Toscana

La Toscana per Aleppo: «Aiutiamo i bambini a dimenticare la guerra»

«Siete i benvenuti, grazie per aver raggiunto Aleppo», è un padre Firas raggiante e felice quello che ci accoglie nel centro di Aleppo, di fronte all’albergo Pullman uno dei pochi aperti e funzionanti in città. Dopo dieci ore di auto, tante ne occorrono da Beirut ad Aleppo, il suo abbraccio fa passare ogni forma di stanchezza e di paura per un viaggio iniziato la notte da Beirut e proseguito sulle strade siriane appena liberate con oltre 35 posti di blocco passati indenni.

Padre Firas, come tutti gli altri francescani di Aleppo sono rimasti qui durante i cinque lunghi anni di guerra, senza luce, senza acqua, con il cibo razionato, con i missili, le bombe, le stragi quotidiane. Non hanno lasciato i cristiani soli, non hanno voluto lasciare i conventi, non hanno voluto lasciare gli aleppini. La chiesa di San Francesco e il convento di San Domenico sono sempre stati aperti e funzionanti.

La chiesa di San Francesco, grande e molto accogliente, ha ancora nella sua cupola la ferita di un missile che l’ha colpita. «Per fortuna un missile che non è esploso, altrimenti faceva una strage – spiega padre Firas –. Alla Messa dei bambini la Domenica ci sono oltre 400 fra ragazzi e ragazze con i loro catechisti». Nel Convento di San Domenico, che ospita molti anziani rimasti senza casa, i francescani hanno raccolto pezzi di missile e proiettili che hanno colpito il convento. Ne hanno fatto un piccolo monumento, all’ingresso. È sempre andata bene, non ci sono stati morti. «È nel grande convento che stiamo realizzando il progetto per i bambini di Aleppo. Abbiamo costituito una equipe di psicologi, musicisti, pittori, medici perché desideriamo far superare ai bambini e alle bambine tutti i traumi della guerra».

È questo il progetto che la Fondazione «Giovanni Paolo II» insieme alla Fondazione «Il Cuore si scioglie» intende realizzare, qui ad Aleppo, nei prossimi tre anni. Un altro simile l’Arci toscana lo realizzerà insieme alla Fondazione «Mano nella Mano» di Aleppo e alla Fondazione «Il Cuore si Scioglie». Perché sono i bambini il primo tema da affrontare qui. Hanno vissuto cinque anni sotto le bombe, sotto gli attacchi portati casa per casa dai jihadisti, hanno sentito le loro urla soprattutto di notte quando, passando nelle strade, urlavano «andate via, perché domani vi uccidiamo tutti». Questi bambini hanno resistito con le loro famiglie a ogni forma di violenza. Hanno visto i loro compagni di gioco morire, o essere feriti nel corpo dalle schegge delle bombe. I jihadisti usavano bombole di gas (quelle da cucina) riempite di esplosivo, con ferri, chiodi, vetri, e le lanciavano contro le case, centrando le finestre. Le usavano contro i taxi che trasportavano i bambini, contro gli scolabus.

Abbiamo incontrato, durante i giorni che abbiamo trascorso ad Aleppo, molti di questi ragazzi, avevano difficoltà a giocare con un pallone, a cantare e a fare festa. La tristezza e la paura si leggeva nei loro occhi. Molti hanno perso entrambi i genitori, molti sono figli dei terroristi che qui hanno seminato la morte per cinque lunghi, interminabili anni. Ci sono intere zone di Aleppo rase a suolo. Il suo centro storico, il quartiere cristiano, il suo famoso suk. Aleppo Est è spettrale, decine di casermoni costruiti dallo Stato siriano, con scuole, centri sociali di aggregazione, distrutti. Qui abitavano centinaia di migliaia di persone. Oggi pochissimi appartamenti sono abitati. Una città nella città dove ascoltare il silenzio della morte.

«Abbiamo aperto il giardino del nostro convento di Aleppo – ci dice padre Firas, mentre ci accompagna a una festa con moltissimi bambini – perché questo è l’unico grande spazio verde rimasto in città. Qui vengono, possono finalmente giocare, possono mangiare insieme alle loro famiglie. Abbiamo costruito un’area dedicata anche al barbecue». Poi ci porta a visitare la piscina. Sì, qui nel centro di Aleppo, all’interno del Convento dedicato a san Domenico, i francescani hanno costruito una grande piscina per tutti. «Questa estate, la prima dopo la guerra, abbiamo avuto 75 mila accessi. Una gioia».

Abbiamo visitato molte famiglie che avevano deciso di restare qui. Alcune stanno rientrando dal Libano, ci dice padre Toufic che vive a Beirut e da anni coordina il lavoro di assistenza ai profughi siriani. «In Libano, che conta 4 milioni e mezzo di libanesi, ci sono oggi oltre 500 mila profughi iracheni, 500 mila profughi palestinesi e circa 2 milioni e mezzo di profughi siriani». Un Paese provato che riesce, almeno fino ad oggi, ad accogliere tutti.