Italia
Il settimanale cattolico luogo di dialogo di una realtà frammentata
Pubblichiamo un’ampia sintesi della relazione con la quale il prof. De Sandre introduce la tavola rotonda su «Settimanali cattolici. Oltre le notizie costruire un dialogo pubblico nelle Chiese e nelle società locali» al Convegno nazionale della Fisc (Roma, 23-25 novembre 2006). Italo De Sandre insegna Sociologia, Sociologia dei consumi e degli stili di vita e Fondamenti di comunicazione sociale all’Università di Padova; è anche docente di Sociologia e religione alla Facoltà Teologica del Triveneto, membro della Fondazione Zancan onlus di ricerca, dell’Osservatorio socioreligioso triveneto, della redazione delle riviste «Credereoggi» e «Servitium».
Oggi quando si parla di comunicazione, anche in campo cattolico, ci si ferma quasi sempre al contenuto verbale-formale dei messaggi da trasmettere, sembra essere l’unico aspetto importante, mettendo in secondo piano o addirittura ignorando la qualità reale delle relazioni tra coloro che comunicano, mentre è nella relazione tra i comunicanti che vive la credibilità che essi si assegnano reciprocamente. Uno dei principi della psico-sociologia della comunicazione, di cui facciamo continuamente esperienza diretta, è infatti che la comunicazione è sempre condizionata, in bene o in male, dalle relazioni entro cui scorre, perché se la relazione è positiva i messaggi vengono percepiti e condivisi volentieri, altrimenti non passano, o sono accolti in modo distorto. I soggetti di un rapporto professionale di comunicazione debbono avere una identità credibile, perché si sono guadagnati la stima, la fiducia di coloro con cui si mettono in rapporto, con la capacità provata dai fatti di lavorare in modo corretto: fiducia che bisogna ri-guadagnare continuamente.
Un settimanale cattolico è un soggetto di comunicazione complesso, perché coinvolge una pluralità di tipi di esperienze e di soggetti interessati, e infatti è dentro un «campo» di rapporti tra forze religiose e sociali, di cui deve aiutare a conoscere i problemi ed interpretare cooperazioni e tensioni. È essenziale agire su quei rapporti, in stile di collaborazione, gestendo in modo trasparente e professionalmente non supino l’influenza (potere) che si ha e che si accetta da altri.
Le relazioni e la comunicazione, che i settimanali cattolici agiscono quotidianamente, si hanno a) con il «committente» istituzionale, il Vescovo, la curia, le Chiese locali, e con le altre diverse realtà ecclesiali attive nel proprio territorio, ma anche b) nei rapporti interni, nei processi organizzativi che si attivano, nel modo con cui si fanno lavorare i propri giornalisti, i propri operatori, personale laico o consacrato, donne e uomini. Il costruire dialogo parte dal modo concreto con cui si lavora giorno per giorno, prima ancora che da quello che si scrive o si dice. E sono cruciali ovviamente i rapporti che si hanno c) con gli altri stakeholders (gruppi di interesse) significativi nel proprio territorio, istituzionali, economici, strumentali, sociali, con cui interagire in uno spirito di responsabilità sociale in dialogo. Ciò è importante anche sul piano della cittadinanza esercitata e testimoniata, per far percepire e far fare esperienza dei diritti e doveri che impegnano tutti a convivere solidalmente e non solo perché e fino a che conviene.
Nella nostra società pluralista non c’è un modo comune di dar valore e significato ai messaggi, ai problemi, alle relazioni tra le persone, di concepire la verità, la religione, la solidarietà, il potere, la giustizia, il denaro, l’amore tra due persone, cioè non c’è condivisione dei codici culturali di base: l’autoreferenzialità individualistica diffusa, l’analfabetismo religioso «di ritorno», la messa in questione, nella vita pratica delle persone, della mediazione della chiesa nelle proposizioni di verità e di etica, ne fanno una questione cruciale. Affinché la condivisione dei messaggi diventi più probabile è ovviamente necessario operare esplicitamente per ri-costruire questi «codici» culturali, etici, religiosi. Oggi spesso «si fa come se» la condivisione ci sia, sia scontata, o dovuta, o che gli altri debbano adeguarsi al nostro pensiero, mentre tutte le ricerche mostrano che le cose non stanno così: il pluralismo culturale, politico, degli stili di vita, è presente anche tra i cattolici praticanti e militanti. Vi è come una polarizzazione tra una quasi sorprendente uniformità di voce della gerarchia che interviene direttamente nella sfera pubblica, e gli orientamenti molto differenziati delle persone, spesso lontane a livello personale anche se si dichiarano cattoliche dalle verità religiose e dalle norme etiche, oppure in posizioni dialettiche in termini politici. Di fatto ci sono diversi modi di pensare e vivere la Chiesa stessa. Anche all’interno della Chiesa bisogna sempre più spesso ri-dire le ragioni per cui si affermano certe cose ed ascoltare le ragioni degli altri soggetti ecclesiali (ed extra-ecclesiali), con rispetto della dignità di ciascuno, in un percorso in cui la comunione è obbiettivo e metodo insieme. Questo vale ancora di più nel clima di un pontificato che sta ri-orientando all’importanza del pensare, del ragionare.
In questo contesto, nelle strategie di azione comunicativa si deve continuamente scegliere: spesso si preferisce operare in modo auto-espressivo, monologico, esprimendo idee che in sostanza si chiede agli altri di recepire. E va detto che oggi la comunicazione di massa, da quella economica a quella politica, è fatta prevalentemente di monologhi. Forse è importante invece promuovere attivamente nella Chiesa e nella società una pratica dialogica seria, sia dando voce senza atteggiamenti collusivi alla pluralità dei soggetti in gioco, sia stimolando interazioni tra di essi in modo che si possano costruire intese sagge nella Chiesa locale e nella sfera pubblica civile. Costruire reti di riconoscimento e di rispetto reciproco, di fiducia, di valorizzazione cordiale e non strumentale delle competenze e delle testimonianze, senza fare i «promotori di immagine» di soggetti religiosi o di altro ambito, per contribuire nel metodo e nei contenuti a tessere rapporti pubblicamente responsabili e per quanto possibile sereni.