Cultura & Società

Cecilia, la santa della bellezza spirituale

di Carlo LapucciSe ci fosse bisogno di un miracolo per accreditare o proclamare la santità di Cecilia, questo potrebbe esse costituito dal fatto di essere rimasta nel calendario ufficiale della Chiesa, con memoria obbligatoria il 22 novembre, pur essendo assai labili le documentazioni storiche che la riguardano, a fronte di altri santi che, con elementi assai più consistenti, sono spariti nelle memorie facoltative e nei culti locali. Pur essendo così nota e così antica non la ricordano le fonti più ricche di notizie sui primi santi: S. Ambrogio, S. Agostino, Prudenzio, Papa Damaso, San Girolamo. Se mancano documenti indiscutibili della storicità è comunque certo che è stata inclusa nel canone della messa, che il titolo della chiesa basilicale di Santa Cecilia è antichissimo, precedente alla fondamentale data 313 nella quale Costantino riconobbe il Cristianesimo, e già nel 545 veniva celebrata la sua festa nella basilica. Inoltre i martiri Valeriano e Tiburzio sono storicamente accertati come sepolti nelle catacombe di Pretestato, ma forse estranei alla vera storia di Cecilia. C’è comunque il sospetto che, come altre figure alle quali si rifanno i titoli della basiliche, soprattutto romane, non si tratti tanto di santi, ma di figure che prendono corpo dopo che una grande e ricca famiglia ha donato alla Chiesa un palazzo per edificarvi o da adibire a luogo di culto. La riforma del calendario liturgico non è stata tenera in casi dubbi.A nostro avviso, comunque, in base all’esperienza di studi sulle tradizioni, non nasce da un espediente il culto di una santa alla quale nel V secolo è stata edificata e intitolata una basilica a Roma, Santa Cecilia in Trastevere. Ciò non toglie che, grazie all’opera di troppo zelanti agiografi, sia stata fatta un po’ di confusione tra figure diverse di martiri e la Passio che abbiamo, posteriore all’anno 486, può anche essersi rifatta a elementi esterni, inglobando gesti di altri martiri.

L’agiografia antica e la funzione stereotipata di patrona della musica, di cui trattiamo a parte, ne hanno svisato non poco la vera natura, ma s’intuisce che, dietro a questa immagine dai contorni leggendari, c’è una grande figura di santa, probabilmente appartenente alla gens Cecilia, alla quale fecero riferimento con sicurezza coloro che furono testimoni della sua passione, la tramandarono, la onorarono e di coloro che nei tempi immediatamente successivi, non ebbero nessuna ragione di dubitare. La leggenda ci conserva alcuni possibili tratti di questa figura femminile, che tanto fascino ha esercitato sui fedeli, sugli scrittori e sugli artisti che l’hanno rappresentata in famose opere.

La leggendaLa Leggenda aurea compendia bene gli elementi leggendari sui quali si è articolato il culto popolare della Santa che sarebbe stata martirizzata nell’anno 230 durante l’impero di Alessandro Severo.

Di nobile e ricca famiglia Cecilia era stata educata alla religione cristiana che professava seguendo la predicazione di Papa Urbano, nelle catacombe lungo l’Appia e soccorrendo generosamente poveri e malati. Si era ben presto votata a Cristo e nondimeno venne destinata in sposa a Valeriano e si apprestò alla cerimonia nascondendo sotto le vesti sontuose un severo cilicio. In particolare, mentre suonavano le musiche del banchetto e della festa, rivolgeva la sua preghiera al Signore perché potesse mantenere la sua promessa. Venuta la notte, nella camera da letto rivelò al suo sposo di aver offerto a Dio il proprio corpo e che un Angelo lo proteggeva e quindi poteva accettare da lui solo un puro e fraterno amore. Il giovane rispose che desiderava vedere quel suo celeste protettore e Cecilia lo invitò a recarsi al terzo miglio della Via Appia e di farsi condurre in suo nome dal Papa Urbano. Così fece Valeriano e trovò tra le tombe dei martiri il Papa che lo benedisse e lo battezzò. Al suo ritorno vide anche lui l’Angelo che consegnò a lui e a Cecilia due corone dai fiori profumati che non imputridivano e gli altri non potevano vedere. Valeriano chiese all’Angelo che anche suo fratello Tiburzio divenisse cristiano e così avvenne.

