Toscana

Il vescovo Borghetti tra i superstiti e i familiari di vittime e dispersi

di Mariano Landini

Giovedì mattina sono andato al Giglio fondamentalmente per quatto motivi: rendermi conto personalmente della situazione; incoraggiare tutti coloro che stanno operando sul posto con un’alacrità ed una sinergia che lascia stupefatti; ringraziare i sacerdoti, le suore, gli abitanti dell’Isola per la loro straordinaria generosità, per ora in modo del tutto informale, in attesa di poter tornare, a riflettori spenti, per una celebrazione eucaristica di rendimento di grazie al Signore, anche per lo scampato pericolo delle 4.200 persone che si sono salvate; infine pregare, con una preghiera molto semplice ed intensa». Così monsignor Guglielmo Borghetti, vescovo della diocesi di Pitigliano Sovana Orbetello, nella cui giurisdizione si trova il luogo dove è adagiato il gigante del mare della Costa Concordia, ha iniziato a raccontarci della sua visita all’Isola del Giglio compiuta lo scorso 19 gennaio, a sei giorni dalla sciagura.

E proprio la preghiera ha accompagnato le ore delle visita, con tre momenti particolarmente significativi: «Il momento di preghiera solitaria che ho vissuto in chiesa, davanti al Santissimo; quello comunitario sul molo, con alle spalle la nave naufragata, circondato da tantissime persone, giornalisti, forze dell’ordine, soccorritori, durante il quale abbiamo pregato per i defunti, per i dispersi ed i loro famigliari in ansia e per tutti coloro che si sono prodigati nei soccorsi, fra i quali in primo luogo gli abitanti dell’Isola; il terzo momento, che è stato quello più toccante, quando sulla motovedetta della Guardia di Finanza siamo arrivati ad una ventina di metri dalla nave, dove ho espresso una lunga preghiera di affidamento al Signore per intercessione di Maria, Stella Maris, alla quale tutti hanno partecipato in un silenzio assoluto, carico di commozione. Io stesso ho dovuto evitare di guardare dentro la nave per non cadere in una situazione di emozione troppo intensa che in quel momento non avrei retto».

Altri momenti significativi della visita del Vescovo sono stati il pranzo, consumato in piedi, con semplicità, nella mensa allestita dalla protezione civile sul porto, in un clima di serenità ed amicizia; l’incontro con il medico del Giglio, che ai suoi ringraziamenti e complimenti ha risposto «non bisogna ringraziare perché noi abbiamo fatto quello che dovremmo fare sempre», suscitando in monsignor Borghetti la considerazione che «nel buio di una tragedia di queste dimensioni si è accesa la luce della solidarietà, è venuto fuori il meglio dell’umanità; più volte mi è capitato di dire ai giornalisti che nell’occasione mi hanno assediato che questa è la vera Italia, quella delle gente comune, che sa aprire il cuore e le porte delle case, che si rimbocca le maniche per soccorrere chi è nel bisogno».

E veramente il Vescovo è stato assalito dai giornalisti affamati di notizie appena sceso dal traghetto; la cosa lo ha sorpreso, ma non infastidito più di tanto, perché così, ci dice, «ho avuto modo di manifestare la presenza della Chiesa come istituzione … questo assedio mediatico tutto sommato non mi è dispiaciuto, non certo per mettermi in mostra, ma per far vedere  che la Chiesa c’è, è vicina, è presente e lo sarà anche in seguito, quando si spegneranno i riflettori».

Ma la richiesta ricorrente dei giornalisti, alla perenne ricerca dello scoop, è stata quella di un giudizio sull’operato del comandante Schettino ed il Vescovo è stato abile nel rimandare alle singole coscienze la domanda: «Ho invitato tutti ad evitare processi mediatici o a costruire romanzi o telenovele dove già si sa chi è il cattivo da condannare; questo non perché non ci siano delle perplessità sull’operato del Comandante, sul quale la giustizia farà il suo corso, ma perché l’unico che ha il diritto di giudicare i cuori è il Signore. Forse dovremmo riflettere su quante volte anche noi abbiamo fatto fare naufragio alla nostra responsabilità verso il prossimo; prima di giudicare ed accusare gli altri dovremmo  guardarci dentro…».

Infine gli è stata rivolta una domanda forse «a trabocchetto» sul significato da dare alla tragedia, ed anche qui il Vescovo di Pitigliano, deludendo coloro che si aspettavano, magari per avvalorare l’immagine stereotipata di una Chiesa retriva ed oscurantista, discorsi su punizioni di Dio, condanne sullo scialo ed il divertimento, ha rimandato il quesito alla coscienza del mittente dicendo che l’insegnamento da trarre da fatti come questo è che «di tutto ci può accadere in qualsiasi momento; quindi è importante che la nostra esistenza sia portata avanti con la coscienza a posto, cercando di vivere facendo il proprio dovere, in modo sereno, con amore e passione, sapendo però che la nostra vita è fragile, nonostante i progressi della tecnica e della scienza».

Dopo un abbraccio, senza tante parole, con i famigliari dei dispersi, in particolare con una anziano padre che si è sciolto in un pianto liberatorio dopo giorni di tensione silenziosa, il vescovo Borghetti ha ripreso la nave per il ritorno a casa e, mentre i contorni dell’isola di granito, con la nuova isola bianca artificiale che l’affianca da quello sciagurato 13 gennaio scomparivano lentamente nelle prime ombre della sera, non si offuscavano certo le intense emozioni ed i sentimenti opposti di sofferenza per le vittime e gratitudine per i tantissimi superstiti e per la grande solidarietà che la sciagura ha suscitato. No, non è Dio che manda le disgrazie, ma, come sempre, lenisce il male causato dalle sue creature con il balsamo profumato dell’amore.