Il film: “Cane che abbaia non morde”. Prima di «Parasite», storie di ordinaria follia dalla Corea

Invece, in Italia almeno, l’opera prima di Bong arriva con ventitré anni di ritardo, cosa che permette comunque di apprezzare ex-post la chiarezza di intenti che già distingueva il cinema del regista dagli esordi.

La scena si svolge all’interno di un grande complesso residenziale, un maxi-condominio in cui vive, tra gli altri, Ko Yun-ju, ricercatore universitario precario in piena crisi: a lavoro non riesce a ottenere il posto di professore per via della corruzione endemica nel dipartimento, mentre a casa viene maltrattato dalla moglie Eun-sil che lo disprezza. Quando il cane di uno dei vicini comincia ad assillarlo col suo costante abbaiare, Yun-ju decide di risolvere in modo drastico almeno uno dei suoi problemi.

Per la sua opera prima Bong Joon-ho prende il titolo di un romanzo popolarissimo in estremo oriente («Il cane delle Fiandre» della francese Ouida) e lo associa a un suo ricordo d’infanzia, un cane morto rinvenuto sul tetto della propria palazzina che il sé bambino temeva potesse essere mangiato dai guardiani. Il risultato è una commedia nera surreale e potentemente satirica, un modo per il regista di sottolineare le storture, le ingiustizie, le ipocrisie di una società teoricamente meritocratica ma di fatto plutocratica.

Tutti i personaggi del film sono dei perdenti assoluti per il “sistema”: lo sfigatissimo protagonista di Lee Sung-jae, ma anche la contabile tontolona che sogna una facile fama televisiva (Bae Doo-na), il custode che può assicurarsi un pasto caldo solo mangiando i cani del vicinato (Byun Hee-bong), la pensionata che non ha altro da lasciare in eredità che radici secche (Kim Jin-goo), la donna in carriera licenziata perché incinta (Kim Ho-jung), il senzatetto felice di essere arrestato perché in galera non gli manca da mangiare (Kim Roi-ha).

In questo contesto di assoluta miseria umana il cane domestico diventa un simbolo delle contraddizioni del capitalismo sudcoreano (e non solo): nel film si vedono solo cani di razza, uno Shih Tzu, un Pinscher nano, un barboncino, emblema delle risorse, dei soldi, del cibo spesi in vezzi quando a una parete di distanza altri esseri umani fanno la fame.

Quella del protagonista contro i cani del vicinato è perciò una crociata simbolica: Yun-ju, gran lavoratore penalizzato da un sistema corrotto, trova un simbolo su cui rifarsi, l’immagine di una società fatta di sprechi, ostentazione del lusso, spudorata inosservanza delle regole (i cani sarebbero vietati nello stabile, si mette subito in chiaro).

L’ottimo montaggio di Lee Eun-soo viene messo a buon uso da Bong Joon-ho che dirige i propri personaggi come strumenti di un’orchestra, li muove con una perizia invidiabile per un esordiente in incontri, scontri e sovrapposizioni che generano scene bizzarre e divertenti, rese ancora più curiose dalla fotografia iper-realistica di Cho Yong-kyou.

Anche a distanza di vent’anni, «Cane che abbaia non morde» non perde il proprio humor nero, la propria efficacia satirica, la propria forza tematica, e delinea già chiaramente il sistema di specchi deformanti che Bong Joon-ho userà per illuminare gli angoli bui del proprio paese. Un esordio che sarebbe stato un peccato perdersi.

 

CANE CHE ABBAIA NON MORDE di Bong Joon-ho. Con Lee Sung-jae, Bae Doo-na, Kim Ho-jung, Byun Hee-bong. Corea del Sud, 2000. Commedia.