I due si dedicarono alla sepoltura e alla custodia delle tombe dei martiri, per cui, arrestati dal prefetto Almachio, furono condannati alla decapitazione, e così fu di Massimo, loro custode che si era convertito

Cecilia fu chiamata a render conto dal prefetto Almachio, come moglie di Valeriano: tenne testa al tiranno e si rifiutò di sacrificare agli dei, per cui venne condannata ad essere immersa nei bagni della sua casa in una vasca d’acqua bollente si vuole per tre giorni. Nella basilica di Trastevere si mostra ancora il calidario che sarebbe stato quello del tormento della Santa che sopravvisse a tale pena, per cui Cecilia fu condannata alla decapitazione con la scure, che per ben tre volte non riuscì a fare il suo lavoro. Non potendosi infliggere al condannato più di tre colpi, il boia lasciò la fanciulla ancora viva, cosa che le permise di destinare e distribuire ai poveri tutti i suoi averi e lasciare al Papa Urbano la sua casa da usare come luogo di culto..

Come si è detto la Passio non è genuina come quella di Perpetua: i gesti eroici, i miracoli, le conversioni, l’inflessibilità e il coraggio esagerato di Cecilia la ingessano, per così dire, già nel suo monumento e rendono irriconoscibili i tratti umani genuini di questa figura che, per aver lasciato un segno tanto profondo, deve essere stata eccezionale.

La riscoperta del corpoAnche la riscoperta del corpo ha negli aspetti leggendari. Papa Pasquale I (817-824), che stava edificando la chiesa in Trastevere, rinnovando nello stesso luogo la chiesa della martire, ebbe una visione nella quale gli apparve, nell’aspetto di giovane di bellezza angelica, Cecilia che si disse famula Christi e rivelò che, contrariamente a quello che si credeva, i longobardi di Astolfo non avevano sottratto il suo corpo nel 756, e questo si trovava ancora dove era stato deposto. Il Papa, invitato da Cecilia a proseguire le ricerche, rinvenne un corpo di donna rivestito di abiti d’oro nel cimitero dei Pretextati fuori della porta Appia, corpo che fu portato nella nuova chiesa in Trastevere. Il cardinale Sfondrati nel 1599 trovò tale corpo in stato di perfetta conservazione, in abiti di seta e oro, però senza i segni di una decollazione: in tale aspetto e posizione fu ritratta nella celebre statua del Maderno.La traslazione delle reliquie della martire, se del suo corpo appunto si tratta, avvenne probabilmente nell’anno 821: i resti furono posti in un cofano di cipresso e quindi dentro un sarcofago. Vicino ad esso furono posti i corpi di Valeriano, Tiburzio e Massimo e quindi le reliquie dei papi Urbano e Lucio.

Molti particolari della passio collimano con quanto fu trovato e si troverà in questi resti: la fenice fatta porre da Cecilia sul sarcofago di Massimo, le sue vesti d’oro e seta, il cilicio che avrebbe indossato fin dal giorno del matrimonio.

