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CONFERMATA LA MORTE DI ARAFAT

La notizia della morte di Yasser Arafat, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), avvenuta alle 3,30 di giovedì 11 novembre all’ospedale militare Percy di Clamart, alla perfiferia di Parigi, è stata confermata a Ramallah, da Tayeb Abdel Rahim, uno degli aiuti dello scomparso. La salma del rais sarà trasportata oggi al Cairo, dove domani mattina si svolgeranno i funerali ufficiali in presenza in particolare dei capi di stato arabi e di rappresentanti di molti governi del mondo. Nella stessa giornata Arafat sarà trasferito in elicottero a Ramallah e verrà seppellito alla Muqata, il palazzo presidenziale dove ha vissuto ininterrottamente negli ultimi tre anni.

Mohammed Abd al-Rahman Abd al-Raouf Arafat – questo il suo nome completo – nasce il 24 agosto 1929 al Cairo, come rivela il suo attestato di nascita; secondo alcune fonti, il diretto interessato avrebbe dichiarato di essere nato a Gerusalemme o a Gaza. Il legame con la Palestina è comunque diretto: suo padre, un ricco mercante tessile della famiglia degli Husseini, era nato nella città Santa, da cui proveniva anche la madre, che muore quando il piccolo Yasir – come viene chiamato in famiglia – ha solo 4 anni. Affidato a uno zio a Gerusalemme, vi trascorre alcuni anni e per la prima volta viene a contatto con gli occupanti della Palestina, allora protettorato britannico.

Rientrato al Cairo, non ancora ventenne prende parte alla lotta palestinese contro il costituendo Stato ebraico, che verrà proclamato il 15 maggio 1948. In quel periodo – secondo la biografia pubblicata dal sito ufficiale dei Premi Nobel, di cui verrà insignito nel 1993 per l’impegno a favore della pace – Arafat contrabbanda armi per i palestinesi nella zona di Gaza. La nascita dello Stato di Israele lo getta in un periodo di sconforto: si iscrive alla Facoltà di ingegneria e fin dall’inizio della carriera universitaria si unisce alla Fratellanza musulmana e alla Lega degli studenti palestinesi, di cui diviene anche presidente.

Nel 1956 – dopo gli anni trascorsi come capo studentesco palestinese – si laurea. Lavora per breve tempo in Egitto e si trasferisce poi in Kuwait: secondo alcune fonti, cerca in questo modo di sfuggire al tentativo di arresto da parte di Israele. Arafat non ha ancora trent’anni, ma sta già diventando una figura di primo piano nella resistenza palestinese.

La svolta è nel 1958: insieme ad amici ‘ribelli’, che sognano come lui l’indipendenza della Palestina, fonda il movimento ‘al-Fatah’, una rete di cellule segrete, che dall’anno successivo inizia a diffondere una pubblicazione per la lotta armata contro Israele.

Sotto gli auspici della Lega araba nel 1964 nasce l’‘Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che raccoglie decine di gruppi a organizzazioni attive per riconoscere autonomie a quella terra. Arafat lascia il Kuwait per dedicarsi ‘full-time’ – ancorché in clandestinità – alla lotta rivoluzionaria, diventando per tutti ‘Abu Ammar’ (il padre di Ammar), il nome di battaglia con il quale verrà consegnato alla storia del suo popolo. Tre anni più tardi anche al-Fatah confluisce nell’Olp, dopo la sconfitta nella guerra araba contro Israele nel 1967.

In due anni, con abilità e destrezza Arafat si rivela come l’uomo-forte dell’organizzazione e la smarca definitivamente dalla tutela degli Stati arabi, creando le basi di una vera e propria struttura indipendente con basi in Giordania. Secondo alcuni osservatori, l’Olp diventa presto una sorta di ‘Stato nello Stato’, dotata anche di forze militari autonome a tal punto che il re di Giordania espelle il movimento dal suo territorio. Arafat accresce anche le proprie responsabilità militari e nel 1973 diviene Comandante in capo dei gruppi armati palestinesi.

