La violenza dietro l’angolo: «CANICOLA»

DI FRANCESCO MININNI

Per capire se valga o meno la pena svegliarsi ogni mattina e uscire per le strade, bisogna capire in che mondo si vive. Prendiamo «America oggi» di Altman: storie terribili, un terremoto, ma una remota speranza di innocenza cui aggrapparsi disperatamente. Prendiamo «La ville est tranquille» di Guediguian: storie ancora più terribili, ma un ragazzo che suona il pianoforte in mezzo alla strada rappresenta un raggio di luce. Prendiamo «Magnolia» di Anderson: ancora storie terribili, persino una pioggia di rane per indicare il disappunto divino, dopodichè qualcuno potrebbe decidersi a cambiare.

E adesso prendiamo «Canicola» dell’austriaco Ulrich Seidl, al suo debutto nella fiction dopo una lunga attività di documentarista: storie terribili di quotidiana violenza, persone ridotte a grottesche imitazioni d’umanità, nefandezze di ogni genere, patetici tentativi di rapporti interpersonali, tristezze che scivolano progressivamente nel ridicolo. Il tutto governato da un senso di fatalità che esclude ogni possibilità di cambiamento. Seidl, insomma, è convinto, come il compatriota Michael Haneke («Funny Games» e, attualmente in circolazione, «La pianista»), che la violenza sia una strada senza uscita, che a una pazzia se ne sovrapponga un’altra peggiore, che l’uomo stia raccogliendo quanto ha seminato senza alcuna prospettiva di miglioramento. Con un errore di fondo: l’esperienza ci insegna che non esiste strada senza uscita. Rappresentando il mondo come un «cul de sac», quindi, Seidl finisce col compiacersi degli orrori rappresentati, trasmettendo la spiacevole sensazione di accumulare ganci allo stomaco e docce fredde più per crearsi un alibi intellettuale che per una fondata convinzione umana e sociale.

«Canicola», il cui titolo è dovuto al fatto che tutte le storie si svolgono nell’afa di un’estate torrida, ha ottenuto il Gran Premio della giuria alla Mostra di Venezia, dove ha suscitato molte polemiche per la crudezza di alcuni episodi. A noi sembra che «Canicola» non rappresenti affatto il nostro modo di vivere: si tratta semplicemente di una galleria di deviazioni alle quali Seidl non intende porre alcuna alternativa. Questo non si chiama realismo: è piuttosto un modo molto parziale di vedere le cose. E siccome questo genere di rappresentazioni sembra particolarmente di casa nel cinema austriaco, potrebbe essere interessante capire il perchè. Una cosa è certa: una vacanza in Austria, ora come ora, sembra meno consigliabile di una gita aerea in Afghanistan.

CANICOLA (Hundstage) di Ulrich Seidl. Con M. Hofstatter, A. Mrva, G. Lehner