Il film: forte di 9 premi Goya, arriva sui nostri schermi «As bestas»

Questa cerimonia, che funge da introduzione allegorica a tutta la vicenda, si chiama rapas das bestas: comporta una fisicità e una virilità che la macchina da presa evidenzia grazie al ralenti, facendone emergere il sottofondo sessuale sublimato nella lotta con una natura indomita.

Segue un’altra sequenza, in osteria, dove assistiamo, con inquadrature avvolgenti, ai discorsi scurrili e piccati di alcuni avventori che esibiscono tutta la loro mascolinità tossica. Tutto questo serve a darci le coordinate psicologiche e sociologiche della trama: in un villaggio galiziano, ormai spopolato e senza lavoro, viene offerto agli abitanti di cedere i loro terreni per impiantarvi delle pale eoliche.

Una multinazionale in quel modo produrrà, sì, energia pulita, ma snaturerà il paesaggio e svuoterà per sempre i piccoli centri. Per i paesani è più allettante avere subito quei soldi, scendere a valle e rifarsi una vita che restare lì a faticare con l’allevamento e quel poco di coltivazioni che riescono a ottenere. Al fine di procedere all’installazione, però, occorre la maggioranza assoluta dei residenti, e questa manca a causa di Antoine e Olga, una coppia francese stabilitasi lì per praticare agricoltura biologica e ristrutturare le vecchie case abbandonate in vista di un utopistico ripopolamento. I due sono di mezza età, colti, di poche parole ma cordiali, hanno avuto varie opportunità dalla vita e ora hanno scelto di vivere ritirati in quel luogo dimenticato. Però sono contrari alle pale e soprattutto sono stranieri. Come nella tradizione dei classici western, su di loro si concentrerà l’ostilità sempre più spietata dei nativi, in particolare quella di due fratelli, Xan e Lorenzo, campioni di un testosterone che sfoga nella prepotenza tutte le pulsioni insoddisfatte.

Nel corso della trama noi sposiamo le ragioni di Antoine e Olga, vittime di un’intolleranza brutale nonostante tutti i loro tentativi di dialogo; ma il regista ha l’abilità di farci entrare anche nel ragionamento rozzo e utilitarista dell’altra parte, quella di un’umanità regredita, un po’ deforme e maleodorante, scorretta, che non ci piace eppure c’è e che non ha intenzione di rinunciare alla propria fetta di torta. Anche se è una torta scadente.

Il vero conflitto, però, si colloca su un altro piano: quello dell’amore. La coppia sposata è una vera coppia fondata sul rispetto reciproco, sul dialogo, sulla comprensione e la complementarietà. E questo equilibrio si contrappone sia allo stile di vita dei due fratelli zotici, sia a quello della figlia più civilizzata di Antoine e Olga che è passata di esperienza in esperienza senza costruire nulla di stabile. Un amore, il loro, capace di diventare dono: Antoine prima di imbattersi nell’agguato di Xan e Lorenzo si bagna nel torrente quasi a purificarsi come vittima sacrificale. E nel successivo intrico di corpi – che richiama la sequenza iniziale – la sua bocca ansimante sarà mostrata in verticale a evocare altre urgenze istintuali malamente represse. Olga, invece, offre prossimità alla madre dei suoi nemici: perché il dolore, direbbe Saba, «è eterno, / ha una voce e non varia», che sia quello dei perseguitati o dei persecutori.

Rodrigo Sorogoyen, regista in ascesa, sa imbastire un film solidamente narrativo, inquietante nella dinamica delle quotidiane malvagità, teso verso uno svelamento finale. Fra le righe, poi, riesce a inserire degli elementi di riflessione che rimandano a dei comportamenti archetipici e a dei valori universali nei quali tutti ci possiamo riconoscere.

 

As bestas – La terra della discordia

Regia: Rodrigo Sorogoyen; sceneggiatura: R. Sorogoyen e Isabel PeñÁlex de Pablo; musica: Olivier Arson; interpreti: Maina Foïs, Denis Ménochet, Luis Zahera, Diego Anido, Marie Colmb; distribuzione: Movies Inspired; formato: 2,39:1; origine: Spagna, Francia 2022; durata: 137 min.