (Pienza)Corsignano era il nome del borgo sul quale Papa Pio II edificò Pienza. La sua origine è antichissima e risale al romano Silla. Quando questo dittatore ebbe vinta anche Cortona distribuì le terre a coloro che avevano combattuto per lui. Tra questi c’era anche il valoroso Corsignano che si vide attribuire come compenso nel territorio di Chiusi un poggio sassoso e brullo, per cui disse a Silla: – Comandante, mi avevi promesso una vecchiaia agiata e ora mi dai quest’altura sassosa? – Meglio così, Corsignano, gli rispose Silla, tu con i tuoi schiavi edificherai un castello e lo chiamerai con il tuo nome. L’ufficiale si mise all’opera ed edificò Corsignano dandogli il suo nome. TalamoneGli Argonauti, che venivano dal mare dei Liguri, diressero la nave Argo verso la patria, ma un vento fortissimo li spingeva contro gli scogli della costa dell’Italia. Tra gli eroi c’era anche Telamone, guerriero fortissimo, il quale, per salvare la bella nave dal naufragio cadde dalla nave e sparì nei flutti. I compagni, giunti a riva, recuperarono il corpo dell’eroe, ed edificarono in cima al promontorio un tempio dove dettero sepoltura al compagno. Poi innalzarono edifici e le mura d’una città che fu detta Talamone. SempronianoDi due mascheroni, detti di Sempronio e di Cornelia, si dice che siano i ritratti dei caposti-piti di coloro che fondarono il paese di Semproniano. Dopo la tragica fine che fecero a Roma i fratelli Gracchi, i membri della loro famiglia Sempronia, dovettero cercare scampo con la fuga e si diressero in Etruria, fermandosi in un luogo che da loro prese nome Semproniano. In cima alla rocca posero le immagini di Tiberio Sempronio Gracco e di Cornelia, sua moglie: genitori dei fratelli Gracchi. Nei secoli i due mascheroni, per le guerre, le invasioni e le distruzioni, spesso hanno cambiato posto. PitiglianoPetilio e Ciliano erano due giovani romani che, ai tempi della repubblica, facevano la vita dei ragazzi ricchi e tardavano a mettere giudizio. Una notte per scommessa entrarono nel tempio di Giove e sottrassero una corona d’oro. I due profanatori dovettero fuggire nei boschi dell’Etruria non ancora dominati da Roma. Sopra una grande rupe costruirono una rocca e pian piano, dalla foresta si raccolsero intorno a Petilio e Ciliano parecchie famiglie e sorse una città. Dovendo darle un nome ricordarono di quello che era successo a Romolo e Remo, per cui decisero di unire i nomi in uno: Petilio e Ciliano divennero Pitigliano. PontremoliKa Regina di Saba andava per il mondo con un grande esercito e una magnifica corte. Visitò l’Egitto, l’Oriente e Salomone. Giunta in Etruria, dove ora è Pontremoli, si fermò presso le rive d’un lago per far riposare le truppe. Guardando le acque tranquille, disse: – Che bella città potrebbe sorgere là, dove ora nuotano i pesci. Dette quindi ordine ai soldati di scavare un canale e di vuotare il lago. Defluita l’acqua comandò ai suoi architetti di progettare una città, quindi mise carpentieri e muratori al lavoro. In breve tempo apparvero mura, porte, case, palazzi, strade e piazze. Sorse così Pontremoli, per volere e disegno della Regina di Saba.

