Lettere in redazione

Nuvola vulcanica, timori giustificabili

Quanto, seppur estremamente prudente, fosse sensata la decisione presa dall’ente del controllo aereo britannico, e l’allerta coordinata dall’organizzazione intergovernativa europea per la sicurezza del volo Eurocontrol costituita da 38 paesi e dalla Comunità europea, lo dimostravano le previsioni sviluppate attorno alle ipotesi peggiori, e cioè la possibilità che le ceneri investissero i velivoli causando non solo il blocco dei motori, come già avvenuto nel dicembre 1989 ad un Jumbo KLM nei «pressi» del vulcano Redoubt (Anchorage, Alaska), certo a circa 8.000 metri di quota, ma potendone provocare addirittura l’esplosione. I silicati, soprattutto di alluminio e magnesio che dovrebbero comporre la cenere vulcanica una volta «risucchiati» dal motore, fondendosi, vanno o a solidificarsi o, per effetto di pressione e velocità a «tagliare», erodere le pale delle turbine. Possono non solo occludere gli iniettori ma provocare un incontrollabile surriscaldamento.

Non si sarebbe trattato certo dello stesso problema incorso nell’aprile 2000 ad un Airbus A320 di Air Europe «bombardato» a 1.200 m sotto una nube di cenere proiettata dall’Etna a 15-20.000 m. Proprio pensando all’Etna, l’ENAC ha prodotto nel luglio 2003 una circolare dedicata alle operazioni di volo su aeroporti in presenza di nube di cenere vulcanica.

Nel caso della nube islandese concentrazione di particelle e quota di spostamento erano certo variabili. Va comunque ricordato che le mappe della «nube» sono state, e sono tutt’ora eseguite a quote di volo intra-europeo e transatlantico, quote investite dalle particelle che vengono immesse nei motori a pressioni elevatissime, e con densità ben superiore a quella esterna. Tutto questo per ricordare come i «velivoli» non sono che «macchine», e non diventano «aerei» che grazie alla presenza di un pilota., e spesso di passeggeri la cui sicurezza è la prima preoccupazione non solo oggi dell’ENAC ma anche a livello europeo di Eurocontrol, così come decidere alla seconda «ascensore», al secondo tentativo fallito su Pisa o Firenze di atterrare a Milano o Bologna causa vento forte, è compito spiacevole del pilota da cui dipende però la vita dei «suoi» passeggeri…

Se la pioggia ha senz’altro rallentato l’inizio delle operazioni, le molteplici ragioni della sconfitta subita da Napoleone a Waterloo, illustrate in Italia da Alessandro Barbero, non possono nascondere gli errori commessi dall’Imperatore stesso, e finora coperti dal suo riuscito tentativo di «propaganda» tessuto già all’indomani della battaglia e perfezionato in esilio a Sant’Elena, come ha ben ricostruito lo storico Bernard Coppens (Waterloo, Les mensonges : les manipulations de l’histoire enfin révélées, 2009), errori tuttavia in parte dovuti ad un processo decisionale complesso e di difficile controllo, così com’è oggi quello dello spazio aereo europeo diviso fra esperti di diverse discipline, funzionari e autorità politiche nazionali e europee, al «servizio» di un sicurezza che dipende da «macchine» tutt’altro che infallibili perché, in fondo, non sono che degli «aerei».

David BuriganaFirenze

La lettera prende spunto da un intervento pubblicato sul n. 17 di Toscana Oggi, a firma del vulcanologo fiorentino Marino Martini, che di esperienza nel settore ne ha tantissima. Nel 1989, ad esempio, ha seguito un evento simile e più serio dovuto alla ripresa di attività nel 1982 del vulcano Galunggung (Giava, Indonesia), ubicato sulla rotta di avvicinamento dell’aeroporto di Jakarta. Eruzione che costrinse ad atterraggi di emergenza tre B747, sempre a causa di ceneri assorbite dalle turbine. Aveva dunque ben presente il meccanismo dannoso delle ceneri vulcaniche e la necessità di evitare  rischi per gli aerei. Tra l’altro, prima di scrivere quell’intervento, si era avvalso anche della consulenza di un pilota aereo, già suo collaboratore. Non vedo quindi dissensi su questo punto. Quello che Marino Martini voleva sottolineare era  l’attenzione sui dati diffusi da tg e giornali, che ad un esame più accurato sono risultati eccessivamente approssimativi, come del resto accade spesso in molti altri campi, dall’influenza alle condizioni metereologiche.

Come mi ha spiegato in una mail successiva, risalendo alle fonti islandesi, ha trovato «che i massimi dell’altezza della nube sono stati di 4 Km il 28 aprile, 5.1 km il 30, 5.4 il 1° maggio, con massima distanza raggiunta dalle ceneri di 65-70 km a E-SE il 3 maggio; non è stata interessata quindi la stratosfera, e l’area di ricaduta è stata relativamente limitata alle  estreme regioni occidentali dell’Europa. Gli aeroplani le cui rotte intersecavano queste zone potevano giustamente essere considerati a rischio, ma non si sono verificate condizioni che giustificassero il blocco massiccio avvenuto», come gli ha anche confermato l’amico pilota.

E Martini prosegue: «In Toscana si possono osservare gli effetti di piogge ricche di sabbia sahariana, nei testi di vulcanologia sono menzionate cadute di cenere emesse dal vulcano Santorino (Egeo), ma è estremamente improbabile che si possano ricevere effetti dannosi del tipo temuto in questa circostanza ed originati in zone vulcaniche molto più distanti».Che vengano prese misure rigorose per evitare ogni possibile incidente – ovviamente – è cosa buona e giusta. Ci mancherebbe altro! Ma a molti – tra gli addetti ai lavori – le misure prese dall’Unione europea, e che hanno causato perdite per 2 miliardi di euro, sono sembrate francamente eccessive. L’Aci, l’associazione europea che raccoglie gestori aeroportuali e aviolinee, ad esempio, in un comunicato ha sottolineato come  «l’eruzione del vulcano islandese non è un evento senza precedenti e le procedure applicate in altre parti del mondo per le eruzioni vulcaniche non hanno richiesto il tipo di restrizioni che sono state attualmente imposte all’Europa». Critiche sono giunte soprattutto sull’essersi basati esclusivamente sulla base di una simulazione al computer presso il Volcanic Ash Advisory Center (Vaac) di Londra, senza ulteriori verifiche che le singole compagnie aeree hanno poi effettuato per conto proprio. E che dire poi dei ministri dei trasporti dell’Unione che hanno impiegato cinque giorni per una riunione in conference call? Claudio Turrini