Risale all’anno successivo la prima decisiva svolta politica dell’Olp: la rivendicazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e alla creazione di uno Stato; a novembre, in uno storico discorso all’Assemblea dell’Onu, Arafat chiede una soluzione pacifica e politica per la Palestina, ammettendo implicitamente l’esistenza di Israele In pochi anni tramonta anche il tentativo di mantenere la sede dell’organizzazione in Libano, dove l’invasione israeliana manda in fumo i progetti di Arafat. ‘Abu Ammar’ – la cui icona di uomo con la Kefiah diviene presto un’immagine famigliare a tutti i palestinesi profughi e a quelli rimasti in ‘patria’ – installa il suo quartier generale a Tunisi. Nel 1988 proclama lo Stato indipendente di Palestina, affermando a Ginevra di rinunciare al terrorismo e di riconoscere “il diritto di tutte le parti coinvolte in Medio Oriente di vivere in pace e sicurezza”; pochi mesi più tardi viene eletto presidente dal Parlamento di un Paese che ancora non esiste ma che – da quel momento in poi – cercherà con rinnovato vigore di ottenere riconoscimento internazionale e autonomia da Israele.

All’inizio degli Anni Novanta il Medio Oriente è infiammato dall’attacco dell’alleanza anglo-occidentale contro il regime di Saddam Hussein, che a gennaio del 1990 aveva invaso il Kuwait: Arafat decide di schierarsi a fianco del Rais di Baghdad, attirando sospetti di connivenze con cellule terroristiche attive nella regione. La ‘solidarietà’ con l’Iraq gli viene comunque ricambiata generosamente da Saddam, che fino alla sua caduta nel 2003 continuerà a finanziare attività e aiuti ai palestinesi. Arafat rimane il principale interlocutore degli Israeliani – che in parte lo considerano il nemico numero uno dello Stato ebraico.

Nel 1992 partecipa alla Conferenza di Madrid per la pace in Medio Oriente, insieme a Siria e Israele. Negli stessi mesi si pongono – segretamente – le basi del negoziato, che poco dopo porterà Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin a firmare a Washington il loro primo trattato di pace, aprendo la strada all’autonomia di Gaza e della Gisgiordania.

Per questo accordo, insieme al laburista Shimon Peres, l’anno successivo riceveranno il Nobel per la pace. Il suo quartier generale, intanto, si trasferisce a Gaza, da dove guida l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), di cui nel 1996 diventa presidente. La sua guida è contestata dai gruppi radicali come ‘Hamas’ e la Jihad islamica che – soprattutto a partire dal settembre del 2000, inizio della cosiddetta ‘Seconda Intifada’ – dichiarano lotta armata a Israele. È soprattutto a Gaza che questi movimenti estremisti trovano terreno fertile: in un’area ad elevatissima concentrazione demografica e forte povertà, garantiscono servizi, assistenza, istruzione islamica conducendo proselitismo a tutto campo. La responsabilità degli attentati condotti spesso anche contro gli israeliani – alcune delle quali sono compiute anche da gruppi armati che rivendicano legami con al-Fatah – viene attribuita da Israele unicamente ad Arafat, che nel dicembre 2001 viene confinato nella sede di Ramallah, in Cisgiordania.

Non lascerà quasi mai la Moqata, l’edificio che le bombe israeliane riducono in rovine: l’anziano leader non abbandona la sua ‘base’ nemmeno quando le forze speciali dello Stato ebraico vi fanno irruzione nel 2003. Il primo ministro israeliano Ariel Sharon – uno dei suoi acerrimi nemici – dà il suo consenso per l’espulsione di Arafat dai Territori, che di fatto non avverrà. Gli ultimi anni della sua gestione sono caratterizzati da feroci lotte intestine tra correnti e gruppi di potere palestinesi, soprattutto tra la leadership di Ramallah e le spinte estremiste provenienti da Gaza. Abbandonata la kefiah, il 25 ottobre scorso Arafat lascia la Moqata su una barella e con un berretto grigio in testa, il volto tirato e un sorriso forzato per non demoralizzare i suoi sostenitori.

Il vecchio leader lascia la sua terra per l’ultima volta diretto a Parigi a causa di un improvviso aggravamento delle sue condizioni, che da mesi erano andate via via deteriorandosi. In una ridda di voci e di smentite, la notizia della sua morte viene annunciata il 4 novembre, nello stesso giorno in cui una mano assassina – nove anni prima – uccideva il primo ministro israeliano Rabin, ‘colpevole’ delle aperture concesse ai palestinesi. L’immagine che li accomuna – già consegnata alle pagine della storia – è quella della loro stretta di mano nel giardino delle rose della Casa Bianca il 13 settembre 1993, sotto lo sguardo soddisfatto dell’allora presidente statunitense Bill Clinton: nessuno di questi protagonisti ha visto avversarsi quel sogno. (a cura di Emiliano Bos – Misna)

La difficile successione ad Arafat

Arafat: il successo dell’uomo di lotta, la sconfitta dell’uomo di pace