Cultura & Società

Giubbi, nessuna colpa per la strage

«Casa Ugo Giubbi» sarà inaugurata domenica 23 giugno alle 17 nel complesso di Santa Caterina a San Miniato dove, con un investimento di un miliardo e ducento milioni di vecchie lire, la diocesi ha costruito sei mini appartamenti. «Che un consiglio di amministrazione – spiega il parroco don Andrea Cristiani – con opportuno regolamento e su precisi parametri provvederà a distribuire tra le categorie svantaggiate della città. L’iniziativa, voluta con forza e determinazione dal vescovo monsignor Edoardo Ricci, è pensata soprattutto per le persone anziane, che vivono sole, autosufficenti e costrette a vivere con una misera pensione». E da tempo il vescovo pensava di dedicare questa bella e importante realtà alla memoria del suo predecessore. Soprattutto dopo la lunga stagione di polemiche strorico-politiche sulla dinamica della strage, nelle quali, ancora una volta a più riprese, monsignor Giubbi è stato oggetto di insinuazioni calunniose. «Mentre i fatti, finalmente appurati, uniti alla straordinaria limpidezza della sua figura – aggiunge don Cristiani – sono al di sopra di ogni sospetto». Stavolta, per sempre, San Miniato accarezza il suo vescovo che dalle terrazze celesti guarda il suo popolo con amore. Lasciando che ogni altra parola, già detta o da dire, nulla possa nell’abbraccio con la sua città.

