Dossier

Un giorno al castello

Una giornata nel castello. Anzi, quattro! Quattro giorni per visitare gratuitamente più di 70 castelli toscani, che per due week end – il 18-19 e il 25-26 settembre – aprono le loro porte in via straordinaria per l’iniziativa «Una giornata al castello», promossa dalla Regione Toscana, assessorato alla Cultura, in collaborazione con le sezioni toscane dell’Associazione dimore storiche e dell’Istituto italiano castelli.

Oltre a visitare le ricchezze architettoniche dei 74 castelli aperti (l’anno passato furono 65), il programma prevede mostre, rievocazioni storiche e spettacoli. Fra questi «Quix», della compagnia Catalyst, in programma al castello di Malgrate (Massa Carrara) il 18 settembre e al castello Malaspina a Massa il 19. Inizio alle 16,30.Oltre all’ingresso gratuito in monumenti spesso chiusi al pubblico, i visitatori possono effettuare visite guidate e assistere a mostre, spettacoli e rievocazioni storiche organizzate per l’occasione. Per «Una giornata nel castello» è stata pubblicata una piccola guida, in cui sono indicate quelle fortezze accessibili anche ai disabili.

«Le fortezze e i castelli che sono disseminati in modo straordinario per la Toscana – spiega l’assessore alla Cultura Mariella Zoppi – sono strutture che ci colpiscono per la loro imponenza, eppure hanno una fragilità insospettabile. Le ingiurie del tempo, la necessità di risorse ingenti per la loro manutenzione e la stessa ricerca di modi attuali di uso le rendono particolarmente fragili. Per questo motivo la manifestazione “Una giornata nel castello” vuol contribuire a far conoscere questo patrimonio e a farlo entrare ancor di più e meglio nel bagaglio affettivo della comunità come prima condizione della sua conservazione». Un pensiero l’assessore lo rivolge anche alla delicata situazione internazionale che mette sempre più a rischio la pace: «Il patrimonio di fortezze, mura, rocche, castelli e bastioni difensivi, può evocare storie di guerre, di assalti, di assedi. In realtà uno studio più attento delle imponenti fortezze erette nel periodo granducale mostra, come queste fossero essenzialmente baluardi di pace, possenti macchine da guerra, erette in realtà per dissuadere eventuali aggressori, scoraggiare idee di conquista mostrando la forza del piccolo Stato e garantire così la sicurezza dell’esistere della comunità. Già allora, si può dire, la Toscana mirava a difendere la pace, più che a vincere la guerra».

Il programma completo è visibile sul sito internet:http://www.cultura.toscana.it/musei/castelli/Per informazioni è anche possibile chiamare il numero verde 800.860070 Letizia, da Bruxelles a Montecarlo con un sogno: fare la castellanadi Gianluca della MaggioreA Montecarlo ci arrivi salendo un pendio che è tutto un ammiccare seducente di olivi e vigneti, il paese comincia ad entrarti negli occhi da molto lontano, quando il campanile della Collegiata, tra una curva e l’altra, prende a baluginare rosso in cima al colle del Cerruglio come fosse la sentinella della piana di Lucca e della Valdinievole. Ad accoglierti, da sud, la Porta Nuova, in mattoni rossi e pietra serena, che ti pare orfana del suo ponte levatoio, e ti introduce dritto nel cuore del borgo con quella sua via lunga lunga cui si affacciano tutte le case in parata di benvenuto. Ogni passo è un incedere a ritroso nei secoli fino a quello stretto budello che si insinua dentro l’anima più antica del Mons Carolis: la fortezza, il nucleo primitivo del paese. «Per me qua dentro il tempo si ferma. Tra queste mura c’è tutta una vita nascosta che ti si svela nel silenzio, i sensi possono risvegliarsi fino in fondo, acchiappare suoni e profumi intensi altrimenti soverchiati dal trambusto delle cose che accadono fuori». Ne è passato di tempo da quando lancieri e balestrieri stavano asserragliati nel «castello lucchese» pronti a intervenire contro fiorentini e pisani sottostando agli ordini del Castellano e aspettando i rinforzi delle masnade a cavallo.

Oggi a vivere dentro la Rocca è Letizia Menchini (nella foto), giovane e frizzante «castellana» del terzo millennio, che ci accoglie, insieme alla madre Rosanna, introducendoci nella vecchia piazza d’Armi che oggi è un elegante giardino all’italiana con siepi modellate con gusto d’artista.