Il simbolo e l’esempioSe si deve caratterizzare questa figura femminile si rimane inizialmente imbarazzati: dal suo comportamento nel matrimonio, nel quale si avverte qualcosa che sta tra il pio tranello e l’originalità, fino alla sua morte, non rileviamo un tratto deciso, capace di dare uno stigma alla figura che rimane come sospesa nella sua angelica bontà, nella fiducia che tutti possano capire e abbracciare le sue ragioni e la sua fede. Questo potrebbe far pensare che tale figura possa essere frutto di una zelante e pia fantasia, una creazione ottenuta con sapienti combinazioni di vari elementi. Si dice appunto che una fonte possibile per l’autore della passio possa essere stato Vittore di Vita che, nella sua Historia persecutionis vandalicae, narra di un re vandalo che costringe a unirsi in matrimonio due schiavi: Massima e Martiniano. La notte delle nozze la sposa, come Cecilia, rivela al marito il suo voto e la sua fede, convertendolo insieme a tre suoi fratelli. Quello che deve aver colpito il mondo popolare deve essere stato proprio la bellezza di una esistenza sospesa tra due realtà: quella naturale del quotidiano e quella soprannaturale, nella quale essa viveva quasi per metà, vedendo costantemente un Angelo accanto e conversando con lui. Questa visione essa comunicava anche agli altri, se la seguivano nella sua vita di perfezione. Era dunque già un essere superiore, fuori di questo mondo in quanto permeato di una realtà trascendente, e questo spiega la sua sicurezza nella fede e nella sofferenza, che non deriva da una fredda volontà predeterminata. Anche la manipolazione che subisce l’immagine nella passio non riesce a cancellare questa dimensione di perfetta santità realizzata e vissuta nel tempo. Tale dimensione, direttamente, o oscuramente percepita, deve aver spinto a vedere questa figura in un mondo di superiore bellezza, già depurata da ogni scoria materiale, ed è bastato uno spunto dato (anche questo forse oscuramente) da una trascrizione impropria di un testo (come spieghiamo a parte), per esaltare un aspetto che Cecilia aveva originariamente.

Non si spiega altrimenti questo collegamento con la musica quando proprio la musica cominciava in Europa il decollo per il suo volo verso le realizzazioni incredibili dei secoli successivi. È appunto la musica, la più eterea delle espressioni, che viene chiamata a rappresentare questa dimensione superiore, pura e incontaminata di vera ed eterna bellezza. Si può aggiungere che di bellezza Cecilia è stata circondata dagli artisti, non solo per le opere e le accademie a lei dedicate, ma anche per le innumerevoli opere figurative, che la ritraggono cercando di cogliere nei tratti umani ciò che l’umano trascende.

Cecilia nell’arteL’idea di bellezza è talmente connaturata in questa figura che in antico si interpretò, come fa Iacopo da Varagine il suo nome come Coeli lilia (gigli del cielo). Gli artisti hanno raffigurato la Santa in innumerevoli opere il cui solo elenco occuperebbe molto spazio, avvertendo questo suo misterioso rapporto con la bellezza, non solo fisica, ma soprattutto spirituale. Infatti nelle varie opere si avverte questo tentativo dei pittori e degli scultori di offrire con il volto della martire una quintessenza dello splendore, retaggio della creazione divina, della creatura già permeata dalla trascendenza, cosa venuta dal cielo in terra a miracol mostrare. Tra quelli più antichi che l’hanno raffigurata segnaliamo Cimabue, l’Angelico, il Maestro della Santa Cecilia. Risalendo nel tempo la sua immagine appare al sesto posto nella Processione delle Vergini di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna (VI secolo) e nell’affresco del Cimitero di San Callisto.

Tra quelli a noi più vicini segnaleremo Raffaello, la serie del Domenichino, tra cui il Tionfo di S. Cecilia, nella chiesa di S. Luigi dei Francesi a Roma. Di Guido Reni, nella Chiesa di Santa Cecilia a Roma le varie opere tra le quali: Cecilia e Valeriano incoronati da un angelo. Di Carlo Dolci il celebre Ritratto di S. Cecilia che si trova nella Pinacoteca di Dresda. E poi: Riccardo Quartararo, Antonio Raggi, gli affreschi nella chiesa di S. Cecilia a Colonia, quelli di Francesco Francia e Lorenzo Costa nell’Oratorio di S. Cecilia a Bologna. La figura penetra vivamente nel mondo moderno e viene rappresentata sempre con vari strumenti musicali, ovvero all’organo o in complessi corali o strumentali.

