Il film: «Rapito», un nuovo tassello nell’universo di Marco Bellocchio

E un film può solo stimolare gli spettatori ad approfondire con altri strumenti critici quella pagina che non fa certo onore al nostro passato ecclesiale. Il limite di qualunque film “basato su una storia vera” è di spingere lo spettatore a dare un giudizio su dei fatti reali non su una base documentata, ma emozionale. Pertanto cerchiamo di valutare quest’opera importante concentrandoci sul percorso creativo del suo autore e non sulla ricostruzione più o meno fedele degli eventi, per la quale la presenza di Bellocchio o di qualcun altro dietro la macchina da presa non avrebbe fatto grande differenza.

Per il regista di Bobbio, da sempre impegnato in un corpo a corpo con temi quali la famiglia, la fede, l’esercizio del potere su base affettiva, il fascino e la repulsione per la Chiesa, il raggiungimento di una maturità interiore, questa vicenda offriva spunti a non finire. E infatti potremmo dire che sullo schermo il bambino Edgardo Mortara si trova a dover gestire un dissidio di sentimenti tra una madre e un padre naturali (determinata lei, affettuoso ma maldestro lui) e un padre-madre fusi nella figura di Pio IX che lo fa rapire, lo coccola amorevolmente, lo forma e lo redarguisce di fronte all’eccesso di zelo che rivela nel giovane un conflitto interiore tutt’altro che risolto.

Si vedano in proposito le scene parallele di quando Edgardo cerca rifugio sotto l’ampia gonna della mamma e poi quando viene nascosto per gioco sotto il manto papale: dalla prima verrà portato via nonostante i tentavi fallimentari di salvarlo da parte di suo padre (e il momento del distacco è ricalcato sul Monello di Chaplin, scena straziante a suo tempo inserita da Bellocchio in VincereLa nona ora di Cattelan, sia quando, durante la traslazione della salma, perde ogni inibizione e da difensore del papa si trasforma in un contestatore esagitato.

Ogni personaggio rimanda all’universo creativo del regista, dall’evocazione dell’Aquilone di Pascoli (poeta sempre presente nei suoi film) tramite il gesto carezzevole della mamma di un compagno morto di Edgardo, all’atteggiamento delirante dell’inquisitore Feletti che si rifiuta di rispondere al magistrato italiano perché non ne riconosce l’autorità, così come cent’anni dopo faranno i brigatisti rossi rapitori di Moro. Ma coloro che stanno più a cuore a Bellocchio sono evidentemente i tre personaggi visionari: la mamma di Edgardo, che lo vede presente in famiglia durante lo Shabbat; Pio IX, che vede animarsi le vignette satiriche che lo riguardano e sogna dei rabbini pronti a circonciderlo; Edgardo stesso, nel momento centrale del film, quando toglie i chiodi al crocifisso in chiesa e vede Gesù scendere dalla croce vivo e sano: magnifica riconciliazione interiore rispetto al peso della secolare accusa di deicidio per i perfidis Judaeis. Da sola questa scena vale il prezzo del biglietto e offre un’occasione di crescita per dei cristiani che al non possumus hanno sostituito da anni la dichiarazione Nostra aetate.

 

RAPITO

Regia: Marco Bellocchio; sceneggiatura: M. Bellocchio, Susanna Nicchiarelli, in collaborazione con Edoardo Albinati e Daniela Ceselli; consulenza storica: Pina Totaro; musica: Fabio Massimo Capogrosso; fotografia (colore): Francesco Di Giacomo; montaggio: Francesca Calvelli, Stefano Mariotti; scenografia: Andrea Castorina; interpreti: Enea Sala, Leonardo Maltese, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni; produttori: Beppe Caschetto, Simone Gattoni; formato: 1,85:1; origine: Italia 2023; durata: 134 min.