Italia

Nascita Pdl. Butini: «Un passo avanti verso il bipartitismo»

di Claudio Turrini

Si definisce sorridendo «un democristiano sopravvissuto, indipendente di centro». Ivo Butini, 82 anni non ancora compiuti, rappresenta una delle «memorie storiche» della Dc toscana. Segretario fiorentino dal 1963 al ’69, anno in cui entrò nella direzione nazionale, è stato consigliere regionale dal 1970 al ’79 e senatore dall’83 al ’94, negli «anni della grande turbolenza», come li definisce ora. «Arrivai quando Craxi divenne presidente del Consiglio e lasciai quando era sull’orlo delle imputazioni» ricorda, rivendicando di essere approdato al parlamento «quasi da anziano» e di non essere quindi «uno della casta».

Senatore, cosa porta di nuovo alla politica italiana la nascita del Popolo della Libertà?

«Nel quadro di quella che si è chiamata la transizione italiana, dopo il 1993, il sistema – che si chiamava bipolare, ma non era bipartitico – comincia a solidificarsi, almeno sul piano delle istituzioni, su uno schema che si avvicina al bipartitismo. Da una parte abbiamo il Pd, che sembrava raccogliere la sinistra. E di qua il Popolo della Libertà, che ha anche lui una vocazione maggioritaria. Berlusconi ha detto: raggiungeremo il 51%».

La Lega è adesso alleata di un partito molto più grande. Creerà qualche problema questo nuovo rapporto di forze?

«Vediamo, ma non credo, almeno inizialmente. La Lega non può avere la vocazione maggioritaria del 51%. Prendiamo la Germania. Tradizionalmente c’erano due partiti di ispirazione cristiana, Cdu e Csu. Cioè la Baviera aveva un partito cristiano più conservatore e il resto del Paese un partito di ispirazione cristiana più liberale. La Lega potrebbe acquisire una funzione parallela a quella dei cristiano sociali bavaresi, poggiandosi su un territorio, l’Italia del Nord».

E per l’Udc, cambia qualcosa?

«Riprendo un’opinione recentissima di Arnaldo Forlani. Da una parte l’ex segretario Dc vede la necessità di garantire una presenza autonoma cattolica nel sistema politico. Dall’altra avverte che c’è una sostanziale debolezza in questa situazione. Sarebbe un partito piccolo che va a integrare quelli grandi. Quello che ha fatto spesso in Germania il partito liberale. Quello che non è quasi mai riuscito a fare in Inghilterra il partito liberale, che prendeva tanti voti. Ma poi, per il meccanismo elettorale, vincevano i conservatori o i laboristi. Con una legge elettorale vicina a quella inglese la funzione di questo terzo partito sparirebbe completamente. Quindi, dice Forlani, la via d’uscita è il partito popolare europeo, che potrebbe rassemblare il Pdl e l’Udc. Se invece l’Udc rimane lì a far la giunta per ottenere il peso non mi sembra di prevedere un grande avvenire».

C’è più Craxi o più De Gasperi nella visione politica di Berlusconi?

«Baget Bozzo disse anni fa che lui poteva essere De Gaulle. Come visione istituzionale, di ordinamento delle maggioranze e delle minoranze nella rappresentanza popolare, ci vedrei più Craxi, perché De Gasperi il suo centrismo lo fece plurale, cercando sempre la collaborazione dei partiti laici. Craxi con qualcuno doveva farla l’alleanza, perché non poteva immaginare di avere il 51%, ma il taglio interpretativo della sua funzione me lo fa avvicinare a Berlusconi».

E come riferimento ai valori?

«Qui il discorso è più complicato. Avverto in Berlusconi una spinta – che non è nata con lui – di garantire l’autorità del governo. Cioè: chi vince governa. È la logica del bipartitismo, come succede negli Stati Uniti o in Inghilterra».

C’è chi però lo accusa di voler concentrare troppo potere nelle sue mani.

