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Incendio tomba di Giuseppe: mons. Shomali, «ferma condanna»

«Un gesto da condannare senza esitazione. I luoghi santi devono restare fuori dalla violenza e devono essere rispettati. I musulmani hanno protestato perché la moschea di Al Aqsa non è stata rispettata, ora protestino per questa profanazione». Monsignor William Shomali, ausiliare di Gerusalemme e vicario patriarcale per la Palestina, stigmatizza così l’incendio della Tomba del patriarca Giuseppe, a Nablus (Cisgiordania settentrionale), appiccato questa notte da un folto gruppo di giovani palestinesi.

Il luogo, venerato da cristiani, ebrei e musulmani è sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese. «I giovani che hanno commesso questo atto insensato sono stati mossi da spirito di vendetta – afferma il vescovo – in questo modo hanno risposto alla profanazione di Al Aqsa. Il presidente palestinese ha giustamente condannato questo atto ed è un buon segno. E noi, con lui, ribadiamo questa condanna: i luoghi santi non devono essere toccati. Vogliamo che i santuari e i luoghi santi di tutte le fedi vengano rispettati». «Siamo entrati in un circolo vizioso in cui la rappresaglia e la vendetta è diventata la norma. Spetta a noi adulti e a noi uomini di fede – conclude mons. Shomali – aiutare le persone a uscire da questa spirale di vendetta e insegnare ai giovani a chiamare il male con il suo nome. La rappresaglia è un male. Non si può continuare così, in nessun modo».

Forte condanna giunge anche da padre Johnny Abu Khalil, per sei anni parroco a Nablus, oggi a Taybeh. «La Tomba di Giuseppe – spiega – è un luogo in cui ogni sera si radunano coloni israeliani che vivono intorno a Nablus». Una presenza che suona come una provocazione per gli abitanti di Nablus. Ma questo non giustifica un tale atto. «Siamo contro ogni forma di violenza – ribadisce padre Khalil – ma bisogna prestare attenzione affinché non vi sia nessuno che lavori in modo subdolo contro la pace e strumentalizzi questi gesti vili. Siamo contro il terrorismo da qualunque parte esso venga. Chi ha commesso l’attentato – dice il sacerdote – non rappresenta la stragrande maggioranza dei palestinesi che invece rispettano i luoghi santi delle religioni. Questi non sono palestinesi che amano la pace, sono persone fuori dell’Autorità palestinese. Siamo per la pace, contro le ingiustizie e le umiliazioni rivolte al popolo palestinese, ma questo non deve andare contro i luoghi santi e sfociare in violenza».