Vita Chiesa

La missione di don Paccosi tra miseria e università

di Marco Lapi«Señor de los Milagros / aqui venimos en procesión / tus fieles devotos / a implorar tu bendición». Siamo nella seconda metà di ottobre e i peruviani, non solo nel loro Paese ma ovunque si trovano, celebrano con processioni, canti e feste «el Señor de los Milagros», il Signore dei Miracoli, certamente una delle devozioni più sentite e partecipate in tutto il mondo. Anche nel capoluogo toscano, dove ormai sono presenti a migliaia, non sono da meno e si ritroveranno domenica 30, come sempre a Settignano.

«Con paso firme / de buen cristiano / hagamos grande nuestro Perú», recita più avanti la seconda strofa dell’«Himno Nazareno». E a dare una mano ai peruviani a far grande il loro Paese «con passo fermo da buon cristiano» c’è da qualche anno in una parrocchia della periferia nord di Lima, nella nuova diocesi «satellite» di Carabaillo, don Giovanni Paccosi (nella foto), noto ai nostri lettori per aver curato recentemente, per oltre un anno, la rubrica «Leggere la Parola».

Un’avventura, la sua, nata in modo sorprendente ma certo non per caso. Fiorentino e appartenente a Comunione e Liberazione, don Giovanni si era dichiarato disponibile a recarsi in missione fin dai primi tempi di sacerdozio. Ma la sua vita sacerdotale continuò a dipanarsi tra le parrocchie fiorentine finché, nel ’96, non fu fatto parroco della popolosa Santa Maria a Coverciano. La prospettiva di partire in missione, almeno a breve scadenza, gli sembrò tramontata: sennonché un anno e mezzo dopo, per amicizia con alcune persone della parrocchia, capitò in visita il vescovo di Carabaillo, mons. Lino Panizza, e don Giovanni gli chiese se per caso conosceva Andrea Aziani e Dado Peluso, due amici che avevano contribuito a far nascere la presenza di Cl in università a Siena e che poi erano partiti alla volta di Lima. Al che il vescovo esclamò: «Non solo li conosco, ma sto pensando di fondare un’università e ho chiesto loro di aiutarmi in questo. E sono ora in Italia perché ho chiesto a Cl due sacerdoti che siano presenti nell’università e in una parrocchia della diocesi. Quelli del movimento mi hanno detto che ne hanno trovati uno, ma io ne chiedo due: tu saresti disponibile?».

La risposta non si fece attendere e qualche tempo dopo, nel settembre del 2000, il cardinal Piovanelli lasciò don Giovanni libero dalla parrocchia. Un paio di mesi a Madrid per imparare lo spagnolo, ospite di alcuni preti del movimento, e da gennaio 2001 al servizio della Chiesa di Carabaillo, quasi due milioni e mezzo di abitanti nel «cono norte» di Lima, parroco – assieme a don Michele Berchi, l’altro sacerdote chiesto da mons. Panizza – di una parrocchia di 60 mila anime e docente del corso di introduzione al cristianesimo presso la nuova università Sedes Sapientiae.

«Nel cono nord, una periferia nata solo da trent’anni – spiega don Giovanni – non c’erano centri di studi superiori, eccetto l’università statale di ingegneria, che accoglie 4500-5000 nuovi studenti ogni anno a fronte delle 50 mila richieste. Così monsignor Panizza ha pensato di costruire una struttura per un’educazione impostata più sulla persona e sulla formazione dell’uomo e maggiormente accessibile rispetto alle università private, anche se non gratuita. La stragrande maggioranza dei nostri alunni sono ragazzi o anche adulti che non avrebbero potuto studiare per ragioni economiche e che invece qui lo possono fare. Sono loro stessi a dire che nella nostra università si respira un’aria diversa, un’attenzione alla persona nella sua totalità, fino agli aspetti economici. Il tutto senza scapito per la qualità degli studi, riconosciuta anche dai docenti di altre realtà».

All’inizio di quest’anno l’università di Carabaillo ha sfornato i primi laureati in scienza dell’educazione (cinque corsi di laurea) e scienze economiche (tre). La scommessa è di formare figure che restino a lavorare in Perù, perché i più bravi spesso se ne vanno negli Stati Uniti o in Europa e non tornano o, se tornano, vanno a vivere nell’ambiente chiuso dei ricchi. Dei pochi ricchi, perché in Perù c’è una situazione di povertà grandissima, con oltre la metà della popolazione che non supera la soglia dei 200 euro al mese per famiglia. Si riesce a mangiare, ma non di più. E anche tra i suoi studenti, don Paccosi ha incontato chi veniva d’inverno con i sandali perché l’unico paio di scarpe era a riparare o chi un giorno non era potuto venire perché gli mancavano i centesimi per l’autobus. Tante cose da noi scontate là non lo sono, come lo spazio per studiare in case, se non capanne, affollate ma costituite da un’unica stanza. Una parrocchia vicino alla sede dell’università, guidata da preti spagnoli, gestisce una mensa che accoglie ogni giorno 150 bambini offrendo un bel sollievo alle loro famiglie. Quella di don Giovanni e don Michele ha un centro medico che riesce a seguire ben 15 mila persone, recentemente migliorato e ampliato anche grazie al contributo di alcuni amici fiorentini di Cl che hanno destinato a questo scopo le somme raccolte in occasione dei loro venticinquesimi di matrimonio. Non c’è solo l’università, dunque. «No, certo: la nostra esperienza – conferma il sacerdote fiorentino – educa a non chiudersi in uno sguardo ristretto, un modo per difendersi da questo mare di povertà che c’è. Si impara a fare tutto quello che uno può e poi a riconoscere che non è sufficiente».

In Perù don Giovanni ormai si sente di casa, ma ciò non toglie che Firenze gli resti nel cuore. Torna tutti gli anni ad agosto, sente i suoi tutte le settimane ma a farlo restare legato alla sua città è anche il calcio. «Sono a 12 mila chilometri da casa ma resto tifoso della Fiorentina e quindi quando posso cerco di seguire le partite alla radio attraverso internet. Una volta, durante i saluti iniziali, sentii David Guetta, il radiocronista, citare anche “Don Giovanni Paccosi che ci sta ascoltando dal Perù” e rimasi senza fiato!». Un’altra sorpresa, come quella di mons. Panizza a Coverciano. Stavolta a fargliela erano stati i suoi amici, per dirgli che, se lui dal Perù faceva il tifo per la Fiorentina, loro dalla Toscana avrebbero continuato a fare il tifo per lui.