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Cristiani perseguitati: serve un intervento armato, come con il Kosovo?

La caccia ai cristiani viene praticata in molte città e campagne dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente. Iraq, Siria, Kenya e Nigeria sono state le nazioni dove il terrorismo islamico ha colpito centinaia e centinaia di seguaci di Gesù, uccisi, feriti e torturati senza pietà. Il mondo occidentale guarda senza muovere un dito a questi eccidi. Dopo la strage di Garissa, in Kenya, dove sono stati ammazzati 148 ragazzi e ragazze cristiani, Papa Francesco ha ricordato che non bisogna coprire con il silenzio complice la sorte dei fratelli perseguitati, decapitati e crocefissi per la loro fede.

Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni ha giustamente detto in un’intervista al «Corriere della Sera» cosa significa fare qualcosa in più di quello che stiamo facendo attualmente: «Sul nostro territorio, proteggere i simboli ed i luoghi della Cristianità e tutelare le minoranze religiose, penso agli ebrei italiani, alle loro comunità, che potrebbero essere visti come bersagli. E poi – ha continuato il ministro Gentiloni – c’è una verità: per contrastare il terrorismo è inevitabile il risvolto militare. Qualcuno potrà scandalizzarsi, ma questi gruppi terroristici vanno affrontati anche sul piano militare». Quello che dice il responsabile della Farnesina non deve sorprendere nessuno, soprattutto nel mondo cattolico. Durante la pulizia etnica ad opera dei Serbi, che colpiva duramente la popolazione musulmana del Kosovo, San Giovanni Paolo II chiese all’Occidente un intervento militare definito «ingerenza umanitaria».

Di fronte a chi taglia la testa, a chi spara a donne e bambini indifesi, lo sdegno espresso con i comunicati stampa o nelle interviste non fanno nemmeno il solletico. L’Isis, sotto le cui bandiere nere militano diverse fazioni jihadiste, può essere contrastato oramai solo con la forza, come ha ricordato recentemente il re Abdallah II di Giordania. Sotto l’egida delle Nazioni Unite deve essere impedito, con una mirata operazione militare, il proseguimento della strage dei cristiani, che registra da tempo oltre trecento morti al mese. La posizione del governo italiano, in questo caso, è molto giusta.

Anche i musulmani devono fare la loro parte. All’assemblea dell’Onu se una risoluzione contro il terrorismo islamico fosse votata dalle Nazioni a maggioranza islamica, avrebbe un grande significato. Ultima forma di appello prima dell’intervento armato. Il presidente egiziano Al Sisi ha più volte pronunciato parole di condanna contro il terrorismo. Parole identiche a quelle usate dal re di Giordania e dall’Imam di Al Azhar, una delle massime autorità musulmane.

Non c’è più tempo da perdere. Il mondo – come ha detto Papa Francesco – non può restare inerte di fronte alla carneficina dei cristiani. Non bisogna farsi prendere da quell’afasia intellettuale e militare che consentì ai nazisti di sterminare sei milioni di ebrei. Gli anglo-americani, durante la seconda Guerra Mondiale, informati dell’esistenza dei campi di sterminio, fecero purtroppo diventare questa tragica realtà un obiettivo di terzo livello. Anche se oggi sarà necessaria l’azione militare, dovrà essere precisa e tempestiva.