Toscana

Caritas Toscana, «Non siano il rancore e la paura a orientare le scelte sui migranti»

«Ospitare i pellegrini, accogliere gli stranieri», era questo il titolo del documento che nel dicembre del 2016 i vescovi della Toscana indirizzarono alle comunità ecclesiali attorno al tema dell’accoglienza e dell’attenzione a tutte le fragilità ed in particolare alle fragilità dei migranti.

Scrivevano allora i vescovi: «Raccomandiamo con forza che cresca la sollecitudine pastorale per promuovere nelle comunità una disponibilità all’accoglienza, informata e coraggiosa, per educarci reciprocamene all’arte dell’incontro quale antidoto alla paura, la rabbia e la chiusura».

Da allora, con preoccupazione registriamo che il clima di paura e di disorientamento che percorre le nostre comunità e il Paese è cresciuto, si è diffuso ed arriva a minacciare la coesione delle comunità e la capacità di riconoscere nell’altro il volto di una persona con cui dialogare e costruire insieme la città di domani.

In questo contesto, come Caritas della Toscana guardiamo con grande preoccupazione al quadro che emerge dalla recente conversione in legge del cosiddetto «decreto Salvini» (decreto legge  n. 113/2018) in tema di sicurezza, che riformula vari aspetti della normativa in materia di immigrazione e protezione internazionale.

Tale processo di modifica messo in atto dal Governo non si limita, alle sole misure contenute nel decreto in questione, ma sta proseguendo su aspetti collegati ad esso e di grande importanza, in particolare quelli connessi alla riforma dell’attuale sistema dell’accoglienza, sul quale il dl 113/2018 è già intervenuto. Si prevede nella legge una restrizione del ventaglio dei beneficiari dello Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) e si esclude la possibilità di accesso per i richiedenti protezione internazionale.

È attesa inoltre la riformulazione del Capitolato per la gestione dei centri di accoglienza che prevederebbe prestazioni ridottissime tali da non consentire la fornitura di un servizio adeguato ai beneficiari. Tale servizio, infatti, per come è stato fino ad oggi prefigurato, si allontana dalla logica di un percorso di integrazione sul territorio ospitante dei beneficiari, limitandosi ad una mera assistenza, che difficilmente riuscirà a valorizzare le risorse, anche economiche, impiegate, creando una sempre maggior lontananza tra la comunità che è chiamata ad accogliere ed i richiedenti asilo stessi, che saranno sempre più isolati in quella società che in futuro potrebbe comunque essere quella dove vivranno fianco a fianco degli altri cittadini.

Nel documento di due anni fa, i Vescovi con lungimiranza auspicavano che si giungesse «a sintetizzare le indicazioni tratte dal patrimonio di esperienza ormai acquisito, in indicazioni chiare su che cosa possa essere definita anche per noi, Chiese della Toscana, una buona accoglienza: diffusa sul territorio, in piccoli gruppi, centrata sulla persona, sulla promozione della sua autonomia ed integrazione, sulla costruzione di un’ipotesi di futuro per quanti arrivano in cerca di protezione».

Oggi, facciamo di nuovo nostre le riflessioni che furono espresse allora.

Il patrimonio di esperienza che le Caritas negli anni hanno maturato, come le storie luminose di accoglienza di «rifugiato a casa mia», ha aperto riflessioni e percorsi verso un modo di fare accoglienza che coinvolge le comunità e che co-costruisce percorsi di pace e di dialogo casa per casa.

Siamo convinti che non sia il rancore o la paura a poter orientare le scelte di gestione di una realtà epocale come quella migratoria.

Ci preoccupano soprattutto gli effetti del decreto in merito alle possibili uscite dal circuito di accoglienza di persone regolarmente soggiornanti sul nostro suolo, in particolar modo coloro che beneficiano dell’attuale permesso umanitario, non più nelle previsioni di legge.

Vediamo con grande timore la possibile nuova migrazione «dalle strutture» ai territori, alle strade, di persone che non avranno più luoghi dove poter abitare.

E siamo preoccupati di quello che potrà accadere ai molti che perderanno il titolo per poter risiedere e che diventeranno irregolari, condannati all’invisibilità nelle nostre città.

La pratica quotidiana dell’ascolto e dell’incontro ci dice che le nostre comunità possono essere capaci di accoglienza e di integrazione.

Adesso che il Natale arriva e che ci ricorda di un bambino per il quale non c’era posto, guardiamo a questo potenziale di bene, per poter celebrare con sincerità il mistero dell’incarnazione e per riconoscerci cristiani attorno alla luce di Betlemme.

Mons. Roberto Filippini,vescovo delegato Caritas per la Conferenza Episcopale della Toscana – Delegazione delle Caritas della Toscana