Il film: “Il ritorno di Casanova”, rilettura surreale e vagamente autobiografica del classico racconto di Schnitzler

Lo fa anche Gabriele Salvatores, che col suo ultimo lavoro si mette in dialogo diretto nientemeno che con Federico Fellini; non tanto però, come si potrebbe immaginare, con il suo «Casanova», quanto piuttosto con «8½» e con tutto quello che il capolavoro felliniano rappresenta in termini di riflessione su di sé e sulla propria arte.

La storia segue Leo Berardi, regista sul viale del tramonto, in procinto di completare un film tratto da «Il ritorno di Casanova» di Schnitzler. Un po’ perché si identifica con il malinconico seduttore invecchiato, un po’ perché travolto da una nuova storia d’amore con la più giovane Silvia e con la scelta che questa gli presenta, Belardi si blocca, preda di una paralizzante depressione.

È evidente come Belardi sia in realtà un avatar di Salvatores stesso, e che quindi Toni Servillo, novello Marcello Mastroianni, sia chiamato a portare sullo schermo i dubbi, le paure, gli interrogativi artistici e personali del regista.

Salvatores rivede completamente il proprio modo di approcciarsi al cinema, mette in dubbio le proprie motivazioni artistiche fino ad avanzare il dubbio che realizzare un film dietro l’altro sia in fondo un modo per fuggire dalla “vita vera”, che comunque attende e interroga con scelte da prendere e cambiamenti da attraversare. Quando la vitale Silvia di Sara Serraiocco pone il protagonista di fronte a una scelta che potrebbe cambiargli la vita privandolo di tutte le sue confortevoli abitudini, Berardi si spaventa e smette di scegliere del tutto. Il montaggio di un film è di fatto una questione di scelte, quindi lui delega tutto il lavoro all’amico Natalino Balassi, splendido omaggio a uno dei mestieri più delicati e difficili della macchina cinematografica.

Salvatores racconta questo momento di paralisi con qualche eccesso di retorica di troppo (la smart house che si ribella contagiata dall’umore del protagonista, simbolo di una comfort zone in pericolo), ma anche con una disarmante sincerità e una disposizione a mettersi a nudo, pure letteralmente come nel duello finale tra Fabrizio Bentivoglio e Angelo Di Genio au naturel.

Con notevoli trovate registiche nel montaggio alternato, poi, la storia di Belardi/Salvatores si riflette in quella del vecchio Casanova, con bruschi passaggi da un bianco e nero quasi noir della vita al di qua dello schermo ai colori brillanti e alle ricostruzioni rosselliniane di quella al di là di esso, fino a un bel parallelo che vede Casanova tornare alla nativa Venezia dove un imbonitore presenta la lanterna magica “che cambierà il mondo”, mentre Belardi approda al Lido per la prima del film al Festival.

Il confronto con Fellini è impari, ma Salvatores continua a stupire per la costante capacità di tentare nuove vie e nuovi linguaggi, di cambiare registro e stile, anche quando affronta le stesse storie come con il penultimo «Comedians», diversissimo dal suo secondo film «Kamikazen – Ultima notte a Milano» pur essendone il remake.

Qui, tra giochi di specchi, rimandi e ammiccamenti, Salvatores sceglie di parlare di sé filtrandosi in un avatar fittizio che si riflette in un personaggio letterario, espone al pubblico dubbi, riflessioni e autoanalisi. Con tutte le evidenti imperfezioni, comunque un bel viaggio.

 

IL RITORNO DI CASANOVA di Gabriele Salvatores. Con Toni Servillo, Fabrizio Bentivoglio, Natalino Balasso, Sara Serraiocco. Italia, Francia, 2023. Drammatico.