Firenze

Pasqua: scoppio del carro, volo perfetto della colombina

Una grande folla come ogni anno ha seguito il rito che da secoli accompagna la Pasqua fiorentina. Betori: "Quella luce non può esaurirsi in uno scoppio, tanto meno di un carro, ma necessita di continuità operosa, esige di risplendere in ogni nostro agire quotidiano".

Volo perfetto per la colombina: è il segno che i fiorentini ogni anno attendono come segno di buon auspicio. Innescata dal cardinale Giuseppe Betori con il fuoco del cero pasquale, acceso nella veglia di Pasqua con le pietre portate dal Santo Sepolcro di Gerusalemme da Pazzino de’ Pazzi nel medioevo, la colombina ha percorso la navata per accendere i fuochi del carro, poi è tornata alla colonna da cui era partita, accanto all’altare.

Prima della celebrazione, il cardinale Betori si è soffermato a lungo attraversando lo spazio tra il battistero e la cattedrale, salutando le tante persone presenti. Quindi in duomo il canto del Gloria, e l’avvio dello scoppio del carro, rito antico che simboleggia il dono del fuoco pasquale a tutta la città.

L’accensione del carro, ha affermato Betori, “È per me ogni volta una profonda emozione”. Nell’omelia, ha parlato dei “segni che mostrano come distaccarsi dal Risorto e dal suo potere sulla morte, conduce a esiti che minacciano l’esistenza stessa dell’umanità”. Questo, ha detto “vale anzitutto per le guerre che dividono i popoli, a cominciare dall’aggressione di cui è vittima il popolo ucraino e dal conflitto che oppone nella Terra Santa i due popoli che traggono origine dallo stesso padre, Abramo. E non ci si dica che saranno le guerre a portare la pace, quando è invece solo l’aspirazione e l’impegno per la pace a poter porre fine alle guerre. E come tendere a questo, se non a partire dal ribaltare la logica del dominio in quella dell’amore e del perdono? Questo è il mondo nuovo che Gesù porta con la sua persona e con il suo insegnamento”.

Betori ha parlato anche del rapporto tra l’uomo e la natura che “va riequilibrato se non si vuole passivamente assistere all’estinzione dell’uno e dell’altra. Non si tratta di negare la specificità del genere umano tra le creature del mondo e nello stesso ambiente, ma di articolare la specificità dell’essere uomini e donne in una responsabilità di custodia e di promozione”.

La stessa centralità della persona umana, poi, “va oggi salvaguardata a fronte degli sviluppi che il mondo digitale ci sta prospettando, un mondo in cui l’ampliamento delle conoscenze e della loro operabilità deve fare i conti con la salvaguardia degli spazi della coscienza e della libertà, nella consapevolezza che l’intelligenza artificiale non sarà mai un’intelligenza umana. Perché se gli algoritmi prenderanno il sopravvento sulla possibilità di scelta, allora la logica della quantità prenderà tristemente il sopravvento su quella della qualità, e soffrirne saranno anzitutto i più poveri”.

Tra le questioni sociali, “Non possiamo non preoccuparci per il futuro di una società in cui cala inesorabilmente il tasso di natalità; la famiglia viene dimenticata da parametri socio-economici individualisti; la casa è un bene per molti inaccessibile, in specie per i giovani, e la diminuzione dei residenti rende di fatto impossibile dare forma a un tessuto sociale davvero umano; il lavoro è segnato da incertezza e perfino non garantito nella salvaguardia della vita; la situazione nelle carceri continua a non stare a cuore a chi avrebbe il dovere di farne luoghi non di pena ma di redenzione; il pur doveroso confronto sociale fatica a trovare i necessari punti di incontro e di condivisione, succube delle logiche del consenso e del potere, a scapito della ricerca del bene comune, come anche dei ricatti di una cosiddetta controcultura che cancella la storia, pone veti a chi pensa in modo diverso, nega di fatto la libertà; e , infine riemerge con forza una cultura che vuole illudere di porsi dalla parte della vita – quella degna, dicono, stabilita con criteri di evidente soggettività – procurandone la morte e non facendosi carico della cura”.

In questa situazione, il Vangelo dà un orientamento indicando strade di bene. “Quella luce – ha concluso – non può esaurirsi in uno scoppio, tanto meno di un carro, ma necessita di continuità operosa, esige di risplendere in ogni nostro agire quotidiano. È l’augurio pasquale che formulo per me e per tutti voi”.

Nella veglia, l’arcivescovo aveva detto: “Questa è la notte dello stupore, della meraviglia suprema di fronte al supremo dono di Dio, la Risurrezione di Gesù e nostra. Lo stupore è parte importante della nostra esperienza umana. Guai a chi è incapace di stupore!” I motivi di stupore in questa notte santa non sono però finiti, celebriamo e contempliamo, pieni di gioia, un altro segno di vita nuova, di una vita che vince la morte. Un segno grande stanotte per noi è la presenza dei catecumeni che ricevono il sacramento del Battesimo. Colui che riceve il battesimo si immerge nel mistero della morte di Cristo per risorgere con Lui alla nuova vita dei Figli di Dio, alla vita eterna che non avrà mai fine. È la fecondità della Chiesa Madre che noi contempliamo, è la divina fecondità dello Spirito che genera nuovi figli destinati alla vita eterna. Insieme a loro accogliamo con gioia un nutrito gruppo di membri del Cammino neocatecumenale che concludono, in questa notte pasquale, il loro percorso formativo in vista di una piena, totale e perpetua sequela di Cristo”.