DI CARLO BARONILa diocesi di San Miniato ha spiazzato tutto e tutti chiudendo il «conto» a carico del «vescovo della strage» con un gesto nobile e «politico» allo stesso tempo: la nuova casa diocesana di accoglienza sarà «Casa Ugo Giubbi». Il prelato, sostenitore – secondo alcuni – di Mussolini fino all’ultima sciagurata avventura di Salò, morì con l’infamante accusa di correo per il massacro in Cattedrale del 22 luglio 1944, attribuito a tutti i costi ai nazifascisti dalla propaganda socialcomunista. Perché questo poteva essere l’anello che legava la carneficina a Giubbi che aveva aperto le porte del Duomo a donne, vecchi e bambini, in una San Miniato minata dalle truppe tedesche e sotto il fuoco degli americani. Lui che si prestava al ruolo di complice per essere «stato largo di consensi e lodi al “regime” quando sembrava che certe disposizioni favorissero l’azione della Chiesa: Messe per le organizzazioni giovanili, Pasqua degli alunni, presenza del sacerdote nelle scuole, partecipazioni delle autorità alle manifestazioni religiose», spiega Filiberto Scorzoso, difensore civico a San Miniato e membro della commissione storica d’indagine nominata dal vescovo Edoardo Ricci.«Lui, che amava l’ordine sociale, il rispetto dell’autorità costituita ma che fu anche un antifascista risoluto quando credette di individuare in alcune direttive fasciste (balli popolari, esercitazioni paramilitari e ostilità alle associazioni cattoliche) dei pericoli per la moralità della gioventù e la religiosità delle popolazioni. Lodò alcune gesta del Duce – ammette Scorzoso – ma difese a spada tratta le pubblicazioni del settimanale diocesano “La Domenica” diretta da don Nello Micheletti, sacerdote coraggioso e solerte negli attacchi al nazifascismo». Questo il giudizio emerso dallo studio durato un anno e mezzo di carte d’archivio, lettere private, testimonianze di oggi e di ieri e di alcune parti del diario rimasto «segretato» per mezzo secolo, da parte dell’équipe guidata dal professor Paolo Morelli e composta, oltre che da Scorzoso, da Roberto Cerri, Paolo Pezzino e Andrea Landi. La relazione finale sarà presentata sabato 15 giugno alle 10 nell’«Aula Pacis» di San Domenico (relatrice Anna Scattigno). Una ricostruzione minuziosa, partita dalla sicura estraneità del prelato alle infamie legate alla strage. Nonostante tutto per la propaganda fu più facile e redditizio additarlo ad disprezzo del popolo che cercare di capirlo. Anche se questo comportava «camuffare» un’amara verità, subito saputa e insabbiata. La granata micidiale – secondo l’ultima ricostruzione degli esperti Claudio Biscarini e Giuliano Lastraioli – proveniva da una bocca da fuoco in dotazione al 337° battaglione dell’artiglieria campale americana, dislocato fra Bucciano e Montebicchieri a sostegno delle operazioni svolte dal 349° reggimento di fanteria.E nel fatidico giorno di sabato 22 luglio 1944, le segnalazioni del bersaglio per la batteria, poco dopo le ore 10, pervengono da uno dei posti di osservazione stabiliti a sud di San Miniato: è «White» (nome in codice ritrovato nel «journal» della batteria) che comunica la posizione di una mitragliatrice tedesca sotto il seminario vescovile: alle 10.15, piovono sulla località designata ben 47 obici da 105. Il tabulato denuncia un buon risultato dei tiri, ma l’effetto non deve essere stato conclusivo se, a distanza di un quarto d’ora e precisamente alle 10.30, il tiro riprende contro analogo obiettivo, assai spostato però più a nord- est e precisamente sulle coordinate 46.48/59.50. Una dinamica chiara, ma subito camuffata. Anche se mai, in alcun atto ufficiale, monsignor Giubbi fu indicato come corresponsabile. Nei suoi confronti la strategia fu più perfida e codarda: sobillare la gente, straziata dalla guerra e ferita a morte, su presunti accordi del prelato con i gerarchi nazisti. «Per i suoi abbracci con il regime, per non aver parlato pubblicamente contro le leggi razziali, si dimenticò – spiega Scorzoso – di quando monsignor Giubbi offrì la vita in cambio di alcuni ostaggi, o della lettera personale al Duce nella quale denunciava l’opposizione dei federali al suo operato». Eppure dovette morire da «carnefice» nel 1946, condannato senz’appello, e calunniato per oltre mezzo secolo con prove legate solo all’orgoglio di certa parte politica. A quasi sessant’anni, la città – con buona pace o con dolore per quel che resta della sinistra – ripara e «s’inchina – dice il vescovo – al suo Pastore e umile servitore. Questa casa di accoglienza porterà il suo nome, a perenne memoria di un prete che seppe stringere a sé il popolo inerme quando San Miniato era a ferro e fuoco».Così la diocesi chiude un caso politico e umano, con affetto e senza vergogna. Le memorie affidate a un diarioMonsignor Ugo Giubbi, parroco del San Niccolò d’Oltrarno a Firenze, fu nominato vescovo di San Miniato nel 1928. La morte lo raggiunse nel 1946, ormai stremato dall’atroce calunnia a furor di popolo di essere stato complice dei tedeschi nel barbaro eccidio del Duomo, dove persero la vita 55 civili e centinaia furono i feriti. Ugo Giubbi, intellettuale di elevata statura, antesignano di alcune importanti tesi del Concilio Vatinano II, resse con mano ferma la religiosità del suo popolo in un momento cruciale della storia d’Italia: il Ventennio fascista. Nel quale, praticamente, si svolse tutta la sua missione. Nei tragici giorni del passaggio del fronte, il vescovo fu l’unica autorità presente in San Miniato, mentre tutti i gerarchi si erano dati alla macchia: rimase a fianco della sua gente e del clero condividendone sacrifici e pericoli. La mattina del 22 luglio del 1944, per una tragica fatalità della guerra, la Cattedrale fu colpita a morte qualche minuto dopo che il vescovo si era ritirato in Curia. Negli ultimi due anni di vita, con nel cuore solo amarezza e dolore, consegnò ad un diario le sue memorie. Quelle pagine, rimaste chiuse in archivio vescovile per oltre mezzo secolo, saranno pubblicate nel 58° anniversario della strage.