Opinioni & Commenti

Beslan, dietro la strage

La strage di Beslan è parte di una escalation ed è avvenuta subito dopo l’esplosione a Mosca di una donna kamikaze presso il metrò Rizhskaia, che il 30 agosto aveva causato 10 morti, più di 50 feriti e l’evacuazione della metropolitana di Kurski. Il commando di terroristi di Beslan chiedevano il ritiro della Russia dalla Cecenia, ma nel complicato scenario politico-economico non esiste soltanto una questione cecena. Sulla situazione cecena e caucasica pubblichiamo una nota di Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana.

di Paolo Beccegatoresponsabile area internazionale Caritas italianaNon solo Cecenia. A seguito della Rivoluzione d’ottobre, mentre i gruppi islamici ceceni e ingusceti si schieravano con i bolscevichi, gli osseti cristiani collaborarono con i Bianchi, le forze ortodosse zariste. I ceceni però non ebbero l’indipendenza, tanto agognata anche in epoca zarista. Quando i tedeschi misero piede nella regione, i ceceni e gli ingusceti, come i baltici al Nord, decisero di schierarsi con Hitler, tradendo la Rivoluzione d’ottobre. La vendetta di Stalin fu dura: le popolazioni ‘colpevoli’ furono trasferite forzosamente nel Kazakihstan. Molti vennero uccisi in un esodo non commentato dalla storia moderna. Quando Krusciov permise agli ingusceti di tornare, questi scoprirono che una parte della provincia del Prigorodny era abitata dagli osseti, loro vecchi nemici.

Il Soviet supremo, nell’aprile 1991 tentò la ‘riabilitazione dei popoli repressi’. Gli ingusceti la considerarono insufficiente e si fecero giustizia da soli. I russi intervennero in aiuto degli osseti e repressero la rivolta ingusceta. Da allora ci siamo occupati soltanto di Cecenia.

La distruzione di Grozny, i massacri, hanno dominato l’attenzione del mondo ed escluso dal nostro sguardo le questioni ‘minori’. Gli ingusceti, nemici dei Russi, nel 1991 hanno dato vita ad una sanguinosa rivolta. Mentre i ceceni, con il generale Dudayev, proclamavano la loro indipendenza da Mosca, gli iIngusceti combattevano gli osseti. Il mondo era disattento a questi fatti perché tutto preso da ciò che accadeva in Somalia e in Bosnia. Inoltre la contrapposizione tra gli Stati Uniti e il gigante sovietico Urss spostava l’attenzione soprattutto in Europa, in Africa e in Asia. Una crisi allargata. Ciò che è accaduto a Beslan allarga i confini della crisi cecena. Indirettamente impegnata in Georgia, la Russia sta nuovamente combattendo sul fronte ingusceto ed è alle prese con un Caucaso sempre più burrascoso. Ci sono due Ossezie: una meridionale, nella Georgia, e l’altra, a nord del Caucaso, tra Cecenia e Inguscezia, dove si trova Beslan. Il presidente della Georgia, Mikhail Saakashvili, ha recentemente accusato i russi di fomentare la politica secessionista dell’Ossezia del sud, in Georgia. In Tskhinvoli si sono verificati scontri tra georgiani e milizie locali. Anche l’Akbazia ha tensioni secessioniste che secondo alcune fonti sono fomentate dalla Russia. Tempo fa Shamil Basayev, da Grozny si spostò in Daghestan per attivare una guerra santa per creare uno Stato islamico del Caucaso settentrionale. L’Inguscezia doveva far parte di una nuova repubblica musulmana, alleata con l’Afghanistan dei Talebani. Vladimir Putin, neo presidente al Cremlino, per contrastare questo disegno, decise di consolidare la copertura politica della Russia tra le popolazioni dei ceceni, ingusceti, osseti, georgiani, daghestani, azeri, armeni e su altre popolazioni meno note. Escalation di violenza. In ciascuno di questi Paesi vi è un conflitto e ogni conflitto è legato all’altro, principalmente da ragioni politiche ed economiche. Durante quest’anno l’escalation della violenza non ha conosciuto tregua, anche se in Occidente non si è voluto dare importanza ai fatti accaduti. Solo qualche esempio.

L’amministrazione cecena filo-russa a Grozny riferisce che, a fine luglio tre ribelli e due membri delle forze speciali sono stati uccisi a Kizlyar, nella vicina repubblica del Daghestan, nel corso di un raid condotto in una palazzina della città. Tre agenti ceceni e cinque indipendentisti hanno perso la vita nel corso di un’azione analoga nella città di Argun, a est di Grozny. L’agenzia Prague Watchdog informa che le forze russe hanno perso cinque uomini in un combattimento scoppiato presso il villaggio di Eshelkhatoi; altri sette sono rimasti feriti. A Khattuni, quattro ribelli sono morti in agosto, secondo quanto comunicato dall’esercito federale. Ancora nel martoriato villaggio di Gansal-Chu (Nozhai-Yurt), informa la Prague Watchdog, si registra la morte di tre soldati ed altrettanti miliziani.

Nell’ultima settimana di luglio a Grozny le vittime tra l’esercito di Mosca sono state almeno 14, 5 gli indipendentisti uccisi; morto anche un alto ufficiale della polizia cecena, per una autobomba. In Inguscezia , un poliziotto sospettato per il raid dei ribelli del 21-22 giugno scorso (90 morti tra militari e civili), si è fatto esplodere nel suo ufficio, mentre veniva interrogato; due agenti sono stati feriti. I bambini di beslan. L’elenco delle vittime spesso “dimenticate” dall’opinione pubblica e dalla grande informazione potrebbe continuare all’infinito. Una catena interminabile di sangue e di morte, che adesso ha un ulteriore, enorme anello. Oggi piangiamo i bambini e le vittime di Beslan, ci uniamo contro ogni terrorismo, chiediamo che le religioni non vengano utilizzate come pretesto di divisioni, ma siano fermento che unisce. Ma il problema va affrontato alle sue radici, è una piaga troppo ampia che ha bisogno di un grande lavoro di recupero prima politico e poi sociale di dimensioni ancora non sperimentate, né dalla politica europea e internazionale, né dalle agenzie di intervento umanitario, vista l’entità delle necessità e la precarietà delle situazioni da risolvere. Da qualche parte però si dovrà iniziare a ragionare su piani diversi, accogliendo l’appello del Papa, che diventa un urlo straziante: “Costruiamo la pace, lavoriamo per la riconciliazione”. LA CARITAS E LA CECENIA. In Cecenia si mantengono aperti centri di alimentazione per i bambini e le donne sole. L’insicurezza è totale; per questo gli operatori entrano il mattino in Grozny e rientrano prima del calare della notte in aree protette. La popolazione inerme, le donne, gli anziani e i bambini sono le vittime senza scampo e per questi si organizzano centri di distribuzione di viveri e di un minimo sostegno sanitario. In Georgia la Caritas opera con una presenza diretta che deve però essere sostenuta dall’estero in quanto mancano assolutamente i mezzi per intervenire in modi concreti ed efficaci sugli immensi bisogni. Si tratta di regioni che, oltre alle vicende umane, debbono difendersi dalle inclemenze dell’ambiente che d’inverno fa vittime innocenti per carenza di alimentazione e di riscaldamento nelle abitazioni. Il Network delle Caritas europee si dovrà sempre di più far carico delle gravi carenze che i conflitti striscianti e devastanti stanno provocando, ma certamente non potranno influire sulle decisioni politiche, le sole che potrebbero aprire alla speranza intere popolazioni oggi derelitte, affamate e rese “dure” dai conflitti perduranti.