«La sinistra piagnucola sempre: se comanda lui gli altri non comandano nulla.. Certo, hanno perso! In Italia la sinistra non è riformista, è consociativista. Sapendo di non essere maggioranza vuole impedire un gioco freddo maggioranza-opposizione come nei regimi bipartitici. E annaspa nella ricerca di formule elettorali o di combinazioni partitiche per non essere mai opposizione nel senso classico. Berlusconi invece la pensa all’incontrario: chi vince comanda. Però quando perde, non è che sia poi convintissimo anche lui di star fuori…».

Forza Italia è sempre stato un partito sui generis, senza dialettica, senza congressi veri…

«Un partito di plastica».

Come è possibile che i militanti di An accettino quel tipo di logica?

«An ha tutta un’altra storia, una storia forte. Io pur venendo da una tradizione antifascista li ammiro su molte cose. Sono gente che ha resistito a grandi difficoltà politiche, sono motivati, qualche volta anche ribelli. Non ce li vedo a star lì ad aspettare che arrivi sempre l’ordine… Berlusconi dovrà trovare una forma di dibattito interno. Come si fa a nominare dall’alto tutti i dirigenti? Io non ho mai militato in Forza Italia. Per me non è democratico nemmeno l’Udc, figurarsi se può esserlo un partito dove il capo domina tutti dall’alto».

L’inizio però è quello. Berlusconi è stato eletto presidente del Pdl all’unanimità, per alzata di mano.

«Qualcuno l’ha chiamato il rito abbreviato. Le acclamazioni sono avvenute qualche volta anche nella Dc. Qualche volta… perché non era la nostra tradizione. Però, in fondo, tutta questa operazione l’ha inventata Berlusconi. Lui come politico, è nato per l’incapacità della Dc, ed è vissuto per l’incapacità della sinistra. Di che si lamentano oggi? Che lui abbia questa vocazione carismatica fa parte del suo carattere: lui si sente un uomo che compie una missione. Con Veltroni nel Pd cosa è successo? Attraverso meccanismi particolari, come quel tipo di primarie, hanno fatto anche lì un’acclamazione. È il sistema che oggi chiede questo, perché non si vogliono rifare i partiti. Ma allora la democrazia come funziona? O ci sono i partiti, con tutto quello che si tirano dietro o se non ci sono come si fa? Si acclama? Come facevano i romani nell’ultima parte dell’impero…».

A proposito di partiti, il Pdl saprà sopravvivere al suo fondatore?

«Ho qualche dubbio. Ancora non colgo i segni di una capacità intrinseca del partito di superare l’uscita di scena di Berlusconi, quando avverrà».

Dal congresso del Pdl Berlusconi ha rilanciato l’idea della riforma costituzionale.

«C’è un discorso di De Gasperi, nel giugno del 1949, ad un anno mezzo dall’entrata in vigore della Carta. Disse al Congresso di Venezia: “i padri costituenti non sono stati capaci di regolare i partiti”. Ed era vero, perché non trovarono una formula. E De Gasperi lamentava questa presenza sregolata dei partiti nei rapporti del Parlamento con il governo».

Vuol dire che i problemi sono vecchi?

«Nessuno vuole affrontare il problema dell’attuazione dell’art. 49 della Costituzione sulla vita dei partiti, così come il 39, sui sindacati. Nessuno vuol stabilire che cosa voglia dire l’inciso “con metodo democratico”. Se noi non regoliamo i partiti la Costituzione non può funzionare perché è parlamentare e il Parlamento si compone dei gruppi e i gruppi sono espressione dei partiti. Da una parte c’è l’esigenza di governare, che accompagnò tutta la vicenda democristiana e trovò in Craxi un punto forte di rivendicazione. Da quell’altra, nessuno vuol regolamentare i partiti».

C’è anche un problema di regolamenti parlamentari…

«O si accetta la logica bipartitica, cioè di dire: la maggioranza governa e l’opposizione fa l’opposizione. Oppure si torna al consociativismo. È un problema che è sempre esistito, anche con la Dc. Se tutto deve funzionare in una pattuizione continua tra i partiti è evidente che il governo va avanti con l’affanno».

