Lettere in redazione

Parrocchie, realtà da ripensare

Caro Direttore, ho letto la lettera pastorale dell’Arcivescovo di Firenze dal titolo «La parrocchia Comunità eucaristica per il mondo» l’ho trovata molto bella ed interessantissima, ma a me sembra solo una mèta, e resterà una mèta lontana se non si inizia a riformare le parrocchie che a me sembra siano ancora strutturate in maniera medievale.

Mi spiego: pensiamo che sia ancora valida la loro divisione geografica? Ci sono infatti parrocchie, come la mia per esempio, di poco più di mille persone vicinissima ad una parrocchia di circa 8 mila entrambe posizionate in cima a colli mentre la città si è sviluppata nella piana. Mi sembra invece importante stabilire concretamente il ruolo dei laici nella gestione della parrocchia, poiché, nonostante il Concilio, mi pare che non abbiano ancora un ruolo ben preciso, eccettuate parrocchie dove ci sono parroci aperti ed intelligenti che affidano ai laici incarichi importanti. Senza contare il ruolo delle donne che molto spesso hanno solo il compito di pulire le Chiese ed altri lavoretti del genere.

Cerco di spiegarmi meglio: Nella lettera pastorale al punto n. 9 l’Arcivescovo dice: «… Costruire momenti di incontro e di ascolto reciproco, di dialogo e di collaborazione». Dove e quando i fedeli hanno la possibilità di parlare e di ascoltarsi? Finita la Messa ed ascoltato l’omelia (più o meno azzeccata) ognuno se ne torna a casa sua, e dell’ascolto reciproco nemmeno l’ombra. E al punto n. 14 ricordando le parole di Benedetto XVI dice: «Non possiamo comunicare con il Signore se non comunichiamo fra noi». Quand’è il momento che comunichiamo fra noi? Dopo l’ascolto della Parola di Dio quando mai ci trasmettiamo l’un l’altro quello che il Signore ha ispirato nei nostri cuori per l’edificazione reciproca? Anche la preghiera dei fedeli che è proprio uno spazio previsto per i laici viene letta già scritta nei foglietti stampati senza nessuna personalizzazione.

Al punto 15 si legge: «Occorre risvegliare nelle persone il gusto di stare insieme». Forse in alcune parrocchie aperte qualche volta si assapora il gusto di stare insieme, altrimenti anche questo riamane una mèta.Luciano ComanducciCalenzano (Fi) Sono molti i Vescovi della Toscana che hanno affrontato nelle Lettere pastorali o in altri interventi il tema della parrocchia. Infatti, dopo un tempo in cui da molti era considerata una dimensione della Chiesa ormai superata, una più matura riflessione, unita all’esperienza, l’ha fatta per così dire riscoprire nella sua fondamentale importanza in quanto «comunità ecclesiale più vicina alla gente e che quindi permette di dare maggiore visibilità alla presenza di Cristo». La parrocchia inoltre rappresenta bene la varietà del popolo di Dio perché, come scrive il card. Antonelli, «si trovano insieme e interagiscono tra loro uomini e donne, giovani e adulti, sani e malati, dotti e ignoranti, ricchi e poveri, santi e peccatori, praticanti e non praticanti». Essa è perciò chiamata ad offrire spazi di accoglienza a tutti e a diventare davvero – come la chiama nella sua lettera pastorale mons. Agostinelli, Vescovo di Grosseto – «la locanda dell’uomo ferito».Ma lei, caro Comanducci, indicando alcuni punti dolenti si chiede se è davvero così la realtà e conclude che queste lettere pastorali delineano una meta, ancora molto lontana.Anche i Vescovi, e questo emerge chiaramente, si rendono conto che, nonostante il cammino fatto, c’è ancora tanto da camminare e danno alcune indicazioni – precisazione dei ruoli, corresponsabilità, valorizzazione delle persone – per vincere resistenze e pigrizie e perché la parrocchia sia sentita, vissuta e servita come casa comune. Ma soprattutto dove sempre più diventare una «comunità eucaristica» che prega, ama, testimonia, annunzia. Ogni rinnovamento vero si radica qui.

Card. Antonelli: «La parrocchia comunità eucaristica per il mondo»