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Sul Crocifisso una sentenza assurda e dannosa per tutti

di Giuseppe SavagnoneL’ordinanza del giudice dell’Aquila che impone la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche non meriterebbe alcun commento, se non fosse espressione di un modo di pensare che, malgrado l’unanime condanna espressa dal mondo politico, serpeggia nella nostra società. Sono in molti a ritenere che la laicità dello Stato implichi una neutralità nei confronti dei valori religiosi, e che in una società multiculturale e multireligiosa le credenze particolari debbano essere coltivate esclusivamente nell’ambito della sfera privata. Un simile modo di concepire il pluralismo religioso contiene almeno due equivoci di fondo, che è bene chiarire.

Il primo riguarda la religione. Essa può essere intesa come adesione intima a un determinato credo, e da questo punto di vista è giusto considerarla un fatto rigorosamente personale. Ma una religione è anche una dimensione fondamentale della cultura di un popolo, inscindibile dalle sue tradizioni, dalla sua storia, dalla sua identità. Così è dell’induismo per buona parte del popolo indiano. Così è dell’islamismo per i paesi arabi. Così è del cristianesimo per l’Italia. Da questo punto di vista il crocifisso esprime una storia e una cultura, che sono quelle del nostro Paese. Ciò è tanto più vero in quanto nessuna delle grandi religioni – meno che mai il cristianesimo – ha mai concepito se stessa come una pura scelta interiore. Esse hanno sempre considerato fondamentale la trasformazione dei costumi, della legislazione, dei rapporti sociali.

Il secondo equivoco consiste nel confondere il pluralismo con il relativismo e nella conseguente pretesa di ridurre la società civile a un contenitore vuoto, in cui tutte le posizioni si equivalgano. Un popolo ha diritto a essere se stesso, e l’accoglienza che dà a persone provenienti di altre civiltà, il rispetto nei loro confronti, non annullano questo diritto. Del resto non potrebbe fare diversamente, senza privarsi della possibilità di fare coerenti scelte politiche nel campo della famiglia, dell’educazione, e in tutti i numerosi altri in cui le leggi devono ispirarsi a dei valori, che non possono essere se non quelli della cultura di questo popolo. Lo stesso vale per i simboli e le manifestazioni in cui questi valori si esprimono a livello pubblico, come è il caso del crocifisso nelle aule delle scuole italiane. Del resto, anche quelli che da noi ne vorrebbero la rimozione, si ribellerebbero sdegnati all’ipotesi che la presenza di un alunno cristiano in una scuola araba dovesse obbligare la maggioranza musulmana a rinunziare alle espressioni visibili della propria fede. Ciò non esclude il dialogo. Al contrario, l’autentico pluralismo, ben lungi dall’esigere la rinunzia alla propria identità storica, la suppone. Una società dove – per un malinteso rispetto degli altri – ognuno rinunziasse ad essere se stesso, ammutolirebbe. L’unanime riprovazione con cui la comunità musulmana residente in Italia ha accolto la sentenza dell’Aquila, è una prova che la logica della contrapposizione non è inevitabile. Ci si può incontrare e rispettare, pur restando diversi. E proprio il crocifisso costituisce una significativa occasione per questo incontro, dato il significato universalmente umano che questo simbolo ha assunto e che ne fa un emblema del dolore e del riscatto di tutti i crocifissi della terra.

Per questi motivi non possiamo condividere la sentenza dell’Aquila. Al di là della sua inaccettabile pretesa di fondare il diritto invece di interpretarlo, essa sembra essere il frutto degli equivoci sopra detti. E perciò è un cattivo servizio non solo al cristianesimo, ma anche all’islam e soprattutto al vero pluralismo.

Se il giudice condanna il crocifisso

Il testo integrale dell’Ordinanza contro il Crocifisso