Opinioni & Commenti

Togliere acqua e cibo è come uccidere i malati

Marco Doldi

La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita”. Lo afferma la Congregazione per la dottrina della fede, rispondendo ai vescovi statunitensi, che nel 2005 avevano posto due domande precise, al riguardo degli atti dovuti al paziente, che si trova nello stato vegetativo (testo integrale: «Risposte a quesiti su alimentazione e idratazione artificiale». Tale stato è simile al coma: la persona è in una condizione di assenza della coscienza, dovuta a un danno di varia natura, subito alla corteccia cerebrale; sono presenti il respiro, il battito cardiaco spontanei, attività controllate dal tronco encefalico. Il paziente, che mantiene gli occhi aperti – per la sostanza reticolare responsabile della vigilanza – può restare in questo stato per un tempo indefinito. Nel caso vi fosse una ripresa, resterebbero sempre postumi di lesioni a livello neuromotorio. Ora, come trattare un simile paziente?

La questione è estremamente attuale per il fatto che taluni invocano l’eutanasia in quanto ritengono che una tale vita non sarebbe più umana, ma vegetale. In realtà, già Giovanni Paolo II aveva insegnato, in un discorso del 20 marzo 2004, che “un uomo anche se gravemente malato o impedito nell’esercizio delle sue funzioni più alte, è e sarà sempre un uomo, mai diventerà un vegetale o un animale”.

E, quali atti sono dovuti a chi si trova nello stato vegetativo permanente? L’ammalato in stato vegetativo, in attesa del recupero o della fine naturale, ha diritto alla assistenza sanitaria di base, che consiste nella nutrizione, nell’idratazione, nell’igiene, nel riscaldamento, etc. Ancora, ha diritto: alla prevenzione delle complicazioni legate all’allettamento, ad un intervento riabilitativo mirato e al monitoraggio dei segni clinici di eventuale ripresa.

Giovanni Paolo II ha precisato come “la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenti sempre un mezzo naturale di conservazione della vita, non un atto medico”. Il suo uso pertanto è da considerarsi, in linea di principio, ordinario e proporzionato, e come tale moralmente obbligatorio, nella misura, in cui e fino a quando, esso dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che nella fattispecie consiste nel procurare nutrimento al paziente e lenimento delle sofferenze.

La Congregazione interviene per ribadire l’insegnamento costante, che da Pio XII (cfr discorso del 24 novembre 1957) ai nostri giorni si è ampliato e approfondito. Due sono i contenuti fondamentali. Si afferma, in primo luogo, che la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita per i pazienti in stato vegetativo. Tale somministrazione “è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente”. Si precisa, in secondo luogo, che tale mezzo ordinario di sostegno vitale va assicurato anche a coloro, che versano nello stato vegetativo permanente, in quanto si tratta di persone, con la loro dignità umana fondamentale.

Si deve precisare che queste indicazioni fondamentali possono trovare, per così dire, una necessaria sospensione. La stessa Congregazione, in una nota esplicativa, precisa che “in qualche regione molto isolata o di estrema povertà l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano non essere fisicamente possibili”. Tuttavia, sussiste sempre l’obbligo di offrire le cure minimali disponibili e di procurarsi i mezzi necessari per un adeguato sostegno vitale.

Inoltre, non si può dimenticare che, qualora sopraggiungano complicazioni, il paziente non possa più assimilare il cibo e i liquidi. La loro somministrazione diventa così del tutto inutile. Neanche, si scarta l’evenienza che, in qualche raro caso, l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico legato, per esempio, a complicanze nell’uso di ausili strumentali.

Questi casi eccezionali, però, nulla tolgono al criterio etico generale, secondo il quale la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenta sempre un mezzo naturale di conservazione della vita e non un trattamento terapeutico.

La nutrizione è da considerarsi come un intervento ordinario e proporzionato; mentre, la sua sospensione si configura come un atto di eutanasia.

(nella foto Pier Giorgio Welby)