Lettere in redazione

25 aprile, una festa che divide

Scrivo oggi 25 aprile festa nazionale della Liberazione, un evento che, nel sessantesimo anniversario, assume ancor più valore significativo nella storia della nostra Patria, della nostra Nazione. Purtroppo anche quest’anno come accade ormai sempre, tutti, a partire da sinistra per arrivare a destra, si sono prodigati per renderla la «Festa della Divisione» strumentalizzando la ricorrenza per meri fini politici.

Proprio per questo motivo mi sono sempre tenuto un po’ in disparte sebbene consapevole della straordinaria importanza che quel giorno di sessant’anni fa ha lasciato all’Italia e a tutti coloro che soffrirono e morirono per il supremo ideale della Libertà. Forse ha ragione Epifani quando dice che «gli ideali con cui combatterono i partigiani non possono essere messi sullo stesso piano di coloro che si arruolarono a Salò», ma forse ha ragione anche Tremaglia quando dice che «i morti sono tutti uguali» (io aggiungerei davanti a Dio). Sarà mai possibile celebrare questa festa come momento fondante dell’Unità degli italiani? Da parte mia mi sentirò veramente libero di scendere in piazza a festeggiarla solo quando, come dice giustamente lo storico Petacco, si smetteranno di sventolare le bandiere rosse al posto dell’unica vera bandiera che si addice al 25 aprile: il nostro tricolore!Lorenzo MartelliniCastelfranco di Sopra (Ar) La data del 25 aprile 1945, con la liberazione di Milano e l’insurrezione della popolazione civile in altre grandi città del Nord, segna davvero il punto di cesura dopo la tragica avventura fascista e di vittoria della resistenza. Una resistenza, che come ebbe a ricordare il presidente Ciampi nel 2002, va intesa in senso ampio, non solo come «la resistenza attiva, di chi prese le armi in pugno», ma anche «la resistenza silenziosa della gente, dei cittadini che aiutarono, soccorsero feriti, fuggiaschi, combattenti, esponendosi a rischi elevati» come pure «la resistenza dolorosa dei prigionieri nei campi di concentramento (…) di chi si rifiutò di collaborare». Festeggiare il 25 aprile, a 60 anni di distanza, significa sottolineare il «riscatto» degli italiani dalle barbarie del fascismo, con la sua soppressione della democrazia e della libertà, con le sue leggi razziali, con il suo bellicismo. Che in piazza ci siano bandiere rosse non deve scandalizzarci, perché è innegabile che quel colore fu ben presente nella lotta di liberazione. Purché, ovviamente, non si voglia disconoscere l’apporto che venne anche da altre aree culturali, come quella cattolica. Ma son d’accordo con lei che lo spettacolo di divisione di polemiche visto quest’anno sia stata indecoroso. Non credo però che serva a qualcosa trasformare la festa nel ricordo indistinto di tutti i morti, come invocano certi «revisionisti»: i morti, tutti i morti (e ovviamente sono d’accordo che meritan tutti rispetto), si commemorano il 2 novembre. Tra chi scelse di nascondere in casa un ebreo, a rischio anche della propria vita e chi invece andava a rastrellarli, tacitando la sua coscienza con l’ordine ricevuto, penso che debba rimanere una differenza sostanziale. Quanto poi alla pacificazione nazionale, mi sembra sia stata risolta subito, dall’amnistia promossa dall’allora guardasigilli Palmiro Togliatti.Claudio Turrini

Dalla liberazione di Pisa a quella di Carrara