Il film: “L’amore secondo Dalva”, il riscatto di una ragazzina dagli abusi sessuali scambiati per normalità

Lei si divincola, urla, riesce a liberarsi per raggiungere il genitore, poi viene ripresa e portata via. C’è qualcosa di strano nel suo viso: è bambina, sì, ma ha un’acconciatura che la rende adulta e un’espressione determinata a resistere, fuggire, non sottomettersi ai nuovi arrivati che violano l’intimità domestica, il legame tra lei e quell’uomo che chiama per nome, Jacques, e non papà.

La realtà esterna che irrompe si traduce poi in una dottoressa, gentile ma ferma, intenta a visitarla e ad accertarne l’integrità pisco-fisica, e poi gli assistenti sociali, uno in particolare, da cui viene presa in carica. In poche parole, Dalva è vittima di abusi sessuali da parte del padre, ma lei non si sente tale: è complice di quell’uomo che l’ha fatta sentire donna prima del tempo, che evidentemente la gratifica con abiti di pizzo, trucchi, gioielli come se fosse sua moglie. La mamma di Dalva, in effetti, non c’è; è fuggita da quell’uomo e si è rifatta una vita, come scopriremo, pur, se possiamo crederle, avendo tentato invano di ritrovare la figlia.

Non siamo in qualche landa sottosviluppata, ma nel civilissimo Belgio che i fratelli Dardenne ci hanno abituato, ormai da anni, a conoscere anche nei suoi anfratti di arretratezza, illegalità, ipocrisia, disumanità. E l’opera prima della regista Emmanuelle Nicot sembra proprio inserirsi su quella scia cinematografica, con la secchezza della messa in scena, la macchina da presa addosso agli interpreti, il formato dell’inquadratura che non concede spazio all’ambiente circostante, la musica essenziale. Il vero paesaggio sono i volti, a partire da quello di Dalva secondo la quale l’amore è solo quello deviato che ha conosciuto nella sua esperienza familiare e che l’ha privata dell’infanzia. Lei non si sente ragazza, rifiuta di vestirsi come le altre con felpe e jeans, sa che una signora non può essere mai volgare e deve sempre compiacere il suo uomo. Noi proviamo orrore per tutto questo, ma Emmanuelle Nicot sa penetrare nelle contraddizioni di una psiche comunque bambina che cerca disperatamente di dare e ricevere amore.

Lo fa con rispetto umano, con estremo pudore, pur raccontando le conseguenze di una realtà aberrante che purtroppo la cronaca ci racconta ogni giorno e che probabilmente è ancor più complessa quando è gravata dalla complicità tra la preda e il suo carnefice. Siamo di fronte a uno scandalo di quelli a cui allude Gesù quando ammonisce chi ne è responsabile che sarebbe meglio per lui finire in mare legato a una macina da mulino: non tanto, in questo caso, la pedofilia o l’incesto in sé, ma il rischio per Dalva di perdere la fede nella vita, l’innocenza della sua età, la bellezza delle relazioni umane. Però altrettanto evangelicamente la sua storia avrà una possibilità di riscatto, di prossimità, di amicizia all’interno di un luogo dove si trovano altri reietti, altri scarti sociali, altre vittime in cerca di amore. E paradossalmente, nel caso di Dalva, il racconto di formazione non consiste nel diventare grande, ma nel tornare piccola, nell’adeguarsi alla sua età, nel tagliarsi i capelli e togliersi il rossetto. E infine nel saper guardare all’incarnazione del Male senza subirne più il fascino.

L’amore secondo Dalva (t.o.: Dalva)Regia e sceneggiatura: Emmanuelle Nicot; fotografia (colore): Caroline Guimbal; musica: Frédéric Alvarez; montaggio: Suzana Pedro; interpreti: Zelda Samson, Alexis Manenti, Fanta Guirassy, Jean-Louis Coulloch’; origine: Belgio/Francia, 2023; formato: 1,37:1; durata: 83 min.