LA SCHEDADal 1994 ad oggi la «strategia» del CavaliereIl 26 gennaio 1994 Silvio Berlusconi annuncia il suo ingresso in politica. Forza Italia è nata.

Appena due mesi dopo, il 27-28 marzo, Forza Italia si afferma alle elezioni politiche come il primo partito italiano e va alla guida del governo insieme ad altri partiti di centrodestra (FI, An, Lega e Ccd). Il successo può essere attribuito a due fattori (oltre alla forza economica e mediatica del suo leader): Berlusconi, a differenza di altri, si appella a interessi sociali precisi e focalizzati come quelli dei lavoratori autonomi, delle partite Iva; inoltre punta su una netta polarizzazione tra destra e sinistra, togliendo spazio a ipotesi di centrismo che sono spazzate via dalla radicalizzazione dello scontro. Il primo governo Berlusconi cade pochi mesi dopo mentre si acutizza la crisi fra la Lega Nord e il resto della maggioranza.

Il 21 aprile 1996 nuove elezioni anticipate e affermazione della coalizione di centro sinistra, guidata da Romano Prodi. Forza Italia è il secondo partito italiano superata di poco (0,5%) dal Pds. Il 9 ottobre 1998 si dimette il governo Prodi. Dopo un intervallo che vede due governi guidati da Massimo D’Alema e uno da Giuliano Amato, il 19 maggio 2001 nuove elezioni politiche: Forza Italia è il primo partito con il 29,4% dei voti (12.923.331). Il governo, guidato dallo stesso Berlusconi, conquista il primato di «più longevo» nella storia della Repubblica. Dura in carica 1.422 giorni. La campagna elettorale per le elezioni politiche del 2006 è una delle più accese di tutta la storia. Forza Italia e la coalizione di centrodestra, guidata da Berlusconi, chiede un giudizio positivo sull’esperienza di governo. Lo sfidante, Romano Prodi, si presenta con una coalizione di centrosinistra.

Forza Italia ottiene un risultato in netta ascesa (ma inferiore a quello delle elezioni del 2001). Alla Camera il centrosinistra prevale, con 24.755 voti in più, grazie al premio di maggioranza, e nel complesso, con una percentuale del 49,73% dei consensi contro il 49,40% della CdL. Alla Camera, Forza Italia è la seconda forza politica italiana con 9 milioni di voti (23,7%) dietro l’Ulivo (che riunisce Democratici di Sinistra e Margherita) che ottiene 11,9 milioni di voti. Al Senato (dove i due partiti si sono presentati separati) Forza Italia è prima con 8,2 milioni di voti (24,0%). È costituito il governo Prodi che si dimette il 24 gennaio 2008 a seguito del voto di sfiducia del Senato.

Il 13 e 14 aprile 2008, si tengono le elezioni politiche anticipate, vinte dalla coalizione composta dal Popolo delle libertà, Lega Nord e Movimento per l’Autonomia, che ottiene la maggioranza relativa dei voti e, in base alla legge elettorale del 2005, la maggioranza assoluta degli eletti.

In precedenza, il 18 novembre 2007, durante un comizio improvvistato a Piazza San Babila a Milano, dal predellino della sua auto, Berlusconi annuncia un nuovo soggetto unitario del centrodestra. Con un «referendum» viene scelto il nome di «Popolo della libertà».

Al Pdl hanno aderito anche altri partiti più piccoli o movimenti: Dc per le autonomie (Gianfranco Rotondi), Nuovo Psi (Stefano Caldoro), Popolari Liberali (Carlo Giovanardi), Partito Repubblicano Italiano (Francesco Nucara), Circolo del Buon Governo (Marcello Dell’Utri), Circolo della Libertà (Michela Brambilla), Destra Libertaria (Luciano Buonocore), Partito pensionati (Carlo Fatuzzo), Azione Sociale (Alessandra Mussolini), Riformatori liberali (Benedetto Della Vedova).

E. C.