Sarà lei a svelarci i segreti di questa fortezza affascinante, dove, come ci suggerisce, si ha l’illusione di poter concretizzare l’aspirazione a far sparire il tempo: sarà per quella sua struttura muraria compatta e rassicurante che l’ha resa inespugnabile nei secoli; sarà per quella sua costituzione triangolare atipica, che la tende come un elastico verso settentrione e lassù, in cima al mastio, ti sembra d’essere sulla prua di un imponente nave di pietra, padrone di chissà quale mare.L’abitazione della famiglia Pardocchi-Menchini si trova nella parte più antica della fortezza, nella vecchia residenza del Castellano tra le due torri di Santa Barbara e dell’Apparizione, per arrivarci bisogna attraversare il giardino: «di proposito abbiamo fatto in modo che il giardino non fosse ben illuminato – dice Letizia – così quando entriamo di sera il buio ti avvolge totalmente e si respira la vera atmosfera del castello». La storia di Letizia è singolare, solo da due anni ha deciso di «ritirarsi» nella Rocca di Montecarlo, dicendo basta ad un impiego in banca nientemeno che a Bruxelles, dove ancora risiedono i genitori. In Belgio la famiglia Menchini ci si trasferisce nel 1986, da allora il castello diventa la meta delle vacanze estive. La madre di Letizia, Rosanna Pardocchi, la cui famiglia è proprietaria del castello, ci ha abitato da bambina, ora il testimone l’ha raccolto la figlia con un entusiasmo contagioso. L’entusiasmo di chi può vivere in stanze impregnate di storia ad ogni angolo: teatro di eroiche battaglie come quelle del condottiero lucchese, Castruccio Castracani, ma anche del grande imperatore Carlo IV di Boemia, arrivato alla Rocca ancora principe e poco più che adolescente.

«C’è molto da lavorare qui – svela Letizia – certo più che a Bruxelles, ma confesso che non mi costa fatica». Undicimila metri quadrati di strutture da tener pulite per i visitatori, i molti vincoli che le leggi impongono ai beni d’interesse storico culturale. «Per viverci e farlo vivere bisogna amarlo» ci ha confessato la madre di Letizia appena varcata la soglia della fortezza, e la figlia lo sta dimostrando utilizzando le sue competenze – è laureata in archeologia e storia dell’arte – e la sua fantasia creativa organizzando percorsi guidati e mostre tematiche di alto livello culturale, che arricchiscono tutto il territorio montecarlese.

Certo che, comunque, per passare dal melting pot del centro di Bruxelles alla solitudine quasi ascetica della Rocca, ci vuole un bel coraggio. «Solo ammirare il cielo stellato e la luna da qua dentro merita la scelta – si illumina Letizia –. Non nego che a Bruxelles la vita è pressoché perfetta, una città grande ma tranquilla, e poi con l’Unione Europea è diventata una metropoli internazionale. Ma qui è casa mia». Letizia riesce a guidarci nella geografia delle sue sensazioni, quelle che si provano ad addormentarsi tutte le sere tra le mura di un castello millenario sentendo che stanno lì le proprie radici più profonde: «Qua dentro si instaura un rapporto particolare con i rumori: dai mobili antichi che scricchiolano nel silenzio più assoluto, alle “voci” degli animali notturni come il gufo, la civetta, il barbagianni e perfino, di giorno, l’upupa, per non parlare dei topi che razzolano nel controsoffitto». E poi ci sono episodi sinistri e inquietanti, che non mancano mai in ogni castello che si rispetti: «Come quando ho sentito nitidamente rotolare un barattolo di vetro in cantina per poi scoprire che niente era fuori posto, o quelle due gocce di sangue vermiglio ma secco apparse misteriosamente sul pavimento». La causa fu poi attribuita a un topo che pare avesse addentato un piccione nel solaio, tant’è. E poi ci sono i profumi: «degli alberi di arance amare, dei mandarini, delle rose antiche, del glicine, dell’alloro». E le lucciole: «che di notte ho visto solo dentro il castello». «C’è tutto un registro completamente diverso di suoni, di rumori, di odori». Varchi una porta e ti ritrovi in un’altra epoca, senti gli spifferi del passato. C’è la scaletta fatta dal nonno e ormai sgangherata con la quale Letizia, da piccola, raggiungeva la sommità del mastio, dove un tempo stavano i soldati di vedetta. Ci sono i piccoli trabocchetti e gli stratagemmi per assicurare la difesa passiva all’interno della fortezza: come le caditoie da dove veniva gettata l’acqua bollente sui malcapitati soldati o le scale con i gradini di altezza diversa per far inciampare i soldati che fossero riusciti a penetrare all’interno, diventati spunto di chissà quali giochi d’infanzia. Ma c’è anche il televisore appoggiato su un tavolo dell’800, o il telefonino che rimbomba tra le pareti spesse della casa, o il computer acceso per mandare una foto del castello via mail in formato .jpg. C’è una commistione affascinante tra antico e moderno, come un sospiro millenario che rimbomba nel presente per dirti che basta la porta di un castello, un portale antico da richiuderti dietro le spalle, per avere l’illusione di sospendere il tempo. Di interrompere il chiasso, la vita, le cose che accadono fuori nella cronaca che non si ferma.