Opinioni & Commenti

È Pasqua, non lasciamoci rubare la speranza

«Ecco, io faccio una cosa nuova:proprio ora germoglia,non ve ne accorgete?» (Isaia 43, 19)

Ma dove va il mondo? Verso la pace universale oppure verso l’autodistruzione?». Era la domanda che Giorgio La Pira ci poneva continuamente e noi, allora giovanissimi, eravamo pronti a credergli quando ci ripeteva e ci ripeteva: «Occorre guardare alla foce per capire verso dove scorre il grande fiume della storia, altrimenti si passa il nostro tempo sulla riva a guardare scorrere il fiume lamentandoci della fatica di fare le anse: il fiume della storia va inderogabilmente, nonostante tutto, verso la pace, l’armonia, la bellezza, l’unità dell’intiera famiglia umana».

Due sondaggi in risposta a quella domanda iniziale: estate 2012, incontro dei 25 giovanissimi (15-17 anni) della mia parrocchia con i loro genitori, adolescenti 95% e genitori 80%: «verso la distruzione»; inverno 2013, incontro di circa 70 giovani toscani (17-23 anni), soltanto un braccio alzato: «verso la pace»!

Ma quanti di noi, siamo finalmente sinceri con noi stessi, sono pronti a condividere e coltivare oggi quella rinnovata speranza che dal mattino di Pasqua, giorno dopo giorno, si fa consapevolezza storica e impegno concreto verso nuove prospettive di vita piena?

Ecco il punto centrale sul nostro fare o non fare Pasqua! È veramente il Risorto che guida la storia? Abbiamo forse perso la speranza nell’avvento del Regno di Dio? Sul fatto che è Lui che conduce ancor oggi il cammino dell’umanità verso orizzonti nuovi? Ed io, e noi, dove ci collochiamo?

Sì, se siamo costretti a riconoscere che le nuove generazioni stanno cogliendo da noi, almeno a livello di percezione emotiva, la prospettiva della «fine del mondo», domandiamoci: quale «buona notizia» siamo stati capaci di comunicare ai nostri figli? E quale inversione di rotta, cambiamento di mentalità, nuova consapevolezza ci è richiesta?

E proprio dalla «fine del mondo», dal meridione del pianeta, arriva a noi, adulti opulenti e cristiani poco credibili del «nord-est» della terra, il salutare invito pasquale a rinnovare la speranza con la tenacia del contadino che pianta il seme ed attende operoso e non come coloro che, «aspettando Godot, attendono la fioritura di un giglio che nessuno ha mai piantato» (Vàclav Havel).

Così Francesco, come Francesco, ci ha indicato una strada plurale ed umanissima per farci realmente «esperti in umanità» e credenti finalmente credibili: la via della bellezza, della verità e dell’amore, la via della povertà, del diritto e della giustizia, che potrà farsi Pasqua di speranza per tutti solo se, relativizzati gli spasmi della nostra «crisi», saremo capaci di finalizzare e riconvertire verso nuovi orizzonti di resurrezione i nostri euro e i nostri dollari, le nostre confessioni e le nostre relazioni, le nostre banche e i nostri risparmi, i nostri PIL e i nostri «spread», le nostre assemblee legislative e i nostri governi, i nostri investimenti e le nostre azioni, i nostri affetti e le nostre professionalità, la nostra diplomazia e i nostri sistemi di sicurezza familiare e collettiva, le nostre guerre silenziose e le nostre «paci» armate.

Rinnovare la speranza pasquale è anche, concretamente, ribaltare quella intollerabile e immorale sproporzione fra l’80% di un’economia di carta, basata su un’irresponsabile propensione al gioco di azzardo (che mia mamma chiamava «peccato grave») di finanzieri senza scrupoli, anche «cristianissimi», ed il 20% di un’economia reale che non sa più dare lavoro e serenità a nessuno, tanto meno alle giovani generazioni, gravissima contraddizione specialmente per una Repubblica come la nostra ancora «fondata sul lavoro».

Siamo tutti invitati ad un salutare digiuno, necessario per consumare la Pasqua dell’Agnello come annuncio del Regno che viene: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto» e infine, altra pro-vocazione di papa Francesco, a riallacciare legami di armonia con quella creazione che attende ancora «come nelle doglie del parto, una rinnovata manifestazione dei figli di Dio».

Fare Pasqua è quindi porre oggi le condizioni per poter pronunciare credibilmente e saper condividere progressivamente con tutta l’umanità, «spes contra spem», il «Padre nostro» al presente indicativo: «Padre nostro, che sei tutto in tutti, tutti ti riconoscono Signore, il tuo Regno viene, la tua volontà è fatta in terra come in cielo, tu ci dai oggi il nostro pane necessario, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, ci sostieni nella tentazione e ci liberi dal male». E così è! Non ve ne accorgete?