Ai confini tra il genio e la follia: «A BEATIFUL MIND»

DI FRANCESCO MININNI

È evidente che Ron Howard non è un autore, almeno non nel senso dell’uomo di cinema che segue il progetto dalla prima idea all’ultima seduta di montaggio. Il valore dei suoi film è strettamente collegato alla validità del testo e alla bravura degli attori. «A Beautiful Mind», in questo senso, potrebbe essere il suo miglior film: non rischia niente, ha una confezione meticolosamente studiata, dice alcune cose e ne tace altre a seconda della convenienza, ma vive di notevolissime intuizioni espressive e di un cast in odore di Oscar.

È la storia di John Nash, genio matematico tormentato e irrequieto che, prima di ottenere nel 1994 il premio Nobel per l’economia, passò attraverso il calvario della schizofrenia mettendo a repentaglio una mente fuori del comune, una moglie bella e innamorata, un figlio da crescere e alcune particolarissime capacità come quella di saper intuire la decrittazione dei codici segreti che gli valse il sincero interesse dell’Fbi all’epoca della guerra fredda.La sceneggiatura di Akiva Goldsman, tratta dal libro di Sylvia Nasar, ha il gran merito di rendere con estrema chiarezza il problema della schizofrenia. Molto semplicemente, lo spettatore è posto in modo da osservare le cose dal punto di vista del protagonista: si renderà conto della malattia soltanto quando diverrà un’evidenza per tutti, ma fino a quel momento crederà veramente che tutto ciò che vede e sente non sia altro che realtà. Così Goldsmith e Howard pescano il jolly vincente: non la descrizione di una malattia dall’esterno, ma la possibilità di viverla dall’interno, il che rende tutto molto più chiaro e persino impressionante. Qualcuno potrebbe lamentarsi di non riuscire a percepire la grandezza matematica di Nash: gli rispondono le parole di Nash stesso che, molto schivo per tutto ciò che riguarda le proprie scoperte, è stato invece prodigo di parole su quel periodo «when I was insane» («quando ero pazzo»). Naturalmente «A Beautiful Mind» non esisterebbe senza Russell Crowe: la sua interpretazione dolorosa, sommessa, incalzante e mai sopra le righe lo allontana non poco dalla mitologia del «bello e macho» in cui «Il gladiatore» avrebbe potuto confinarlo. Si potrebbe dire che, avendo vinto un Oscar per quel film, Crowe ne meriterebbe tre o quattro per questo. Al suo fianco Jennifer Connelly, promessa adolescenziale da rivalutare nella maturità, e un Ed Harris straordinariamente adattabile a qualunque ruolo.

Chi conosce meglio alcuni particolari della vita di Nash noterà che il film di Howard ignora alcuni episodi che avrebbero potuto essere più difficilmente accettati dal grande pubblico (riguardanti soprattutto la sfera sessuale). Niente di strano: anche un film intenso e sfumato come «A Beautiful Mind» fa parte del meccanismo commerciale e non può esimersi dal rispettare le regole del gioco.

A BEAUTIFUL MIND (Id.) di Ron Howard. Con Russell Crowe, Ed Harris, Jennifer Connelly. USA 2001; Drammatico; Colore