Una bici per sopravvivere: «LE BICICLETTE DI PECHINO»

DI FRANCESCO MININNINon è facile vivere a Pechino, soprattutto se si appartiene alla classe povera o, peggio ancora, se si viene dalla campagna. Al punto che, per ritrovare una bicicletta rubata, strumento indispensabile di lavoro per un giovane Pony Express, può non essere consigliabile rivolgersi a una polizia distratta o disinteressata: meglio fare da soli. È indiscutibile che «Ladri di biciclette» di Vittorio De Sica abbia influenzato cineasti di ogni generazione e paese. È tuttavia singolare trovarne tracce, a pochi anni di distanza, in due film orientali: «Cyclo» del vietnamita Tran Ahn Hung e «Le biciclette di Pechino» del cinese Wang Xiaoshuai. Il primo in forma indiretta e con diversissime finalità, il secondo con venti minuti iniziali che potrebbero essere addirittura considerati un remake. Xiaoshuai, cineasta indipendente e poco amato in patria, preferisce andare direttamente al cuore del problema. Che non è, ovviamente, il furto di una bicicletta, ma la difficoltà di vivere e lavorare onestamente in una città labirintica, rigorosamente divisa in caste sociali, invasa dalla delinquenza e ancor più dalla violenza quotidiana. Così la storia di Guei (il derubato) e Jian (il ladro, o comunque il nuovo proprietario della bicicletta) diventa una metafora dai molti significati.

E «Le biciclette di Pechino» diventa un film di grande interesse umano e sociale, anche se tutt’altro che omogeneo nello stile e nel linguaggio cinematografico. Guei e Jian sono due poveracci. Il primo ha ottenuto un lavoro di fattorino ed è felice. Il secondo va a scuola per ottenere una specializzazione ed è infelice. La differenza tra i due: una bicicletta, che agli occhi di Jian diventa un simbolo di prestigio sociale da ottenere a qualunque costo. Questa linea narrativa, chiara e lineare, è progressivamente «disturbata» da successivi affluenti: gli amici di Jian pronti ad aiutarlo con la violenza, una banda più organizzata e senza scrupoli, una cameriera che ruba i vestiti della padrona per sembrare una signora, la ragazza amata da Jian che però sceglie un altro scatenando reazioni imprevedibili.

Così, mentre «Le biciclette di Pechino» diventa più difficile da seguire per la molteplicità delle diramazioni, spicca su tutto il bel personaggio di Guei, disposto a restare avvinghiato alla bicicletta dall’alba al tramonto pur di non lasciarsela nuovamente portar via, disposto persino a un bizzarro accordo con Jian (un giorno ciascuno) pur di continuare a lavorare, consapevole che vita e bicicletta per lui sono tutt’uno. A voler essere fiscali, gli manca quel minimo di reazione istintiva che sarebbe lecito aspettarsi da una caparbietà come la sua. Ma forse è proprio per questo che Guei diventa il simbolo dell’onestà senza compromessi. Lasciamolo camminare a marcia indietro in un mondo lanciato verso il precipizio.

LE BICICLETTE DI PECHINO di W. Xiaoshuai. Con C. Lin, Li Bin, Z. Xun