Toscana

Chiesa e Ici, altro che evasori…

di Claudio Turrini

Per “credervi” non mi basta che lo diciate, dovete dimostrarlo…». Così un mese fa ci scriveva un lettore, Osvaldo Forzini da Montevarchi (Ici e Chiesa, per credervi voglio degli esempi). Di servizi e commenti sui «presunti privilegi» fiscali della Chiesa ne abbiamo pubblicati tanti, in questi anni (clicca qui).

Abbiamo spiegato più volte come l’esenzione Ici (imposta comunale sugli immobili) riguardi un’ampia platea di soggetti, che va dalle sedi dello Stato a quelle delle Comunità montane, dalle Asl e gli ospedali alle Camere di commercio, dalle scuole ai musei, dai sindacati ai patronati, dalle biblioteche agli archivi, dai terreni agricoli di aree montane o collinari agli edifici di culto, fino agli immobili degli enti no profit che operano in alcuni settori di interesse sociale (assistenziale, previdenziale, sanitario, didattico, ricettivo, culturale, ricreativo e sportivo). E che tra tutti questi, gli immobili esenti di proprietà della Chiesa (in tutte le sue varie articolazioni) sono appena il 4%. Ma le nostre spiegazioni si infrangono contro il muro di gomma di una propaganda interessata, sostenuta da radicali e massoni, che alla fine sembra avere come unico obiettivo quello di gettare fango sulla Chiesa, farla apparire come un «evasore» («santa evasione» titolava in copertina l’«Espresso» qualche tempo fa) o come una «privilegiata», che gode di favoritismi in nome magari di una certa condiscendenza al politico di turno.

Anche la Chiesa è fatta di uomini e nessuno può escludere che tra le sue file ci sia chi cerchi di «fare il furbo», facendo passare per «esente» un immobile che non dovrebbe esserlo. Ma nessuno vuol difendere gli evasori. Meno che mai se si professano cristiani. È giusto che i Comuni controllino ed esigano l’imposta se dovuta. Detto questo, l’esenzione dall’Ici non è un «privilegio» è solo una norma di buon senso nel nome della sussidiarietà. Lo Stato ha tutto l’interesse a favorire l’iniziativa di chi, senza ricavarne un profitto, svolge un servizio sociale. Tassare quegli immobili mettendone in forse le attività sarebbe un suicidio. Far pagare l’Ici per poi restituirla sotto forma di contributi diretti, un assurdo, oltretutto inutile. O forse si vuol dire che è solo quel 4% di esenzioni «ecclesiastiche» che creano un problema? Esentare la società sportiva dilettantistica va bene e l’oratorio parrocchiale no? La sede del patronato sì, ma la mensa per i poveri no?

Raccogliendo la «sfida» lanciata dal nostro lettore siamo andati a scovare degli esempi concreti. Abbiamo preso due diocesi toscane, la più grande – Firenze – e una delle più piccole, Montepulciano-Chiusi-Pienza. Dopo la riforma del Concordato, voluta nel 1984 dal socialista Craxi, i beni di proprietà delle Diocesi (quelli rimasti dopo le tante «spogliazioni») sono confluiti negli Istituti diocesani per il sostentamento del clero (Isdc), regolati da una legge italiana e finalizzati a fornire uno stipendio a tutti i sacerdoti.

Alcuni immobili, strettamente legati al culto (come le chiese e gli oratori) o alle attività pastorali e caritative (locali parrocchiali, canoniche, se abitate dal parroco, aule di catechismo…) sono poi stati conferiti all’ente Diocesi o all’ente parrocchia. Tutti gli altri, capaci in astratto di produrre un reddito, sono rimasti agli Idsc. I quali pagano Ici e altre tasse, secondo la legge, come qualsiasi altro ente italiano. Le uniche esenzioni di cui godono ricadono tra quelle previste nel settore agricolo. Lo stesso vale per le riduzioni di imposta, che scattano nel caso di inagibilità o di edificio storico notificato. Chiese parrocchiali e canoniche sono esenti, ma quest’ultime – se non abitate –, tornano a pagare l’Ici.

Capita anche, come mostriamo con questi esempi, che un immobile adibito ad un’opera altamente meritoria (come la «Casa San Luigi» a Sesto Fiorentino) paghi una cifra molto alta di Ici perché l’immobile è dell’Idsc ma è dato in affitto all’Oda. Ed è una bufala che basti una cappellina per rendere esente un albergo. Addirittura a «La Calza» si preferisce pagare l’ici anche per la parte che fa accoglienza ai sacerdoti anziani, pur di non aprire contenziosi.

Chiesa e Ici, ecco quanto pagano le diocesi ai Comuni

Chiesa e Ici, qualche esempio