Lettere in redazione

Pensioni, una risposta troppo semplicistica

Ho letto la lettera (Pensioni, il nodo dello «scalone») di Aleandro Murras relativa al nodo dello «scalone pensionistico». Ritengo più che fondate le preoccupazioni di Aleandro, ma la risposta non è convincente e molto semplicistica: si adagia su quanto normalmente ci viene propinato da coloro che vogliono tagliare le pensioni. Non è vero che mancheranno i soldi per le pensioni: fate un piccolo conto di quanto annualmente viene versato dai singoli lavoratori e dalle loro aziende, moltiplicate per 35 (anni di lavoro) e scoprirete che versiamo all’Inps diverse centinaia di milioni di lire (vecchia moneta) e non riusciremo mai a riaverli (con l’aggravio della vergogna delle pensioni di reversibilità: non restituiscono agli eredi la pensione totale). Dove vanno i soldi?

In Italia l’Inps gestisce sia la previdenza che l’assistenza e i soldi versati per le pensioni sono usati per la cassa integrazione, la mobilità ed altre forme di assistenza: non scordiamoci che qualche anno fa questi soldi sono stati pure utilizzati per pagare la tredicesima ai dipendenti Alitalia.

Basterebbe dividere previdenza (da sempre in attivo) da assistenza e non ci sarebbero problemi per le pensioni, ma l’Inps è un pozzo a cui attingere soldi per vari bisogni ed in futuro ancora di più: hanno pure il Tfr. A quanto sopra si aggiunge il costo per il funzionamento dell’Inps e, non scordiamocelo, la cattiva gestione del patrimonio immobiliare, affittato ai politici a canoni irrisori.

Non parliamo dei privilegi che hanno certe categorie: alcune settimane fa Veltroni ha pubblicamente annunciato di aver ricevuto la pensione di parlamentare: 9.100 euro mensili alla favolosa età di 51 anni! (avrà poi la pensione di giornalista e l’appannaggio di sindaco), diamo atto al caro Veltroni della sua volontà di restituire il tutto, ma non è stato possibile!

Personalmente ritengo alquanto discutibile (se non immorale) il fatto che a voler tagliare le pensioni siano persone già pluripensionate (e non al minimo). Va inoltre considerato che un allungamento dell’età pensionabile comporterebbe un grosso problema sociale: il volontariato, in Italia, è principalmente sostenuto dai pensionati che sono ancora in grado di rendersi utili: i pensionati si occupano dei nipoti, i pensionati si occupano dei controlli alle scuole ed ai giardini pubblici… perché ci vogliono far crepare di vecchiaia sul posto di lavoro? Perché dicono che i giovani non trovano lavoro e vogliono allungare il tempo lavorativo: ci saranno sempre meno posti di lavoro!

Una soluzione potrebbe essere di mandare tutti in pensione obbligatoria dopo 35 anni di servizio effettivo, con una pensione uguale per tutti (chi ha guadagnato di più ha già messo da parte tanti soldi), questo permetterebbe di avere uno stato sociale equo e soprattutto libererebbe numerosi posti di lavoro.

Vincenzo BenvenutiPontassieve (Fi)

Lo spazio di questa rubrica – come ho già spiegato più volte – non consente risposte ampie e approfondite. Piuttosto vi rimandiamo ad un «primo piano» di qualche mese fa (Pensioni, senza riforme il sistema non reggerà – n. 35 dell’8 ottobre 2006). Per quanto mi è possibile cerco comunque di aggiungere qualche elemento di valutazione. Questa lettera tocca vari aspetti che qui ci porterebbero lontano (ad es. i privilegi dei parlamentari, sui quali ho già risposto sul n. 9 del 4 marzo). Limitiamoci qui al «nocciolo», cioè alla necessità di allungare l’età pensionabile. Siamo il paese più «vecchio» del mondo. Secondo un recente studio dell’Istat, dal 1970 ad oggi l’aspettativa di vita degli italiani è aumentata di 8 anni. Adesso è di 78,3 anni per gli uomini e di 84 per le donne. Ma nell’ultimo quinquennio cresce di 5-6 mesi ogni anno. E siamo alla soglia di importanti scoperte genetiche che – lo auspichiamo – potrebbero farci compiere ulteriori salti nella durata della vita e soprattutto nella sua qualità. Già adesso sappiamo che nel 2050 un terzo della popolazione avrà più di 65 anni e gli «attivi» caleranno di 10 milioni (magari rimpiazzati da immigrati).

Andare in pensione adesso, a 57 anni, vuol dire avere davanti a sé, ragionevolmente, almeno trent’anni di vita. Anche ammettendo che i contributi versati dal lavoratore in 35 anni circa di attività siano stati accantonati e fatti fruttare solo per lui, sarebbe difficile garantirgli fino alla morte una pensione dignitosa e via via rivalutata. Ma le cose stanno anche peggio. Il nostro è stato finora un sistema a «ripartizione» che basava il proprio equilibrio sui contributi versati da chi lavora. In altre parole: quest’anno per le pensioni si spende «x»; quella stessa cifra deve venire dai contributi previdenziali trattenuti a chi lavora. Ma se la forza lavoro diminuisce ogni anno – come sta avvenendo – e i pensionati viceversa aumentano significativamente,il disequilibrio sarà sempre maggiore. Con l’aggravante che per decenni, a fronte di una forte crescita demografica e anche di un’amministrazione «allegra» dei conti pubblici, sono state erogate pensioni baby (a dipendenti pubblici con 18 anni, 6 mesi e un giorno di contributi e neanche necessariamente reali), pensioni sociali e così via. Separare previdenza e assistenza nei conti dell’Inps – come auspica giustamente il lettore – sarebbe una cosa buona, ma non sufficiente.Detto questo, capisco le preoccupazioni di chi è alla soglia della pensione e teme di vedersela procrastinare. Trovo molto ragionevole che si riducano le situazioni di palese ingiustizia (lo «scalone» di per sé lo è; sarebbe meglio protrarre per alcuni anni degli «scalini più piccoli»), che non si ricorra alla «forza», obbligando tutti a fare in un certo modo, ma si inducano i lavoratori a ritardare il pensionamento – se possono e vogliono farlo – con degli incentivi o dei disincentivi.

Un’ultima osservazione. Ogni caso singolo merita attenzione e comprensione. Ma come scriveva Mounier, «la più grande virtù politica è non perdere il senso dell’insieme». Raccontarci che tutto va bene, che questo sistema pensionistico reggerà in eterno sarebbe certo più popolare, ma purtroppo ingannevole, E i giovani di oggi, per i quali la pensione rischia di diventare davvero un miraggio, potrebbero non perdonarci le nostre bugie.

Claudio Turrini