Opinioni & Commenti

Cattolici, oltre la diaspora

di Guido BodratoLa diaspora è riconducibile al tramonto dell’unità politica dei cattolici rappresentata per cinquant’anni dalla democrazia cristiana. Niente dura sempre. Tuttavia quella crisi non è comprensibile al di fuori di una riflessione sulla più ampia crisi della politica (ed in particolare della democrazia rappresentativa), che ha fatto parlare di una stagione post-democratica, di un tempo dominato dalla videocrazia, che oscilla tra individualismo e forme di moderno dispotismo. E questa crisi riguarda anche chi si riteneva erede del «regime democristiano». È comunque importante liberare i cattolici dalle polemiche sul passato e sull’appartenenza ad opposti schieramenti politici. Quale che sia l’opinione che abbiamo sul bipolarismo, che costringe a stare a destra od a sinistra, dobbiamo privilegiare il dialogo sui problemi della società, verificando dal basso la disponibilità ad un comune impegno ed entrando così in relazione con generazioni che non possono avere memoria del passato. C’è un volontariato della politica che rende vero il richiamo al servizio e corrisponde alla tradizione popolare.

Tuttavia bisogna riflettere anche su ciò che caratterizza il tempo che stiamo vivendo, poiché solo in questo modo si riscopre una motivazione attorno alla quale ritessere un progetto che sarà «politico» in quanto metterà i valori cui si ispira la nostra vita personale e di comunità in relazione con le scelte che riguardano il bene comune, le grandi coordinate di una società più giusta, le scelte per un mondo che ricerca la pace. Per questa via i cristiani camminano insieme a tutti gli uomini di buona volontà. Non dobbiamo essere divisi da pregiudizi, ma dobbiamo sapere che potremmo fare scelte diverse, anche dove i cristiani appaiono ancora uniti. In Europa gli eredi delle democrazie cristiane che hanno dato un contributo decisivo alla nascita della Comunità europea e che ancora aderiscono al Partito popolare europeo, sono ad un bivio. Ne ha scritto molto bene Pier Antonio Graziani.

Restare fedeli alla tradizione personalista e federalista che ha caratterizzato le loro scelte politiche al tempo del «club dei sei» paesi che hanno fondato l’Europa, oppure «dare un volto umano» ad un nuovo partito conservatore che dovrebbe rappresentare l’alternativa alla sinistra nella «Grande Europa» che si sta delineando? La prima scelta è più difficile, poiché in molte realtà nazionali la politica oppone i popolari ai socialisti; ma la seconda scelta significa la fine di quella rivoluzione europeista che ha fatto dire che «l’Europa sarà personalista, o non sarà». Partire dal basso, dai problemi concreti, è il modo giusto per un coordinamento di cattolici che sentono il dovere di servire la loro comunità. È giusto fare della fraternità il punto di forza di questa iniziativa. Tuttavia ci sarà un momento nel quale il dialogo avrà senso solo se saprà affrontare le questioni che riguardano l’avvenire.

Solo una riflessione culturale permette di mettere in relazione le piccole cose quotidiane che mettono alla prova la nostra personale disponibilità con le sfide (ed i rischi) che la storia ci impone.