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Democrazia europea a ostacoli. Prime brutte sorprese per Von der Leyen

Nella sede brussellese dell'Assemblea Ue sono in corso le audizioni dei commissari designati. Un vero e proprio «esame» - tecnico e politico - prima del voto di fiducia per l'intero collegio. Ma non tutto sta filando liscio e c'è il rischio che una buona procedura democratica si trasformi in una serie di trappole per ciascun «aspirante».

Partono in salita le audizioni dei candidati designati alla carica di commissario europeo. Si tratta degli «esami», orali e scritti – come da regolamento -, che ciascun aspirante commissario deve superare dinanzi alle commissioni del Parlamento europeo competenti per il suo dicastero. Così, ad esempio, nella prima giornata di audizioni, lunedì 30 settembre, Maros Sefcovic, slovacco, incaricato dei rapporti interistituzionali, è stato «radiografato» per tre ore di fila dalle commissioni Affari costituzionali e Affari legali; Mariya Gabriel, bulgara, con portafoglio Innovazione e gioventù, ha risposto agli eurodeputati delle commissioni Industria, ricerca ed energia e Cultura e istruzione; ad attendere al varco Phil Hogan, irlandese, indicato al commercio, la commissione Commercio internazionale. Le audizioni proseguiranno a ritmo incalzate – fino a sei al giorno – per una settimana.

Due bocciature. Non tutto però sembra filare liscio. Il Parlamento europeo ha infatti respinto, dopo la previa valutazione della commissione Affari giuridici, due dei candidati: la romena Rovana Plumb, che avrebbe dovuto gestire la delega ai trasporti, e l’ungherese Laszlo Trocsanyi, portafoglio per le politiche di vicinato e l’allargamento. Una bocciatura legata, per entrambi, a «conflitto d’interessi».

Così il presidente del Parlamento, David Sassoli, ha scritto alla presidente eletta della Commissione, Ursula von der Leyen, chiedendo come intenda procedere (ovvero se domanderà a Bucarest e Budapest di indicare altri nomi per l’esecutivo). Nel frattempo le due rispettive audizioni sono state sospese. Trocsanyi ha tuonato, parlando di «menzogne» e di «deliberata violazione dello stato di diritto e dei principi della democrazia». Nel frattempo il primo ministro ungherese Viktor Orban, forse anche per non avere ulteriori grattacapi, ha già fatto sapere informalmente che ha pronto il nome di riserva: il diplomatico Oliver Varhelyi. Silenzio, invece, al momento, dal governo rumeno.

«Stile di vita europeo»? Altri nomi però sono in bilico. Anzitutto quello del candidato all’agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski, cui l’Olaf, ufficio antifrodi dell’Unione, ha contestato la gestione di alcuni rimborsi per spese di viaggio ricevuti quando era eurodeputato: Wojciechowski ha così restituito 11mila euro alle case dell’Eurocamera. C’è poi il caso della francese Sylvie Goulard, portafoglio relativo al mercato unico, sulla quale pesa un’inchiesta dell’Olaf sulla gestione degli assistenti quando la Goulard (che ha già rimborsato 45mila euro) era deputata a Strasburgo. Inoltre si sta gonfiando il caso della delega sullo «stile di vita europeo», voluto dalla Von der Leyen, contestato in ambienti politici e accademici, e assegnato al greco Margaritis Schinas, ritenuto fra l’altro troppo vicino al controverso ex segretario generale della Commissione, Martin Selmayr.

Tre aspetti positivi. In questo quadro, di per sé complesso, si incrociano elementi giuridici, finanziari, geografici, politici, partitici. E persino caratteriali. Generalmente si ritiene che le audizioni abbiano almeno tre aspetti positivi.

In primo luogo assegnano all’Europarlamento un ruolo decisivo – che si completa con il voto finale che lo stesso Emiciclo dovrà esprimere su tutta la Commissione nella plenaria di ottobre – nel varo del collegio Von der Leyen, esercitando un «controllo democratico» sull’organismo esecutivo dell’Ue. Inoltre, si afferma che proprio tale procedura rafforzi l’«investitura democratica» della Commissione, che ottiene la fiducia dell’Assemblea eletta a suffragio universale dai cittadini europei. Terzo punto: tale procedura rafforzerebbe il legame politico tra le due istituzioni più «comunitarizzate», a fronte della terza istituzione, il Consiglio, che invece tende a rappresentare tradizionalmente gli interessi degli Stati membri (non di rado divergenti fra loro e distanti dal «bene comune» europeo).

Eccessiva «politicizzazione». Non va peraltro trascurata la possibile eccessiva «politicizzazione» delle audizioni. È pur vero che non si tratta solo di un esame «tecnico» sulle competenze dei futuri commissari riguardo le deleghe loro assegnate: si vuole infatti verificare quanto ciascuno di essi stia dalla parte dell’Unione europea, e quanto sappia lavorare in squadra, sotto le direttive del capo della Commissione, e in buone relazioni con Parlamento e Consiglio. D’altronde è pur vero che diversi eurodeputati si presentano alle audizioni con pregiudizi sui commissari designati rispetto alla nazionalità, alla biografia politica, all’appartenenza partitica…

Con il rischio di sgambetti reciproci tra esponenti di diversa nazionalità e di differente appartenenza politica. In questo modo si rischia di mettere una pesante ipoteca sulla genuinità delle audizioni che – va ricordato – prevedono il voto determinante delle stesse commissioni esaminatrici. Ebbene, il percorso delle audizioni è solo all’inizio: proseguirà, salvo sorprese, fino all’8 ottobre o, al più tardi, al 15 successivo, per arrivare al voto «di fiducia» a Strasburgo il 23 ottobre. È una elaborata macchina democratica e costituisce una prova di collaborazione tra le istituzioni comunitarie nonché un possibile segnale positivo verso le opinioni pubbliche: per queste ragioni è una prova che non può essere sprecata.