Perfino ritraendo Cecilia nel sepolcro lo scultore ancora ventiduenne Stefano Maderno (1576-1636) non si sottrasse alla sua suggestione. Il cardinale Paolo Sfondrati gli dette l’incarico di riprodurre il corpo della martire così com’era nel sarcofago al momento della riesumazione. Così fece l’artista e un’iscrizione accompagna la sua opera, che si trova nella basilica di Trastevere: “Paolo, cardinale del titolo di S. Cecilia. Ecco per te l’immagine della santa vergine Cecilia, che ho visto io stesso giacente intatta nel suo sepolcro, e che per te ho rappresentato in questo marmo esattamente nella stessa posizione del corpo”. Anche le testimonianze riferiscono che Cecilia giaceva nel sepolcro riversa sul lato destro, le gambe leggermente piegate, le braccia in avanti, la testa molto piegata e il volto a terra come se dormisse. Anche Maderno fu evidentemente toccato dalla bellezza misteriosa di Cecilia: fu questo il suo capolavoro, prototipo di molti monumenti che nei secoli successivi furono elevati a martiri.

Patrona della musicaNel Medio Evo la musica non era considerata esattamente quello che oggi è per noi: fin dall’alto periodo medievale l’idea di armonia sovrastava quello di bellezza e fu a lungo considerata come arte, ma vicina alla scienza. Il patrono ne fu S. Giovanni Battista che nascendo ridette la parola al padre Zaccaria, il quale proruppe nel celebre cantico, detto appunto di Zaccaria, il Benedictus (Luca I, 64). Fino a tutto il XIV secolo non si ha notizia del patronato della musica da parte di Cecilia: sia il Beato Angelico che Cimabue e altri la rappresentano con la sola palma del martirio. Dell’avviso che la Santa non abbia tuttora nulla a che fare con la musica sono sicuramente i compilatori della moderna Nuova enciclopedia della musica, nella quale la voce Cecilia non compare. Nel 1420 si ha la prima rappresentazione che si conosca di Cecilia collegata con questa arte in una tavola che si trova a Francoforte sul Meno, nel Museo storico, nella quale la santa è raffigurata mentre suona la cetra. Quello che abbiamo della sua vita non offre elementi per giustificare questo fatto e si ritiene ragionevolmente che tutto sia derivato da un’errata interpretazione della sua passio. In questa si legge che durante la festa delle nozze, la fanciulla trepidando per il suo voto cantantibus organis Caecilia in corde suo soli Domino decantabat: mentre suonavano gli strumenti Cecilia nel suo cuore cantava solo al Signore. Tale frase entrò nella liturgia della Santa in modo corretto come antifona nel mattutino, ma alterata nelle laudi e nel vespro: cantantibus organis Caecilia Domino decantabat dicens: Fiat cor meum immacolatum ut non confundar: al suono degli strumenti Cecilia cantava al Signore dicendo: sia il mio cuore puro perché non resti ingannata.Questa frase, ripetuta e cantata, fece credere che Cecilia pregasse col canto, imparentandola prima al canto religioso e quindi alla musica in genere.

Bisogna dire che i musicisti l’hanno onorata e amata costantemente. Fare un elenco delle opere a lei dedicate sarebbe qui impossibile. Citeremo il Movimento ceciliano, la fondazione della Congregazione di Santa Cecilia a Roma nel 1584 per opera di Alessandro Marino. Per le composizione basterà indicare l’Ode a Santa Cecilia (Hail! Bright Cecilia) di Henry Purcell (1659-1695).

Le grandi sante: le precedenti puntate

7. Perpetua e Felicita, le martiri madri

6. Agnese, santa della forza e della mitezza

5. Cristina di Bolsena, la martire fanciulla

4. Mustiola, la santa che camminò sulle acque

3. S. Caterina d’Alessandria tra culto e mito

2. Agata, la Santa del mistero della vita