Altri insediamente in Italia

MantovaSi vuole che sia stata fondata da Ocno, figlio della maga e indovina Manto, che la chiamò col nome della madre. Manto era figlia di Tiresia, grande indovino, e fuggì da Tebe per evitare le persecuzioni del tiranno Creonte. Raggiunse la Valle padana dove morì. Si dice che avesse profetizzato la nascita di Cristo e che fosse proprio lei a dare i Libri Sibillini al Re Tarquinio e a condurre Enea nel viaggio all’oltretomba. In Italia, sposato il dio Tiberino, o Tevere, fu madre di Ocno. Di questa fondazione parla Virgilio (Eneide X, 198 e segg.) quasi fiero d’essere nativo di una città fondata da un’illustre indovina. Dante (Inferno XX, 52 e segg.) riprende la tradizione modificandola sostanzialmente. PadovaFu fondata da Antenore nel 1184 a.C. La data è stata computata su quella ipotizzata per la caduta di Troia, a difesa della quale Antenore combatté. Ma essendo amico di Ulisse e Menelao, sostenendo sempre di restituire Elena e fare la pace, alla fine tradì i troiani. Pare sia stato lui a consigliare i greci di rapire il Palladio e costruire il celebre cavallo. Fu quindi risparmiato e fuggì in Italia sulla costa adriatica, dove fondò Padova, come riferiscono Plinio, Catone, Virgilio. AstiL’eroe mitico Pallante, giunto dalla lontana Arcadia, fondò una città alla quale dette nome Pallanzia, ma le popolazioni indigene, i Tananei, si ribellarono e sconfissero Pallante uccidendolo e portandone via lo scudo e l’asta, la quale fu portata a Pallanzia e confitta nel centro della città, che da questa fu chiamata Asti. Secondo altri la città sarebbe stata fondata dai discendenti di Jafet e dal gallo Brenno. BrindisiStrabone riferisce che sia stata fondata da una colonia di Cretesi, i quali seguirono Teseo dopo la sua spedizione a Creta. Secondo Giustino invece furono gli Etoli che la fondarono insieme a Diomede allorché venne in Italia. Oltre a Brindisi l’eroe avrebbe fondato anche Arpino, Canosa e Benevento. Montemonaco (Ascoli Piceno)Sarebbe stato fondato dai pronipoti di Noè che si sparsero per ripopolare il mondo dopo il Diluvio Universale. L’AquilaUn misterioso generale dei Sanniti Caio Ponzio si dice sia stato fondatore dell’Aquila. Vincitore alle Forche Caudine andava verso la capitale del Sannio e si fermò per riposare in un luogo elevato piantando in terra uno stendardo che aveva tolto ai Romani e rappresentava un’aquila. Quando al mattino dovette riprendere il cammino nessuna forza riuscì a svellere o a tagliare quell’asta. Da quell’auspicio favorevole fu deciso di fondare una città col nome l’Aquila. Ardea  Fu fondata da Ardeas, figlio di Ulisse e di Circe. VercelliSarebbe stata fondata da una nobile troiana, di nome Venere, sfuggita alla rovina della città con il figlio Dicio. Giunta in un luogo fertile e bello, vi si fece costruire una casa o cella intorno alla quale sorse Vercelli (Vemeris cella). TorinoIl mito di Fetonte che, guidando il carro del Sole cadde fulminato da Giove nel Po è forse all’origine della leggenda di un altro Fetonte, principe egizio generato dal Sole, che approdato con la sua gente alle coste italiane conquistò le terre dalla Marca al Varo, chiamandole con nome del figlio Ligurio. Giunto in un luogo magnifico, gli si presentò uno splendido toro, fatto che interpretò come segno di buon augurio, essendo il Bue Api adorato in Egitto. Volle fondare in quel luogo una città che chiamò Torino e dal nome Api chiamò i monti Appennini. Morì annegato nel Po in cui precipitò col suo cocchio. (Emanuele Tesauro, Historia dell’augusta città di Torino, Torino 1679). TarantoSarebbe stata fondata da un mitico condottiero Falanto, a capo di una spedizione di spartani cacciati dalla loro città. Combattendo Sparta contro Messene l’esercito dovette stare molti anni lontano, per cui la popolazione si stava esaurendo. Per questo furono mandati in patria i guerrieri più giovani con l’incarico di provvedere al calo demografico, missione che portarono a termine brillantemente. Ma quando tornarono i soldati dalla guerra non vollero riconoscere cittadinanza e diritti ai nati in loro assenza, che chiamarono Parteni. Per questo, presi armi e bagagli, i parteni dovettero partire agli ordini di Falanto che andò a fondare Taranto. PalermoIl fondatore di Palermo si chiamava con lo stesso nome della città. È raffigurato in una statua detta Genio di Palermo, che si trova in Piazza della Fiervecchia. Il misterioso eroe Palemo, dotato d’immense ricchezze, approdò in Sicilia e, trovato che il luogo era di grande bellezza, vi fondò una città alla quale dette il suo nome.