Toscana

MYANMAR, PROROGATI ARRESTI DOMICILIARI PER SUU KYI, MASSIMA ESPONENTE OPPOSIZIONE

Ancora un anno di “arresti domiciliari” sarebbe stato deciso ieri dal governo militare birmano – secondo fonti della “National League of Democracy” (Nld) che lo hanno fatto sapere all’emittente televisiva americana ‘Cnn’ ma finora prive di conferme birmane ufficiali – per Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace 1991 e fondatrice della Nld, principale movimento di opposizione. Soltanto lunedì scorso il “Consiglio di stato per la pace e lo sviluppo”, nome ufficiale del regime militare, aveva autorizzato per la prima volta un incontro di Suu Kyi con il suo legale, facendo nuovamente lievitare le speranze di un diverso trattamento che, dopo le manifestazioni dei monaci buddisti del settembre scorso, si erano profilate in seguito a suoi ripetuti incontri ufficiali con esponenti governativi e inviati Onu. Un certo ottimismo appariva ragionevole anche perché 43 dei 48 dimostranti fermati l’8 agosto, ventennale della cosiddetta “Rivolta 8888” repressa a suo tempo nel sangue, erano stati rilasciati, si era poi appreso, il giorno stesso. Figlia di un generale birmano, che nel 1947 fu tra i negoziatori dell’indipendenza del paese da Londra, e di una diplomatica di carriera (anche ambasciatrice in India nel 1960), dal 1999 vedova di uno studioso inglese di cultura tibetana, Suu Kyi tornò in Myanmar – dopo anni di vita e di studio in India, Inghilterra e Stati Uniti – ufficialmente per far vista alla madre molto malata, nel 1988, anno in cui l’8 agosto una storica manifestazione del dissenso soprattutto studentesco – la “Rivolta 8888” cosiddetta per via della data, ricordata per lo più in sordina dall’opposizione ogni anno in questi giorni d’agosto – venne repressa con grande violenza e, secondo alcune stime circolanti, con 3000 morti; lo stesso anno, mentre il regime militare subiva un drastico riallineamento anche a causa della “8888”, prendeva consistenza la Nld che due anni dopo giungeva con Suu Kyi al successo elettorale, peraltro mai riconosciuto dal regime militare. Nel 1989 per la prima volta Suu Kyi venne posta di fronte a una scelta: gli arresti domiciliari o lasciare il paese con il divieto di farvi ritorno; da allora, secondo calcoli di fonti di parte difficilmente verificabili, la massima esponente della Nld avrebbe trascorso una dozzina d’anni in regime di arresti domiciliari o comunque con significative restrizioni della libertà personale. Liberata nel 1995, Suu kyi avrebbe ancora potuto ancora lasciare il paese, sempre con l’impegno a non ritornarvi mai più, ma scelse di restare, in una condizione di semi-libertà, e di continuare la sua lotta contro il regime che, dopo un periodo di maggior libertà d’azione ottenuto in seguito a continue pressioni internazionali guidate da Londra e Washington, nel 2003 si concluse con nuovi arresti domiciliari successivi a violenti disordini tra Nld, manifestanti locali e polizia verificatisi durante un viaggio di campagna elettorale di Suu Kyi nel nord del paese. La misura restrittiva della libertà è stata da allora annualmente rinnovata, sia pur con la disponibilità di una villa nell’ex-capitale Yangon; i tentativi internazionali di farla sospendere e le ripetute iniziativa del dissenso e della diaspora birmana, dalla Tailandia a Londra agli Stati Uniti, sono andati finora regolarmente a vuoto; il recente incontro con il legale – sulla cui effettiva natura nulla è stato reso noto da alcuna fonte – faceva probabilmente parte di una normale routine burocratica per il rinnovo del provvedimento punuitivo. Resta un’altra sperazna per ora flebile: nonostante la presunta durata della prorofa, poichè Suu Kyi ha già vissuto gli ultimi quattro anni e mezzo in regime restrittivo e la legge del Myanmar ne ammette un massimo di cinque consecutivi, il provvedimento – auspicano fonti locali contattate dalla MISNA con ovvia garanzia di anonimato – potrebbe interrompersi prima della scadenza dei termini annunciati.Misna