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Monsignor Giovanni Nervo, la fede cristiana pienamente vissuta nella dimensione di cittadini

Ha atteso l’inizio della primavera per cominciare il suo percorso in cielo; ha potuto godere dei primi giorni di pontificato di Papa Francesco per assaporare la gioia di una «Chiesa povera e per i poveri», per la quale ha speso per intero, e senza riserve, la sua vita. Mons. Giovanni Nervo ha terminato il suo lungo passaggio in questo mondo, fatto di impegno, passione civile, amore per la città degli uomini, ma soprattutto di una fede grande per Gesù Cristo e la sua Chiesa.

Chi, come me, ha avuto la straordinaria fortuna di poterlo conoscere da vicino, di percorrere con lui pezzi significativi della sua eccezionale vita, non può non esserne stato segnato: e tra le tante espressioni della sua testimonianza non posso dimenticare la sua grande libertà di pensiero e di azione, resa possibile dalla verità della sua testimonianza e dalla coerenza del suo stile di vita.

Quando Egli affermava che il Vangelo e la Costituzione italiana erano per lui i capisaldi su cui costruiva un rapporto umano profondo con tutte le persone, di ogni estrazione sociale e cultura – come ci ricorda ora la «sua» Fondazione Zancan –, egli ci ha insegnato a comprendere come la fede cristiana non possa essere pienamente vissuta se non vivendo pienamente la propria dimensione di cittadini, e di cittadini che cercano e trovano nei principi della Costituzione l’orientamento di fondo della propria azione.

Un’altra espressione che egli usava costantemente era quella di «gemme terminali», ad indicare la necessità di cogliere, e saper leggere, in ogni situazione di vita le «radici del cambiamento sociale»: come nella pianta le gemme terminali esprimono in forma più forte, più visibile, più creativa lo sviluppo della pianta, così è nelle vicende sociali, e l’impegno di ciascuno deve essere quello di comprenderle e valorizzarle. Come egli ha costantemente fatto, non volendo mai passare per un protagonista, ma operando per promuovere le capacità migliori delle persone che incontrava, e per far crescere gli altri e contribuire alla nascita di enti ed organizzazioni (la Caritas italiana, la Fondazione Zancan) in grado di mantenersi da sole e di dare risposte stabili, innovative ed adeguate ai bisogni delle persone.

La sua voce mancherà alla Chiesa e alla società italiana, ma la sua testimonianza rimarrà forte e chiara: a lui sia concesso di vivere un’eterna primavera nella vita eterna, quella primavera nella quale ha sperato e per la quale ha vissuto.