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MESSICO, FALLISCE IL VERTICE WTO DI CANCUN

Il vertice di Cancun è fallito facendo trasparire a caratteri cubitali la spaccatura tra il Nord e il Sud del mondo sui temi delicati dell’agricoltura e delle regole degli investimenti globali. È difficile pensare che vi siano motivi per gioire, né tanto meno per gridare alla disfatta. Tutto sommato, a pensarci bene, era improbabile che la quinta Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto) riuscisse a riconciliare, in un segmento cosi stretto di tempo, due visioni del mondo distanti anni luce tra loro. Il fallimento di domenica si è consumato sui ‘new issues’, il pacchetto di proposte legate a investimenti, trasparenza o ‘presunta tale’ degli appalti e facilitazioni al commercio che hanno trovato la netta opposizione dei Paesi in via di sviluppo timorosi che si trattasse dell’ennesimo tranello per beneficiare le multinazionali a scapito delle loro industrie. Su queste proposte, difese a spada tratta da Europa e Giappone, la delegazione ugandese ha detto chiaro e tondo che i Paesi occidentali non hanno mantenuto l’impegno assunto a Doha di parlare a chiare lettere di “sviluppo” e si sarebbero limitate a guardare al loro tornaconto.

Secondo George Yeo, ministro del commercio e dell’industria di Singapore, che presiedeva le trattative sulla spinosa questione agricola, il collasso dei negoziati nella città messicana potrebbe avere “serie conseguenze” per il commercio mondiale. A questo punto si profila un rinvio dell’attuazione delle cosiddette ‘liberalizzazioni multilaterali’ decise a Doha nel 2001. Il rischio, dicono gli analisti, è che si torni indietro con la moviola di un paio d’anni mettendo in crisi l’economia mondiale. Una cosa è certa: come ha detto il ministro per il commercio internazionale della Malesia, “a Cancun i Paesi in via di sviluppo hanno adottato una linea comune e questo dovrebbe far capire che nessuno può imporre alcun diktat a chicchessia”. Nessuno in fondo si aspettava che a puntare i piedi sarebbero stati proprio i Paesi poveri, quelli che nel passato si alleavano con i forti in campo, rispondendo a certe logiche clientelari. E invece, a sorpresa, gli africani hanno fatto saltare tutto. Benin, Mali, Ciad e Burkina Faso, i Paesi del cotone, e poi Kenya, Uganda e Senegal, cui si sono successivamente aggiunti altri Paesi del Sud, non hanno accettato compromessi. E così come avvenne a Seattle quattro anni fa, anche questa volta, il Wto ha chiuso la partita con un nulla di fatto, senza uno straccio di documento ufficiale. Non v’è dubbio che, almeno politicamente, i governi del Sud del mondo siano riusciti a coalizzarsi lanciando un messaggio inequivocabile al Nord ricco ed opulento. Le regole sono necessarie ma devono essere stilate secondo criteri che rispondano ai bisogni di tutti e visto e considerato che oltre tre quarti della popolazione mondiale è concentrata nel Sud del pianeta, Europa, Giappone e Stati Uniti non possono certo fare orecchi da mercante.

Erano le 15:15 (le 22:15 italiane di ieri) quando il capo della delegazione keniana, Mukhisa Kituxi, si è alzato dal tavolo e ha annunciato: “il vertice è fallito”. La notizia è rimbalzata nella sala stampa, tra il giubilo e il ‘cancan’ dei ‘new global’. Due ore e mezzo dopo, il vertice è stato dichiarato chiuso ufficialmente dal direttore generale della Wto, Supachai Panitchpakdi, e dal presidente della conferenza, il ministro degli esteri messicano, Luis Ernesto Derbez. Non resta che attendere tempi migliori.Misna